La grande stagione della pittura macchiaiola probabilmente non avrebbe avuto lo stesso successo senza Diego Martelli (Firenze, 1839 – 1896), straordinaria figura di critico d’arte che ha lasciato la sua quadreria al comune di Firenze (una raccolta che ha dato forma a uno dei nuclei più consistenti della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti) e il suo fondo, composto da 55 manoscritti, una biblioteca di 3.000 opuscoli e volumi e a cui era aggregata la biblioteca fiorentina di Ugo Foscolo (la madre di Martelli era infatti la nipote di Quirina Mocenni Magiotti, la donna amata dal poeta, anche se oggi il fondo foscoliano è conservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze), e un carteggio di 5.000 lettere, alla Biblioteca Marucelliana di Firenze, per sua stessa volontà testamentaria: “Lego la mia Biblioteca ed i miei autografi alla Biblioteca Marucelliana della Città di Firenze… Quanto ai miei manoscritti ed autografi da me posseduti ed ai libri della mia biblioteca saranno subito consegnati, e gli autografi saranno posti in buste sigillate che si apriranno soltanto venticinque anni dopo la mia morte”.
Diego Martelli dedicò la sua intera vita all’arte. Proveniente da una famiglia benestante, Martelli studiò scienze naturali all’Università di Firenze, ma il suo vero interesse era rivolto altrove: aveva così preso a frequentare, neanche diciottenne e grazie al tramite del pittore Annibale Gatti, amico di famiglia, il Caffè Michelangiolo di Firenze, che dal 1855 circa era diventato il luogo di ritrovo dei giovani pittori che intendevano cambiare le sorti dell’arte, staccarsi dalla pittura accademica e proporre un nuovo approccio al vero, con un occhio rivolto alle novità che giungevano dalla Francia di Corot e Courbet. In questo contesto, Martelli strinse amicizia con molti artisti destinati a diventare esponenti di rilievo della pittura di macchia: Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi. Nel 1861 morì suo padre e Diego ereditò, oltre alle cospicue liquidità lasciate dal genitore, anche diversi terreni, tra cui una tenuta a Castiglioncello, che diventò subito sede delle ricerche più innovative dei macchiaioli: ogni estate, Martelli vi invitava infatti tutti i suoi amici, da Signorini a Silvestro Lega, da Giuseppe Abbati a Borrani, senza dimenticare Giovanni Fattori.
Fu proprio con Fattori che venne a crearsi uno dei rapporti più solidi all’interno della cerchia macchiaiola. Il pittore livornese andò per la prima volta a Castiglioncello da Martelli nel 1867, in uno dei periodi più tragici della sua vita: aveva appena perso l’amatissima moglie Settimia, scomparsa a causa dell’aggravarsi della tisi che la affliggeva, e si trovava in un forte stato di disperazione. Martelli lo incontrò a Firenze e, avendolo visto in quello stato, pensò di fare cosa gradita invitandolo nella sua tenuta: Fattori accettò, e fu quello il primo atto di un’amicizia destinata a durare negli anni, tanto che Fattori, nelle sue memorie, ricorderà Martelli come l’unico vero amico che ebbe mai avuto. Così veniva descritto da Fattori: "Sentimenti umanitari - repubblicano, e socialista onesto. La sua parola era tutta amore, e infondeva coraggio a chi lo avvicinava. Combatté con Garibaldi per fare questa patri che ora i sovversivi vorrebbero disfare. [...] Aveva un sentimento di forte artista e di scrittore - e fu lui uno dei più forti critici d’arte fondando il Gazzettino delle arti del disegno. Frequentava sempre il mio studio aiutandomi per consiglio, e facendo di me un vero e forte artista, senza lode da cortigiano, e sciocca, ma critica, e lode giusta alla quale prestava orecchio sempre benevolo, e riconoscente. Ma tutti lo stimavano, e amavano. Aveva delle eccentricità alle quali io pure aveva la mia parte - senza accorgermi di averle (ben inteso).
A Castiglioncello, i macchiaioli potevano trovare la quiete necessaria per dipingere le bellezze della costa toscana e l’umile vita quotidiana degli abitanti, presi dalle attività agricole: il critico Dario Durbè, per indicare gli artisti che partecipavano a questa temperie, ha parlato di “Scuola di Castiglioncello”. Nel frattempo, Martelli continuava ad aggiornarsi sulle novità della pittura internazionale: nel 1862 viaggiò a Parigi sviluppando, attraverso soprattutto la lettura di Proudhon, le sue già ben radicate idee razionaliste e i suoi ideali di vicinanza agli ultimi, tanto da progettare di fondare un giornale chiamato Il Satana, come si apprende da un documento autografo conservato proprio alla Marucelliana di Firenze. Risale invece al 1867 la fondazione del giornale menzionato da Fattori, Il Gazzettino delle arti del disegno, che Martelli dirigeva e finanziava, e che fu il primo vero strumento critico di promozione della pittura dei macchiaioli. “Il Gazzettino, che offrì ai lettori biografie di artisti contemporanei italiani e stranieri, rassegne di esposizioni, dibattiti e cronache varie”, ricorda Fulvio Conti, “si qualificò da un lato come strumento di aggregazione delle diverse scuole realiste che erano sorte in varie parti della penisola sul modello di quella toscana, dall’altro come mezzo per far conoscere ai pittori italiani le nuove correnti artistiche internazionali”. Tra il 1869 e il 1870 Martelli si recò altre due volte a Parigi, la seconda delle quali in compagnia di Teresa Fabbrini, che sarebbe poi divenuta sua compagna (è celebre il ritratto che di lei fece Fattori alla tenuta di Castiglioncello: oggi è conservato al Museo Civico di Livorno), e al suo ritorno cominciò a progettare di allargare la tenuta di Castiglioncello, decisione che si rivelerà avventata, perché comportò per lui difficoltà economiche che lo costrinsero, nel 1889, a vendere proprio quella tenuta per lui così importante.
Dopo una parentesi in politica (si candidò alla Camera dei Deputati per la “sinistra storica”, senza essere eletto, e così sarebbe stato anche ai successivi tentativi), tornò a occuparsi di arte e fu tra i primi ad accorgersi delle novità degli impressionisti: durante il suo ultimo soggiorno a Parigi, nel 1878, Martelli aveva infatti frequentato il caffè de la Nouvelle Athènes di place Pigalle, conoscendo diversi esponenti del movimento, tra i quali Edgar Degas, Édouard Manet e soprattutto Camille Pissarro. Martelli iniziò a nutrire nei suoi confronti una profonda ammirazione, al punto da decidere di sostenerlo e di far conoscere la sua arte fuori dalla Francia. Accadde dunque che il critico fiorentino acquistò due dipinti (La taille de la haie e Paysage - L’approche de l’orage) e, sempre nel 1878, li espose a Firenze: era la prima volta che in Italia si vedevano opere del movimento impressionista. I macchiaioli tuttavia non accolsero bene le opere del francese: soltanto Silvestro Lega e Signorini le apprezzarono, mentre gli altri, con in testa Fattori, ritenevano da un lato di essere arrivati alle conclusioni degli impressionisti prima di loro, e dall’altro che la loro pittura fosse difettosa per mancanza di disegno e forza (Lega e Signorini, al contrario, ammirarono la loro modernità e l’originalità di quei contorni sfuggenti e di quelle pennellate vibranti). Tornato da Parigi, Martelli riprese le sue battaglie politiche (fu anche consigliere comunale a Firenze: tra le sue lotte figura anche quella per equiparare gli stipendi della maestre, allora dipendenti comunali, a quello dei colleghi maschi), e cercò di nuovo di farsi eleggere in Parlamento, sempre fallendo l’obiettivo: continuò allora la sua attività di critico d’arte, seguitando a scrivere articoli ma anche organizzando conferenze dove presentava la pittura dei macchiaioli e, in qualche occasione, anche dell’arte degli impressionisti. Alla fine degli anni Ottanta, data anche la situazione di difficoltà finanziaria nella quale aveva cominciato a versare, si ritirò dalla vita artistica e da quella politica. La sua precaria stabilità emotiva fu definitivamente minata dalla scomparsa, nell’ottobre del 1895, della sua Teresa, e Diego si spense a Firenze nel novembre del 1896.
Il legato di Diego Martelli è conservato alla Biblioteca Marucelliana dal 1897, ed è stato arricchito da un acquisto nel 2019: manoscritti autografi, biblioteca personale, carteggio sono disponibili presso l’istituto fiorentino per approfondire una delle figure più importanti della storia dell’arte italiana dell’Ottocento. Il suo ruolo, spiega Luca Faldi, direttore della Biblioteca Marucelliana, fu anzitutto quello di “animatore delle discussioni in città (la sede del Caffé Michelangiolo, luogo simbolo della sua partecipazione ai dibattiti si trova, segnalato da una lapide, sullo stesso marciapiede della Marucelliana, in direzione, per chi esce dalla biblioteca, verso la piazza di San Giovanni), discreto ospite degli amici pittori nella ‘casa al mare’ di Castiglioncello, memore degli incontri vissuti nella casa paterna frequentata da Giuseppe Giusti, da storici come Atto Vannucci, da politici come Vincenzo Salvagnoli, frequentatore dei ‘nuovi’ artisti e letterati della ‘capitale del XIX secolo’ in tre viaggi”.
Martelli ebbe inoltre un importante ruolo di teorico del movimento, e ha lasciato scritti in cui riassumeva gli intenti del movimento dei macchiaioli: “Essi dicevano che tutto il rilievo apparente degli oggetti raffigurati su di una tela si ottiene mettendo nella cosa rappresentata giusto il rapporto fra il chiaro e lo scuro e questo rapporto non esser possibile rappresentarlo al suo vero valore che con delle macchie o pennellate che lo raggiungessero esattamente. Questa ricerca doveva naturalmente portare la conseguenza di una fattura molto più ruvida ed irregolare di quella di coloro che dipingevano riunendo tutto il così detto rimpasto con lo sfumatore e le pennellesse e siccome l’occhio come il palato si educa di gusti differenti, così mentre da un lato si cacciavano le acute grida contro la mancanza di esecuzione, chi le praticava amava sempre più un metodo che li portava rapidamente al conseguimento del loro scopo e destava sempre più il finito alla Carlin Dolci, diventato il prototipo degli artisti da forca e da capestro”. Per Roberto Longhi, Diego Martelli era stato l’unico critico italiano del periodo veramente moderno e dalla caratura internazionale: aveva compreso l’originalità dell’impressionismo, aveva idee moderne, era direttamente coinvolto nella promozione degli artisti essendo divenuto lui stesso loro mecenate.
Nell’elenco dei corrispondenti di Diego Martelli figurano tutti gli amici macchiaioli (come Francesco Gioli, Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Silvestro Lega) ma anche molti letterati e politici di area progressista, da Giosuè Carducci a Felice Cavallotti, da Giuseppe Zanardelli a Edmondo De Amicis. Un elenco di personalità che, spiega Luca Faldi, “restituisce di questo fiorentino una figura di uomo pubblico aperto e impegnato. Specie l’ultimo acquisto, avvenuto nel 2019, di un carteggio che si immagina quasi inesauribile [e al quale si riferiscono le tre immagini pubblicate sopra, ndr] pare confermare un progetto di esistenza in cui, dall’arte alla politica, l’agire debba essere animato dalla ricerca , dal sostegno, dalla divulgazione, dalla proposta di ‘equilibri più avanzati’”.
La donazione Martelli ha per la Marucelliana un forte valore simbolico: “inaugura”, spiega infatti il direttore Faldi, “una procedura di incremento del patrimonio documentario nel settore extra-bibliografico rimasto regolare fino ad oggi. Se le biblioteche conservano archivi di personalità, meno comune è la presenza di biblioteche d’autore presso gli archivi. Quale la ragione di tale ‘generosità’? Non un solo servizio a beneficio di studiosi e di ricercatori, certo, anche fondato sulla volontà di accrescere l’offerta e fornire occasione a più complete e approfondite indagini piuttosto la convinzione di garantire la trasmissione della memoria di figure riconosciute come riferimento per l’incidenza della loro attività sulla comunità. Dire sì al dono di Diego Martelli, al ‘caro Diego’, al ‘pregiatissimo signor Diego’, al ‘caro amico” (amico anche della biblioteca) ha aperto un canale di accesso ad altri ‘approdi’ ancora oggi in corso, ha inaugurato un ‘fenomeno di lunga durata’ potenzialmente senza termini temporali”.
La Biblioteca Marucelliana aprì al pubblico il 18 settembre 1752 e porta il nome del suo ideatore, il bibliofilo Francesco Marucelli, che volle lasciare al pubblico una biblioteca di cultura generale aperta ad una vasta utenza, come indicato nell’iscrizione in facciata che recita “Marucellorum Bibliotheca publicae maxime pauperum utilitati”. Il nucleo originario della raccolta è costituito dalla biblioteca dell’abate Francesco che, prima della sua scomparsa a Roma nel 1703, aveva disposto nel testamento che la propria libreria fosse destinata alla creazione di una biblioteca pubblica in Firenze dove all’epoca non era presente una istituzione di questo tipo. Nel 1783, sotto la direzione di Angelo Maria Bandini, alla Marucelliana arrivò la collezione disegni e stampe dell’ultimo rappresentante della famiglia Marucelli, Francesco di Ruberto. Altre acquisizioni importanti giunsero in Biblioteca a seguito delle soppressioni conventuali, granducali e napoleoniche, nonché dopo quelle postunitarie nel 1866 (proprio quest’ultimo incremento segnò l’ingresso alla Marucelliana della maggior parte delle cinquecentine e incunaboli attualmente posseduti). Nella seconda metà dell’Ottocento e nella prima del secolo successivo pervennero in Biblioteca vari fondi di carattere storico, artistico, letterario e politico quali il legato Martelli, la collezione Bonamici, il carteggio Nencioni, l’Arte industriale, e molti altri. A seguito della legge del 1910, che istituiva il deposito obbligatorio degli stampati, alla Marucelliana cominciarono ad arrivare le edizioni stampate nei quattro circondari della provincia di Firenze, Pistoia, San Miniato e Rocca San Casciano.
Il patrimonio della Marucelliana, biblioteca di cultura generale e di ricerca su base storica con orientamento umanistico e artistico, soprattutto riguardo alla cultura fiorentina e toscana, è composto da oltre 596.000 volumi e opuscoli (di cui 488 incunaboli e circa 7.995 cinquecentine), 2.741 manoscritti a volume e circa 64.212 carte sciolte (autografi e carteggi d’interesse letterario, storico, artistico), un’importante e preziosa collezione di circa 53.000 stampe e 3.200 disegni (che va dal Quattrocento all’Ottocento); 9.000 libretti di melodrammi e 9.638 testate di periodici tra correnti e cessati.
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