L’articolo che segue è un adattamento del saggio Arti incoerenti: né censura, né onore, dunque di Johann Naldi pubblicato sul catalogo della mostra Henri de Toulouse Lautrec. Parigi 1881-1901 (Rovigo, Palazzo Roverella, dal 23 febbraio al 30 giugno 2024), Dario Cimorelli Editore.
Il 4 febbraio 2021, il quotidiano “Le Monde” ha pubblicato un importante articolo a firma di Philippe Dagen che annunciava la scoperta di diciassette opere inedite delle Arti incoerenti. Fino a quel momento la produzione di questo leggendario movimento nato verso la fine dell’Ottocento, il cui intento era quello di contestare mediante il riso – ma non solo – la serietà del mondo dell’arte, era conosciuta solo attraverso i cataloghi di mostre e i numerosi articoli usciti sulla stampa dell’epoca; la ricomparsa di quelle opere è dunque destinata a cambiare la visione della loro storia.
Creato dall’appena venticinquenne giornalista ed editore Jules Lévy (1857-1937), il movimento delle Arti incoerenti si propone, dal 1882 al 1893, di sovvertire l’insieme delle norme che regolano il mondo delle belle arti. Il credo del suo iniziatore: “Esporre opere di gente che non sa disegnare”. A ribadire la totale antitesi con il rispettabilissimo Salon ufficiale, per far parte degli Incoerenti non bisogna essere pittori o scultori professionisti, sebbene numerosi artisti affermati, tra cui lo stesso Toulouse-Lautrec, diano il proprio contributo nell’allestimento delle mostre. Lo scrittore, l’attore o il semplice dilettante sono i benvenuti, senza correre il rischio di veder bocciare la propria opera da una giuria contraria alle violazioni delle convenzioni accademiche. Solo le cosiddette opere ‘oscene’ sono bandite. I premi vengono assegnati per estrazione a sorte e i vincitori decorati con medaglie di cioccolata. Né censura, né onore, dunque. Portando alla ribalta i supporti e i materiali più incongrui – sculture di groviera, animali vivi dipinti che sgambettano nelle sale espositive, cornici senza tele o tele senza pittura… – i circa seicento partecipanti, che nella maggior parte dei casi lavorano sotto pseudonimo per affermare meglio lo spirito di gruppo, producono ed espongono un migliaio di opere in una decina di anni di attività. La prima mostra ufficiale si tiene l’1 ottobre 1882 nella minuscola stanza di Jules Lévy. Dieci metri quadri scarsi in cui sono stipati centocinquantanove pezzi, elencati per l’occasione in un supplemento della rivista “Le Chat Noir”. Tra questi, il folgorante Combat de nègres pendant la nuit [Lotta tra negri nella notte] di Paul Bilhaud, primo dipinto monocromo presentato nell’ambito di un’esposizione pubblica, che entra istantaneamente a far parte del mito. L’evento è degno di nota e ha una risonanza internazionale. Forte del successo ottenuto, Jules Lévy replica già l’anno seguente. In questo secondo appuntamento, Alphonse Allais appende alla parete un semplice cartoncino bristol bianco intitolato Première communion de jeunes filles chlorotiques par un temps de neige [Prima comunione di bambine clorotiche con tempo nevoso], di cui non è mai stata ritrovata traccia. Nel 1884, il catalogo recensisce duecentoventiquattro pezzi, senza contare eventuali fuori catalogo. Ancora una volta, la mostra suscita un interesse che va ben oltre i confini della capitale. [...].
Nel 1885 non si tengono mostre, ma viene lanciato un primo ‘ballo incoerente’, organizzato in rue Vivienne, che si prospetta non meno pittoresco. Gli invitati sono pregati di presentarsi mascherati nella maniera più estrosa possibile – da carciofo o da comodino, a scelta – mentre un cartello all’ingresso della sala annuncia “Vietato l’ingresso alla malinconia”. Nell’arco di tredici anni si susseguiranno diversi di questi balli, che scandiranno la vita parigina all’insegna di una follia sovversiva di cui i dadaisti serberanno il ricordo. Nel 1886 l’infaticabile Jules Lévy organizza una nuova mostra in cui è incluso uno spassoso dipinto di Eugène Grivaz, Les Voyages déforment les jeunesses [I viaggi deformano la gioventù], che sarà oggetto di commenti su diversi giornali: “Questa mostra è un’accozzaglia di bizzarrie, lazzi, sorprese e stravaganze di cui posso solo segnalare rapidamente alcuni esempi. Tra questi, Les Voyages déforment les jeunesses, una deliziosa tela in cui una ragazzina, graziosamente dipinta, torna da lontano con un fagotto in spalla – e un altro altrove”. Nel 1889, approfittando dell’Esposizione universale, Lévy allestisce un’importante retrospettiva delle Arti incoerenti con oltre quattrocento opere, in cui il visitatore sbalordito si imbatte in un cavallo libero dalle pastoie, interamente dipinto con i colori della Francia. Ultimo soprassalto di incoerenza, la mostra del 1893 è organizzata nel grande foyer della nuovissima sala da concerto dell’Olympia, nel boulevard des Capucines. Parigi è tappezzata dalla locandina ‘collettivista’ che annuncia l’evento, eseguita in collaborazione da Dillon, Cohl, Ferdinand e Gray. A fronte di un indiscusso successo popolare, la critica si mostra divisa, combattuta tra sdegno, disprezzo e sostegno incondizionato. Oltre alle sette mostre parigine, il movimento si sposta anche fuori dalla capitale, a Rouen, a Bourg-en-Bresse, a Nantes, a Lille, a Besançon, a Nancy e a Grenoble, dove gli artisti locali si mescolano agli Incoerenti venuti da Parigi.
Scoperti nel 2017 in una collezione privata nella regione di Parigi e classificati Tesoro nazionale dallo Stato francese, i pezzi in mostra [ndr: alla mostra Henri de Toulouse Lautrec. Parigi 1881-1901, a Rovigo, Palazzo Roverella, dal 23 febbraio al 30 giugno 2024], presentati per la prima volta fuori dei confini francesi, costituiscono un materiale di studio insperato per la storia delle avanguardie fin-de-siècle, di cui, com’è noto, Marcel Duchamp e André Breton, tra molti altri, apprezzavano molto le opere anticipatrici. Fra i ritrovamenti spicca un affascinante dipinto uniformemente nero, la cui provenienza è indicata da una vecchia etichetta apposta sul verso della tela con un’iscrizione in caratteri neogotici: “Arts incohérents – 4, rue Antoine-Dubois, 4, PARIS”. Il riferimento al movimento artistico che scosse la capitale durante tutti gli anni Ottanta dell’Ottocento è dunque esplicito. Una seconda etichetta recante il numero 15 collega ancor più precisamente il dipinto al catalogo della mostra pubblicato l’1 ottobre 1882 su “Le Chat Noir”, rivelandone il titolo e l’autore: si tratta proprio di quel Combat de nègres pendant la nuit eseguito da Paul Bilhaud, celebre autore di vaudeville che per l’occasione diventa pittore – e non dei meno importanti. L’opera appena riscoperta è dunque il mitico monochrome, primo esemplare del genere a essere stato esposto nell’ambito di un evento artistico ufficiale. Considerato perduto, o addirittura distrutto da più di centotrent’anni, era sparito la sera stessa della sua presentazione pubblica, che nel minuscolo appartamento era durata appena quattro ore. Delle sedici opere rinvenute e presentate in una delle mostre delle Arti incoerenti, un’altra ha suscitato particolare attenzione: il Rideau de fiacre [Tendina di una carrozza], costituita da un frammento di seta verde che fuoriesce da un cilindro in legno dipinto. L’oggetto, di un modello comune, è corredato da una iscrizione incisa su una targhetta di metallo: Des souteneurs encore dans la force de l’âge et le ventre dans l’herbe boivent de l’absinthe [Protettori ancora nel fiore degli anni e con la pancia nell’erba bevono assenzio]. Il titolo, allusione ridondante al colore verde, è seguito dal monogramma di Alphonse Allais, il celebre ‘assurdista’ di cui nessuna opera ‘monocroidale’ era mai stata ritrovata. Il suo Album primo-avrilesque, vero e proprio oggetto d’avanguardia pubblicato nel 1897 ed elevato al rango di icona dell’arte moderna da parte dei surrealisti, costituiva fino al momento di questa scoperta l’unica testimonianza materiale disponibile di queste produzioni profetiche.
Accanto al primo monocromo esposto da Bilhaud – la Gioconda del movimento delle Arti incoerenti – è ricomparso dunque un vero proto-ready-made allaisiano risalente alla fine dell’Ottocento, di cui era nota da tempo l’importanza attribuitagli – in maniera relativamente inconfessata – da Marcel Duchamp. A queste due opere di fondamentale rilevanza storica, di cui nessun museo al mondo può vantare un equivalente, va aggiunta una serie di quindici lavori originali eseguiti con tecniche diverse, la cui analisi dimostra che furono tutti presentati nelle successive mostre delle Arti incoerenti organizzate dal 1883 al 1893. Molti di essi, in effetti, li ritroviamo in versione stampata nei cataloghi dell’epoca che, come abbiamo visto, costituivano finora le uniche testimonianze materiali a disposizione dello storico desideroso di approfondire lo studio di questo appassionante movimento. Nel 1992, il Musée d’Orsay si era riproposto di salvarlo dall’oblio dedicando a questo formidabile momento dell’arte francese una mostra che ha gettato le basi della ricerca recente sulle Arti incoerenti, presentando essenzialmente documenti e ricostruzioni interpretative di opere perdute e prendendo atto della scomparsa pressoché totale di migliaia di lavori prodotti dai circa seicento artisti che vi aderirono nell’arco di una decina d’anni. La riscoperta di diciassette opere originali costituisce quindi un vero e proprio avvenimento, che offre al pubblico e agli esegeti l’occasione di apprezzare le caratteristiche materiali del movimento, affinandone la comprensione. In altre parole: di prendere le distanze da una certa narrazione parzialmente fittizia delle Arti incoerenti affermata in questi ultimi decenni da un buon numero di storici – perlopiù specialisti di letteratura che avevano avuto accesso solo a materiale documentario – per ridefinirne le modalità creative sulla base delle opere stesse. Un attento esame di queste ultime rivela in effetti una particolare attenzione all’ideazione e alla raffinatezza formale, visibile soprattutto nel monocromo di Paul Bilhaud, che la stragrande maggioranza degli storici aveva finora ignorato riducendo ipoteticamente l’insieme della produzione delle Arti incoerenti al rango di grande farsa senza domani. Una sorta di atto di ‘cancellazione’ di un movimento buontempone che non era il caso di considerare una delle principali fonti vive delle avanguardie del secolo seguente. E invece. Oggi è nota la sincera venerazione che aveva per esso il padre del surrealismo André Breton, la cui immensa collezione di libri e oggetti eterogenei includeva un esemplare dell’Album primo-avrilesque di Alphonse Allais, diversi cataloghi delle mostre delle Arti incoerenti e numerosi articoli relativi al movimento, ritagliati qua e là e annotati da Breton. Lui e l’amico Paul Éluard sembrano concordi nell’attribuire alle innovazioni di Allais, una delle principali figure che citano in due occasioni nel loro Dictionnaire abrégé du surréalisme, un’importanza significativa per il Surrealismo. Lo stesso dicasi per Marcel Duchamp, grande teorico e divulgatore del ready-made che già nel 1904, non ancora ventenne, si trasferì dal fratello a Montmartre, dove frequentò numerosi illustratori che avevano partecipato alle mostre delle Arti incoerenti, tra cui Adolphe Willette. Venerazione che, del resto, non sarebbe mai venuta meno stando alla testimonianza di Robert Lebel, secondo cui Duchamp morì nel 1968 con un libro di Alphonse Allais in mano. Quest’ammirazione di una vita intera per il geniale autore – anche lui normanno – si spiega evidentemente con la vicinanza spirituale che Duchamp sentiva di avere con questo grande genio del linguaggio che, grazie alla sua consumata arte della ‘mistificazione’, aveva praticato sin dalla fine dell’Ottocento – in modo particolare nell’ambito delle mostre delle Arti incoerenti – una sorta di ‘qualificazione linguistica dell’oggetto’. Alla lunga lista di artisti e intellettuali affascinati dal movimento e, per citare Félix Fénéon, dalle sue creazioni “follemente ibride”, aggiungiamo il pittore russo Kazimir Malevič, la cui fama è universalmente legata al Quadrato nero su fondo bianco (1915), considerato a ragion veduta una delle opere seminali delle avanguardie del primo Novecento. L’11 novembre 2015, durante una conferenza internazionale organizzata dalla Galleria Tret’jakov di Mosca in occasione dei cent’anni dalla creazione del Quadrato, viene dato un annuncio clamoroso che avrà un’eco internazionale: analisi scientifiche approfondite hanno in effetti rivelato la presenza di due immagini sottostanti, costituite da una composizione cubo-futurista e da una seconda composizione proto-suprematista. A ciò si aggiunge una rivelazione finale del tutto inaspettata: secondo la curatrice Ekaterina Voronina, le analisi di immagine hanno messo in evidenza un’iscrizione apposta dall’artista sul Quadrato nero, traducibile come “Negri che lottano in una grotta”, la quale sembrerebbe a sua volta evocare un altro dipinto, Combat de nègres dans une cave, pendant la nuit [sic], creato, secondo la stessa fonte, dallo scrittore francese Alphonse Allais nel 1897.
Questo riferimento inequivocabile al monocromo di Allais e quindi, di rimbalzo, a quello di Paul Bilhaud costituirebbe, se confermato, una prova tangibile della porosità delle influenze tra l’arte ‘maggiore’ e la cosiddetta arte ‘minore’, nonché della probabile conoscenza del movimento delle Arti incoerenti da parte degli esponenti dell’avanguardia russa. A sostegno di questa tesi, ricordiamo i recenti studi di Jean-Claude Lebensztejn che evidenziano la presenza di una menzione del monocromo ‘allaisiano’ già nel dicembre 1911 in un articolo della rivista russa “Russkoe Slovo”. Secondo l’autore, era insomma destino che “nella dinamica dei suoi eccessi, la verve dei caricaturisti dovesse incontrare un giorno o l’altro il radicalismo degli artisti d’avanguardia”. Niente di più facile, quindi, che una folla di giornalisti e altri cronisti della vita artistica parigina abbia diffuso attraverso diversi giornali le stravaganze anticonformiste degli Incoerenti. Non solo: queste manifestazioni esplosive si propagarono anche sul piano internazionale, proiettando le loro deflagrazioni fin negli Stati Uniti come dimostrano diversi articoli apparsi nel 1884 e nel 1886 sul prestigioso “The New York Times”. È un segnale evidente dell’attenzione di cui fu oggetto sin dalla fine dell’Ottocento un movimento che per le sue innovazioni estetiche e concettuali superò ampiamente il solo interesse dei circoli intellettuali parigini, collocandosi nell’ambito più ampio del patrimonio artistico transnazionale. La storia delle avanguardie del Novecento lo avrebbe confermato, definendo il monocromo e i ready-made di Marcel Duchamp come emblemi della modernità che hanno rimesso radicalmente in discussione – a livello mondiale – persino il concetto stesso di opera d’arte. Quest’ombra lunga delle Arti incoerenti, a lungo respinta perché considerata imbarazzante da taluni, ritrova oggi parte della sua luce e ci obbliga a ‘osservare’, riconsiderando il giudizio tassativo che ne avevamo a dispetto della sua ‘invisibilità’. Perché è chiaro che alcune delle opere presentate al pubblico nell’ambito delle mostre delle Arti incoerenti, in particolare il monocromo di Paul Bilhaud e la tendina di Alphonse Allais, fanno emergere un sottotesto molto più complesso e ‘serio’ della loro umoristica lettura di superficie. Il Combat de nègres pendant la nuit, a lungo immaginato come una grossolana macchia nera cinta da una pesante cornice dorata, presenta in realtà un’inaspettata raffinatezza formale. Molto distante dalle descrizioni evasive e contraddittorie riportate nei numerosi resoconti apparsi nei giornali dell’epoca, l’opera si presenta nella forma di un vero e proprio dipinto costituito da una tela ricoperta di pittura nera montata su un telaio. Il verso del dipinto è chiuso da due piccoli pannelli di legno incassati. Questo montaggio estremamente singolare, totalmente inedito nei processi di fabbricazione in uso, si spiega con la presenza, evidenziata dalla radiografia, di un’imbottitura di fibre collocata tra i pannelli del telaio e la tela, che conferisce alla superficie pittorica un aspetto bombato. Questa ‘convessità’ doveva essere, in origine, sensibilmente più pronunciata di quanto non lo è oggi, dato che con il tempo l’imbottitura si è progressivamente afflosciata. Le caratteristiche tecniche atipiche del Combat de nègres pendant la nuit, in particolare quelle del supporto, dovevano avere un significato e spingere l’osservatore a interrogarsi sul valore simbolico di cui Paul Bilhaud ha palesemente cercato di investire la sua opera. Questi nuovi elementi che – lo ricordiamo – erano inimmaginabili prima che la scoperta del dipinto li rendesse analizzabili, rivelano il carattere decisamente polimorfico di un dipinto che diversi critici hanno cercato di ridurre al suo mero aspetto umoristico. […]
Ma l’audacia più evidente di Paul Bilhaud risiede nella sua volontà di aggiungere a questa cura estetica una forte carica simbolica. Per essere più chiari, è fondamentale riconoscere che la ‘convessità’ della superficie pittorica, indotta dalla presenza dell’imbottitura di fibra situata tra i pannelli del telaio e la tela, riveste una funzione ben precisa. Questa funzione, di cui il pittore è perfettamente consapevole (e come potrebbe essere altrimenti?), consiste nell’identificare l’opera non solo come semplice ‘dipinto’, ma come ‘dipinto-oggetto’ probabilmente concepito a imitazione di uno strumento ben noto ai pittori, quantomeno a partire dal Seicento: stiamo parlando del cosiddetto ‘specchio Claude’. Come puntualizza Arnaud Maillet in una delle poche opere esaustive che trattano di questo misterioso accessorio, oggi perlopiù dimenticato, lo specchio Claude si distingueva innanzitutto per la convessità e la superficie di colore scuro. Generalmente tondo, ma reperibile anche in diverse forme e formati, soprattutto rettangolari, era quasi sempre di piccole dimensioni e permetteva ai pittori en plein air di riflettere il paesaggio circostante e riprodurlo con quella luce cupa e dorata caratteristiche dei quadri di Claude Lorrain (1600-1682). I rapporti formali esistenti tra determinati tipi di ‘specchio nero’ e il Combat de nègres pendant la nuit si manifestano mediante diversi elementi comuni fortemente strutturanti che sono la forma rettangolare, la leggera convessità e il colore nero. Un esemplare notevole di specchio Claude rettangolare, catalogato in passato dalla Librairie Alain Brieux e oggi conservato presso la Biblioteca municipale di Grasse, illustra perfettamente le molteplici corrispondenze che è possibile stabilire tra questo tipo di specchio e il monocromo di Paul Bilhaud, autore erudito che non poteva ignorare l’esistenza del misterioso strumento. […]
In un registro più letterario ma altrettanto simbolico, anche Alphonse Allais sceglie una tendina di fiacre per il suo alto potenziale di suggestione. Sottolineato da un titolo che rimanda all’universo della prostituzione e dei costumi depravati (Des souteneurs encore dans la force de l’âge et le ventre dans l’herbe boivent de l’absinthe) e rafforzato dal carattere di opera in esposizione e quindi avulsa dal suo contesto abituale, l’oggetto non manca di evocare il ricordo della famosa scena della carrozza in Madame Bovary in cui Emma si abbandona a lungo a Léon all’interno della vettura con tutte le cortine abbassate, scena che scatenò contro Flaubert le ire del procuratore Pinard. Come per accentuare meglio il rimando flaubertiano dell’opera, Alphonse Allais sceglie di sostituire al giallo delle tendine che dissimulano i trastulli dei due amanti il colore verde, simbolicamente associato al libertinaggio. Questo sottile cambiamento e la ricerca dell’effetto suggestivo sta probabilmente a indicare che Allais intendeva amplificare il riferimento al testo del suo illustre predecessore, tanto quanto quest’ultimo aveva amplificato la potenza erotica della sua scena celando gli amanti dietro le tendine del fiacre. Lasciando spazio a fantasmi interpretativi di ogni genere, il passo incriminato di Madame Bovary non aveva mancato di suscitare il turbamento dell’avvocato imperiale Pinard che, come numerosi lettori indignati, aveva individuato in esso uno dei punti salienti dell’immoralità del romanzo di cui denunciò, durante il processo, il ‘colore’ generale: “Il colore generale dell’opera, permettetemi di dirvelo, è quello della lussuria!”. Mediante l’utilizzo del verde, abbinato a un supporto-oggetto ritenuto adatto a evocare uno dei brani più controversi del romanzo di Flaubert, Allais materializza simbolicamente uno dei momenti più importanti di un processo ancora vivo nel ricordo di chiunque. Difficile, in effetti, immaginare che la compagnia degli Incoerenti, popolata da numerosi uomini e donne di lettere, avrebbe fatto finire così rapidamente nel dimenticatoio l’emblematico affaire Bovary. Tanto più che Flaubert si spense nel 1880, ossia appena due anni dopo la prima mostra delle Arti incoerenti, e che “il nemico Pinard” sarebbe uscito di scena nel 1909, più di cinquant’anni dopo aver perso la causa e non essere riuscito a far condannare l’autore. A sua volta originario della Normandia, Alphonse Allais non manca, d’altra parte, di ricordare la sua ammirazione per l’illustre predecessore in uno dei suoi testi più celebri pubblicato nel 1895, nel quale fa un riferimento diretto alla consapescena della carrozza: “Gustave Flaubert, con la sua grande autorità e il suo immenso talento, non osò affatto insistere su ciò che avvenne nel fiacre di Madame Bovary. Io sono un po’ come Flaubert, perciò non ne saprete nulla di più”. Una bella dichiarazione di fratellanza nell’arte del sottinteso. La scena licenziosa è evocata ancora indirettamente nell’aprile 1890 in una delle pagine della rivista “Le Chat Noir”, di cui Allais è caporedattore. La serie di nove vignette eseguite da Saint-Maurice, intitolata Une Tempête dans un fiacre [Tempesta in una carrozza], ci mostra due amanti che si infilano precipitosamente in una vettura trainata da cavalli, la quale comincia a ondeggiare pericolosamente per effetto dei loro invisibili giochi amorosi. Come si vede, la figura tutelare del fumiste Flaubert non smette di far riflettere e ispirare una generazione di artisti intenzionati a celebrare e rinnovare le sue formidabili sfrontatezze libertine. Nel caso dei Souteneurs encore dans la force de l’âge et le ventre dans l’herbe boivent de l’absinthe, Alphonse Allais associa volutamente l’evocazione della scena del fiacre al colore verde attraverso l’utilizzo di un titolo finalizzato in maniera consapevole, a cui aggiunge per effetto di saturazione elementi semantici che rimandano al suddetto colore e al suo significato. Nello studio a esso dedicato, Michel Pastoureau non manca di ricordarne i potenti attributi: “[…] il simbolismo antico del verde, colore instabile, agitato e ribelle, ha sempre incluso una certa dimensione trasgressiva e libertaria”. È indubbio che Alphonse Allais, nella sua immensa cultura trasversale, fosse a conoscenza di questo apparato simbolico che fa del verde il colore dell’immoralità per eccellenza. Perfettamente cosciente che la carica allusiva del controverso pigmento poteva contribuire a rafforzare il suo intento, scelse deliberatamente di associarlo al mondo della prostituzione nel titolo della sua opera e, per estensione, alla scena emblematica di Madame Bovary. Unica testimonianza di opera ‘monocroidale’ di Alphonse Allais, la tendina del fiacre, probabilmente presentata fuori catalogo in una delle mostre delle Arti incoerenti, trova posto in forma di campitura sintetica nel suo Album primo-avrilesque, pubblicato nel 1897, che riunisce, standardizzandoli, gli esperimenti ‘monocroidali’ dell’autore.
Non si può fare a meno di constatare come le opere riscoperte delle Arti incoerenti si rivelino, nella loro piena materialità, ben poco conformi all’immagine evocata da tanti ricercatori e specialisti del movimento nell’arco di diversi decenni. La loro ricomparsa nello spazio della realtà osservabile impone, oggi, una rivalutazione metodica basata su elementi fattuali.
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