di
Francesca Interguglielmi
, scritto il 29/07/2021
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Quattrocento - Masaccio - Rinascimento - Toscana - Firenze - Masolino da Panicale - Arte antica
A Firenze, gli affreschi della Cappella Brancacci, capolavoro di Masaccio e Masolino poi completato da Filippino Lippi, sono uno dei vertici dell'arte italiana di tutti i tempi. Ingres li aveva definiti “la vera culla della pittura”.
A Firenze, nella zona dell’Oltrarno, tra i tanti magnifici luoghi che si possono visitare, uno venne descritto dal pittore neoclassico Jean-Auguste-Dominique Ingres come “vera culla della pittura”. Si tratta della Cappella Brancacci, che si trova all’interno della chiesa di Santa Maria del Carmine. Questa cappella fu sotto il patronato della famiglia fiorentina dei Brancacci a partire dalla seconda metà del XIV secolo fino al 1780, passando poi ai Riccardi. La fama di questa cappella è dovuta alla presenza di uno straordinario ciclo di affreschi realizzato da Masaccio (Tommaso di Mone Cassai; Castel San Giovanni, 1401 – Roma, 1428) e da Masolino da Panicale (Tommaso di Cristoforo Fini; Panicale, 1383 – Firenze, 1440) e portato a termine da Filippino Lippi (Prato, 1457 – Firenze, 1504). Queste pitture furono commissionate da Felice Brancacci, che fu il patrono della cappella dal 1422 fino al 1436 circa. Felice Brancacci, esponente della classe dominante fiorentina e genero di Palla Strozzi (committente dell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano), ricoprì alcuni importanti incarichi pubblici, tra i quali quello di ambasciatore presso Il Cairo. È probabilmente successivamente al ritorno da questa ambasceria nel 1423 che commissionò la realizzazione degli affreschi nella cappella nella chiesa del Carmine, raffiguranti storie riguardanti san Pietro e due momenti tratti dalla Genesi.
La Cappella Brancacci ha una storia conservativa abbastanza movimentata e il suo aspetto attuale è frutto di una serie di eventi e modifiche in cui è stata coinvolta. I cambiamenti iniziarono presto, quando il committente Felice Brancacci, dopo essere caduto in disgrazia, fu esiliato nel 1435 e dichiarato ribelle nel 1458. La cappella cambiò dedicazione, passando da San Pietro alla Madonna del Popolo, la cui effige duecentesca fu collocata sopra l’altare, e vennero rimossi tutti i riferimenti alla famiglia Brancacci. Altre modifiche intervennero nel 1670: vennero inserite delle cornici in legno intagliate e dorate a dividere i due ordini di affreschi. Inoltre nel 1674 furono fatti alcuni interventi con il marmo, come le spalliere, fu rifatto il pavimento, la scalinata dell’altare e la balaustra, anche questa in marmo. Probabilmente in questa occasione furono dipinti dei tralci vegetali per ricoprire le nudità dei Progenitori. Il 1680 è una data decisiva per la storia di questa cappella: il marchese Francesco Ferroni, intenzionato ad acquistarla, propose di eliminare gli affreschi per aggiornare il gusto della cappella. La granduchessa Vittoria della Rovere si oppose fermamente, impedendone la distruzione. Nel 1746-48, questo luogo subì profondi mutamenti: venne smantellata la volta, che secondo le fonti ospitava gli evangelisti dipinti da Masolino. Nel 1771 un devastante incendio funestò la chiesa e provocò danni anche alla Cappella Brancacci. Nove anni dopo, la cappella fu acquistata dal marchese Gabriello Riccardi, che la restaurò e la aprì nuovamente al pubblico. Tra gli interventi conservativi degli affreschi di questa cappella, fu fondamentale quello novecentesco condotto da Ugo Procacci. Infatti, la rimozione di due lastre dell’altare settecentesco permise di comprendere in maniera più profonda gli affreschi, chiarendone alcuni aspetti stilistici e recuperando indizi sul colore originale. Venne ripulita la superficie pittorica, in gran parte annerita dal fumo delle candele, riportando i colori all’antico splendore. Furono inoltre rimossi i tralci vegetali che coprivano i corpi nudi di Adamo ed Eva.
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Veduta della Cappella Brancacci
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La parete sinistra
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La parete destra
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Come detto, sulle pareti di questa cappella viene raffigurato un ciclo riguardante storie della vita di san Pietro, traendo le vicende dai Vangeli, dagli Atti degli Apostoli e dalla Legenda Aurea. Partendo dalla parete di sinistra, ordine superiore, si trovano la Cacciata dei Progenitori, il Tributo, la Predica alle folle, il Battesimo dei Neofiti, la Guarigione dello Zoppo e la Resurrezione di Tabita, la Tentazione di Adamo ed Eva. Continuando nell’ordine inferiore, partendo da sinistra troviamo San Pietro visitato in carcere da san Paolo, la Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra, San Pietro che risana con l’ombra, la Distribuzione delle elemosine e la Morte di Anania, la Disputa con Simon Mago e la Crocifissione di san Pietro, e la Liberazione di san Pietro dal carcere. La presenza dei due episodi riguardanti i Progenitori unita alle storie di San Pietro può essere letta come la raffigurazione della caduta nel peccato dell’uomo che può trovar la salvezza nella Chiesa, affidata da Gesù proprio a Pietro. La Tentazione, la Predica alle folle, la Guarigione dello Zoppo e la Resurrezione di Tabita vengono attribuite oggi a Masolino, la Crocifissione, il San Pietro visitato in carcere da san Paolo, la Liberazione di san Pietro e la Disputa con Simon Mago a Filippino Lippi (che completò anche la Resurrezione della figlia di Teofilo), le restanti scene vengono tutte ricondotte alla mano di Masaccio.
L’importanza e la fama della Cappella Brancacci si devono in gran parte alla presenza di Masaccio che, seppur giovane pittore scomparso a soli ventisette anni, fu l’artefice di una nuova visione nel campo della pittura all’inizio del Quattrocento. Per il pittore originario di San Giovanni Valdarno, fu fondamentale la frequentazione di alcuni artisti che avevano dato il via a una nuova stagione nell’arte. Tra questi vi sono sicuramente Filippo Brunelleschi, per la sua elaborazione prospettica, e Donatello, per l’umanità che era capace di conferire alle sue sculture.
Sulle pareti della Cappella Brancacci, Masaccio collaborò alla pari con Masolino, pittore più anziano di lui, a partire dalla fine del 1424 (Masaccio era nato nel 1401, anno del grande concorso per la porta del Battistero di Firenze, che vide partecipare e confrontarsi artisti come Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi). I due avevano già lavorato insieme nella tavola della Sant’Anna Metterza, conservata oggi agli Uffizi. Il ciclo rimase incompiuto e venne portato a termine una cinquantina di anni dopo da Filippino Lippi, che ebbe anche il compito di risarcire alcuni volti che erano stati cancellati per oscurare la memoria della committenza di Felice Brancacci. Per lungo tempo, a causa delle condizioni della superficie pittorica, annerita dal fumo delle candele, è stata difficile l’attribuzione delle scene a ciascuno dei due artisti. Con l’importante restauro novecentesco, che ha reso la situazione più leggibile, è stato possibile rendere più solide le attribuzioni. A sostenere la tesi che Masolino e Masaccio abbiano lavorato contemporaneamente in questa cappella, vi è la straordinaria unitarietà prospettica delle scene di questo ciclo: non solo ciascun riquadro ha un proprio punto di fuga ed è verso di questo che convergono tutte le linee di profondità, ma i singoli punti di fuga delle scene che si trovano sulle pareti opposte combaciano perfettamente. In altre parole, l’impianto prospettico di due scene che si osservano frontalmente, se invertito risulta sovrapponibile. Sulla parete di fondo invece il punto di fuga è esterno alle scene e combacia con il centro geometrico della parete. L’effetto ottenuto è quello di rendere partecipe lo spettatore alle vicende rappresentate tramite lo spazio reale: immaginando di posizionarsi al centro della cappella, ci troviamo immersi nel ciclo e veniamo coinvolti in prima persona nelle vicende raffigurate, partecipando così anche noi a quella storia salvifica. La gestione dello spazio è resa straordinaria anche attraverso i dettagli all’interno delle singole scene.
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Masaccio, Cacciata dei Progenitori
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Masaccio, Tributo
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Masolino, Predica alle folle
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Masaccio, Battesimo dei Neofiti
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Masolino, Guarigione dello Zoppo e Resurrezione di Tabita
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Masolino, Tentazione di Adamo ed Eva
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Filippino Lippi, San Pietro visitato in carcere da san Paolo
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Masaccio e Filippino Lippi, Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra
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Masaccio, San Pietro risana con l’ombra
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Masaccio, Morte di Anania
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Filippino Lippi, Disputa con Simon Mago e Crocifissione di san Pietro
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Filippino Lippi, Liberazione di san Pietro dal carcere
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La storia più significativa per illustrare la dirompente novità della costruzione prospettica di Masaccio è quella del Tributo. L’episodio, raccontato nel Vangelo di Matteo, viene qui illustrato attraverso tre momenti all’interno della stessa scena, che non vengono però raffigurati tutti in primo piano. Masaccio infatti colloca il momento del miracolo vero e proprio in secondo piano, in prossimità del lago dove si trova il pesce in cui Pietro recupera la moneta d’oro. Per leggere questo episodio bisogna seguire gesti e sguardi dei personaggi. È una scena in cui sono presenti sia la natura sia l’architettura, e Masaccio tramite entrambe riesce a rendere lo spazio misurabile. Un altro elemento che ci mostra chiaramente come Masaccio sia riuscito a gestire in maniera inedita ed eccellente la dimensione spaziale sono le aureole, non più piatte e astratte rispetto al contesto, ma pensate e realizzate come oggetti concreti che fendono lo spazio circostante. La presenza della luce nel dipinto è pensata come proveniente dall’apertura realmente presente nella muratura della cappella e le ombre vengono dipinte tenendo conto di questo aspetto. La luce è un elemento centrale nella pittura di Masaccio, in quanto capace di costruire solidi volumi.
Celebre è il confronto tra le due scene raffiguranti Adamo ed Eva, una dipinta da Masolino e l’altra da Masaccio. La Tentazione è più rovinata rispetto alla Cacciata e quindi il confronto forse non può essere completo e sincero fino in fondo, ma è sufficiente osservare come vengono raffigurati Adamo ed Eva per comprendere l’orizzonte di ciascuno dei due artisti. I progenitori raffigurati da Masolino sono figure composte ed eleganti, che si osservano negli occhi con uno sguardo fiero. La morbidezza della loro carne è resa tramite un leggero chiaroscuro. Tutto cambia nella Cacciata: i corpi masacceschi trasmettono tutta la vergogna e il dolore provato, attraverso i loro gesti, rielaborati probabilmente da modelli scultorei, e attraverso la loro dirompente presenza nello spazio. Esplicito è il dramma sul volto di Eva, mentre riusciamo ad intuire quello di Adamo anche se coperto dalle mani. Già da questi due corpi si può comprendere come Masaccio conferisca ai suoi uomini e alle sue donne una grande umanità, portando in scena le loro emozioni e i loro sentimenti. Osservando le altre scene ci si accorge che ogni figura ha una propria dignità, ha conquistato il proprio diritto a partecipare agli eventi rappresentati, manifestato anche attraverso una presenza consapevole nello spazio. La composizione di Masaccio è essenziale, ma è proprio grazie a quell’essenzialità della linea e dei volumi che questo pittore riesce a rappresentare l’uomo nella sua grandezza e a portarlo al centro della sua idea di pittura. Masolino, invece, si sofferma ancora sulla rappresentazione dei dettagli, non soltanto dei personaggi ma anche delle architetture, come elemento importante della sua concezione pittorica e risulta così ancora legato al gusto della pittura tardogotica, ancora dominante nell’ambiente fiorentino (basti pensare che la magnifica pala d’altare dell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano è datata 1423, appena un anno prima del probabile inizio dei lavori per il ciclo della Brancacci).
Tra i volti dei personaggi di questa cappella, ne sono stati riconosciuti alcuni illustri. Masaccio, infatti, nel San Pietro in cattedra avrebbe raffigurato Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, il collega Masolino e se stesso. Non solo Masaccio, cinquant’anni dopo anche Filippino Lippi avrebbe inserito nel suo dipinto raffigurante La disputa di Simon Mago il proprio ritratto e quello di un campione della pittura rinascimentale: Sandro Botticelli.
La Cappella Brancacci ebbe un’importanza capitale nella storia dell’arte. Secondo Vasari furono molti i pittori delle generazioni successive che si formarono guardando le pareti di questa cappella e ne riporta nelle sue Vite un nutrito elenco, affermando che tutti coloro che si erano esercitati ed avevano studiato in quella cappella erano diventati “eccellenti e chiari”.
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L'autrice di questo articolo: Francesca Interguglielmi
Storica dell'arte, laureata in Arte Medievale presso l'Università degli Studi di Siena. Attualmente si sta formando in didattica museale presso l'Università degli Studi Roma Tre.