La civiltà etrusca, con la sua aura di mistero, la sua affascinante estetica e i suoi materiali distintivi, ha rappresentato nel Novecento un potente stimolo creativo per artisti, intellettuali e designer. Tuttora molti designer continuano a ispirarsi alla civiltà etrusca: solo guardando ai casi recenti, basterà pensare al progetto dell’architetto Mario Cucinella per la Fondazione Rovati aperta nello storico Palazzo Bocconi-Rizzoli-Carraro. Le sale ipogee, che ospitano la raccolta etrusca della fondazione, sono ispirate alle tombe etrusche con l’idea di trasportare col pensiero il visitatore a Populonia o a Cerveteri. Proprio per esplorare queste tangenze il Mart di Rovereto e la Fondazione Rovati hanno organizzato una mostra sul tema: Etruschi del Novecento, a cura di Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Giulio Paolucci e Alessandra Tiddia, con prima tappa al Mart dal 7 dicembre 2024 al 16 marzo 2025 e seconda tappa alla Fondazione Rovati dal 2 aprile al 3 agosto 2025.
Questa fascinazione, alimentata da scoperte archeologiche sensazionali come l’Apollo di Veio (1916) e promossa da eventi culturali come mostre e pubblicazioni, ha dato origine a un fenomeno definito dagli storici dell’arte come “rinascenza etrusca”. La cultura visiva del secolo breve, attraverso la riscoperta dell’antichità etrusca, ha trovato un’alternativa vibrante e originale all’accademismo classico, abbracciando un’estetica arcaica, sintetica ed espressionistica.
Nel corso del Novecento, è scoppiata quella che si potrebbe definire una vera “etruscomania” paragonabile alla prima ondata di fascino per la civiltà etrusca, che si ebbe nel Settecento (all’epoca era definita “etruscheria”), e vide tra i suoi protagonisti personaggi come il collezionista Mario Guarnacci dalla cui raccolta deriva il nucleo fondante del Museo Guarnacci di Volterra, uno dei principali musei etruschi esistenti, oppure l’archeologo Giovanni Battista Passeri, uno dei principali studiosi di cose etrusche del tempo. L’etruscomania novecentesca è testimoniata da eventi come la Mostra dell’arte e della civiltà etrusca (a Milano, a Palazzo Reale, nel 1955, con allestimenti di Luciano Baldessari) e il Progetto Etruschi (1985), che hanno contribuito a diffondere la conoscenza della civiltà etrusca a livello internazionale. Artisti di primo piano come Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Marino Marini e Arturo Martini si sono lasciati ispirare dalle forme e dai materiali etruschi. Le terracotte, i bronzi, i buccheri e gli ex voto etruschi hanno offerto spunti per una reinterpretazione creativa che ha saputo combinare modernità e tradizione.
“L’influenza della cultura etrusca sulla cultura del Novecento”, spiega la studiosa Anna Mazzanti, “ha vari momenti. È come un’onda ha dei picchi, che si ritrae e poi ritorna, e nella quale si possono individuare tre situazioni significative. Una riguarda una scoperta importantissima, sensazionale, un gruppo di sculture templari e di terracotta di cui l’esempio più importante è quello dell’Apollo di Veio, che hanno generato un primo grande esplosione della cultura archeologica etrusca, a tal punto che sono nate delle cattedre, degli studi, delle riviste di etruscologia e una grande esplosione visiva sulle riviste che hanno generato l’interesse degli artisti”. L’Apollo di Veio, con il suo enigmatico sorriso arcaico, scoperto nel 1916, è divenuto un simbolo potente di questa influenza e di fatto ha dato il via alla riscoperta degli etruschi. La scultura è apparsa su manifesti e cataloghi d’arte del tempo, rappresentando un punto di contatto ideale tra la forza espressiva dell’antico e le ricerche stilistiche moderne. Gli altri due momenti importanti secondo Mazzanti sono proprio le due mostre del 1955 e del 1985. “La mostra del 1955”, spiega, “coincide con una evoluzione degli Studi, grazie al curatore di queste mostre, Massimo Pallottino, etruscologo che ha sistematizzato tutti gli studi che si sono sviluppati dall’inizio del Novecento, dalla scoperta di Veio fino alla metà del secolo, e li ha saputi tradurre in un’esposizione esemplare, molto comunicativa, e nello stesso tempo rigorosamente scientifica, che ha fatto un punto importante”. La mostra itinerante del 1985 è stata invece una grande esposizione itinerante, una rassegna che “ebbe la peculiarità, tipica degli anni Ottanta, di avere un’attenzione ad ampio raggio: furono coinvolti sociologi, studiosi di arti contemporanee, per cui è interessante considerare che le due mostre principali, quella del Museo Archeologico di Firenze e quella del Palazzo degli Innocenti, furono dedicate alla cultura etrusca e alla fortuna degli etruschi nella contemporaneità”. Il 1985, proclamato “Anno degli Etruschi”, ha rappresentato un momento cruciale nella riscoperta della civiltà etrusca. Durante questo periodo, la Toscana è stata il centro di una serie di iniziative culturali, culminate nella mostra Civiltà degli Etruschi a Firenze. Il 16 maggio 1985, giorno dell’inaugurazione della rassegna fiorentina, Mario Schifano, già famoso all’epoca per la sua capacità di rappresentazione istintiva, immediata, diede adito a una performance artistica durante la quale creò un enorme dipinto dedicato alla Chimera di Arezzo, opera ritrovata nel Cinquecento e che già all’ora generò una grandissima attenzione tra gli artisti. Schifano, in particolare, dipinse sagome di chimere leggere, come se fossero trasportate dal tempo: “partivano in volo”, ebbe a dire, “capovolgendosi e volteggiando nell’aria verso il bianco accecante della luce al lato opposto, a dissolversi come sogni al mattino”.
Per molti artisti del Novecento, la visita ai luoghi simbolo della civiltà etrusca è stata peraltro una tappa fondamentale nella loro formazione creativa. Pablo Picasso e Ardengo Soffici, ad esempio, esplorarono musei e siti archeologici etruschi alla ricerca di ispirazione, come in una sorta di ideale “Grand Tour” dell’Etruria, che includeva luoghi come Volterra, Tarquinia, Cerveteri e Chiusi. Le pitture tombali di Tarquinia, le urne di alabastro di Volterra e le sculture di bronzo come la Chimera di Arezzo catturarono l’immaginazione di molti, dando vita a opere d’arte che reimmaginavano queste antiche testimonianze in chiave contemporanea.
Gli Etruschi sono stati fonte d’ispirazione per artisti che cercavano di rompere con le convenzioni classiche, adottando un linguaggio espressivo più autentico e diretto. Arturo Martini, con le sue sculture in terracotta, ha evocato il mondo etrusco attraverso forme sintetiche e linee arcaiche. La sua scelta di lavorare materiali poveri come l’argilla richiamava l’attenzione sulla dimensione umana e vulnerabile dell’arte. Le note figure allungate di Alberto Giacometti riflettono l’interesse per un certo tipo di scultura etrusca (si pensi all’Ombra della sera di Volterra). Un altro grande artista del Novecento, Giacomo Manzù, fu uno dei più originali interpreti dell’arte etrusca: il ritratto che l’artista fece della moglie Inge si ispira proprio al vasellame degli etruschi.
Massimo Campigli, influenzato dalla sua visita al Museo di Villa Giulia, ha rielaborato i volti etruschi nei suoi dipinti, evocando l’intensità emotiva delle figure funerarie, donando loro quegli enigmatici sorrisi, un po’ sardonici, che spesso si vedono nell’arte etrusca. Michelangelo Pistoletto, con la sua opera L’Etrusco, ha reso omaggio alla scultura etrusca, collocando una copia dell’Arringatore di fronte a uno specchio: una metafora della riflessione critica sul tempo e sull’identità. E poi ancora Marino Marini era talmente preso dall’arte etrusca da arrivare a definirsi... un etrusco egli stesso. Non si può poi dimenticare Pablo Picasso, che proprio nel dopoguerra a Vallauris sperimentò molto con la ceramica. Picasso, a sua volta, venne avvicinato all’arte etrusca dall’amico Gino Severini, che visse gran parte della sua esistenza a Parigi: era di Cortona e dunque ben conosceva le antichità etrusche (lui stesso eseguì alcuni bronzetti ispirati ai pezzi e ai capolavori presenti al Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona). Per Picasso, le forme animali e antropomorfe della cultura etrusca erano uno spunto ideale per le proprie ricerche sulle arti primitive. Lo stesso Picasso fu un punto di riferimento per gli artisti che avrebbero poi lavorato la ceramica ispirandosi agli etruschi.
E a proposito di ceramica: il bucchero, una ceramica nera tipica della civiltà etrusca, è stato reinterpretato da artisti come Duilio Cambellotti negli anni Venti e Carlo Alberto Rossi negli anni Cinquanta, che hanno sperimentato nuove tecniche per creare opere moderne con un’anima arcaica. Cambellotti in particolare fu tra gli artisti che più e meglio lavorarono sul bucchero: lo apprezzava soprattutto per il suo aspetto plastico, scultoreo. La terracotta, invece, è diventata il materiale prediletto per scultori come Arturo Martini e Marino Marini, che ne hanno apprezzato la capacità di evocare la bellezza imperfetta e la fragilità umana. Questi materiali, con la loro connessione alla terra e al tempo, hanno reso tangibile il dialogo tra passato e presente.
La civiltà etrusca ha lasciato un segno indelebile anche nel design e nelle arti applicate del Novecento. L’influenza può essere valutata sotto due profili diversi: quello del materiale e quello della forma. “Uno dei materiali più identitari della cultura etrusca”, spiega Lucia Mannini, “è il bucchero, una ceramica che subisce un particolare procedimento di cottura che la rende nera sia in superficie che in frattura. Questa tecnica particolarissima, adottata dagli Etruschi e che gli studiosi nel corso del Novecento hanno cercato di scoprire e di decifrare, era stata nel frattempo scoperta e adottata da tanti artisti: tra i primi a Roma, Francesco Randone, già a fine Ottocento, riscopre questo particolare procedimento... e lo tiene segreto. La ricetta e le modalità di cottura sono trasmesse solo alle figlie, che realizzano insieme al padre (in un contesto strepitoso, all’interno delle mura aureliane) degli oggetti che si ispirano, effettivamente anche nella forma, all’arte etrusca: sono per esempio rhyton (ndr: contenitori per liquidi) con forme di animali antropomorfi, oppure lanterne, in o comunque oggetti leggerissimi che ricercavano del bucchero soprattutto la leggerezza, la delicatezza e la raffinatezza delle decorazioni”.
Gio Ponti, uno dei più grandi designer italiani, si è ispirato alle ciste e agli askos (piccoli vasi a due bocche per olio, dalle forme antropomorfe o zoomorfe) etruschi per creare oggetti di uso quotidiano che fondevano funzionalità e bellezza arcaica. Il grande designer era attirato sia dai materiali, sia dalle forme, in particolare quelle dei vasi ma anche quelle delle sculture anatomiche che gli etruschi offrivano agli dèi. Nel campo della gioielleria, artisti come Arnaldo Pomodoro e Afro Basaldella hanno reinterpretato le tecniche e i motivi dell’oreficeria etrusca, utilizzando la granulazione per creare ornamenti che evocavano antiche reliquie. E sempre guardando alle forme dell’arte etrusca. “Si tratta di oggetti”, spiega Mannini riferendosi all’arte e alle arti applicate etrusche, “che vengono riscoperti e ‘risucchiati’ dagli artisti dagli anni Venti fino soprattutto al secondo dopoguerra, agli anni cinquanta: non è un caso, perché è un momento in cui, in contemporanea con la rinascita dell’arte etrusca, risorgono e rinascono in Italia anche anche le arti applicate, e quindi si sente l’esigenza di fornire modelli nuovi e forme nuove. E dove si vanno a cercare? Non più nell’arte, non solo magari nell’arte rinascimentale o in culture ormai consolidate, ma si vanno a sperimentare e a cercare in luoghi insoliti, esplorando per esempio i musei archeologici”. Lo stesso Gio Ponti, “appena arrivato alla qualifica di direttore artistico della manifattura Richard Ginori, per proporre degli oggetti nuovi da presentare ai grandi eventi espositivi sappiamo che frequenta i musei archeologici di Firenze e di Roma. E come lui, per esempio, Guido Andloviz, che si direbbe oggi una sorta di competitor, a capo di una manifattura ceramica di Laveno, la Società Ceramica Italiana”.
Anche la moda ha accolto l’eredità etrusca. Fernanda Gattinoni, con la sua “Linea Etrusca” del 1956, ha celebrato la bellezza e il mistero delle donne etrusche attraverso abiti che riprendevano i dettagli stilistici delle figure scolpite. Non sono mancati esempi neppure in gioielleria: diversi artisti, come Fausto Melotti, hanno creato gioielli ispirandosi all’arte etrusca, e il noto marchio aretino UnoAerre, nel 1985, condusse alcune sperimentazioni, studiando il materiale del Museo Archeologico di Firenze, sulle tecniche etrusche della granulazione e del pulviscolo per cercare di riprodurle.
L’influenza degli Etruschi nell’arte del Novecento dimostra la forza pervasiva delle culture antiche nel plasmare le estetiche moderne. Gli artisti del secolo breve, abbracciando la semplicità e l’espressività degli Etruschi, hanno trovato un terreno fertile per esplorare nuove forme di creatività.
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