“Se [...] s’incontreranno delle rare affezioni di Visceri, o di Parti, concrezioni morbose ecc., questi pezzi patologici saranno scrupolosamente raccolti, e preparati per la conservazione ad istruzione de’ Medici, e de’ Chirurghi. Quindi, per esempio, se si troveranno Ossa mal riunite nell’accadute fratture [...] tutto dovrà esser conservato, se possa reputarsi dal Settore istruttivo per la Scuola Chirurgica. Così se s’incontrino vizj enormi ne’ Visceri, alterazioni non naturali, e che giovino all’istruzione Medica, ancora questi pezzi dovranno esser conservati, e preparati, o custoditi in modo che non possono perire”. Così si legge nell’articolo XIV del Regolamento proposto dal Collegio Medico dell’Università di Pisa per l’insegnamento dell’Anatomia Pratica, approvato con motu proprio granducale il 31 ottobre 1818. Con questa norma, il granduca di Toscana Ferdinando III di Lorena ratificava il suo supporto alla ricerca nell’Ateneo Pisano e in particolare allo studio di anatomia umana, dando inizio anche alla raccolta del Gabinetto Anatomico, in seguito rimodulato nel Museo di Anatomia Umana.
Le collezioni di patologia erano talmente rilevanti nel Museo di Anatomia che Filippo Civinini, considerato il padre dell’istituto a cui tuttora è intitolato, già nel 1841 si interrogava sulla sufficienza della definizione di Museo Anatomico. A suo avviso, infatti, essa risultava limitante, poiché la raccolta “dovette essere, e fu, ed è in effetti, Fisio-Patologica umana comparativa, cioè composta di pezzi organici sani e morbosi, nonché di prodotti di malattie”.
Dieci anni prima della nascita del museo di patologia, nei nuovi locali della Scuola Medica di Pisa si inaugurava un nuovo corso di studi, che vedeva anche la realizzazione di una cattedra di Anatomia e Istologia Patologica, affrancatasi finalmente da quella di Anatomia Umana. Con queste premesse, finalmente nel 1884 nasce il Museo di Anatomia Patologica, alla cui direzione viene chiamato il trentasettenne professor Angiolo Maria Maffucci. Il museo è stato riallestito nel 2016 grazie all’interessamento della professoressa Valentina Giuffra e del suo team, che ha recuperato i reperti che per oltre un decennio erano stati sistemati nei depositi. Attualmente la sua sede è interessata da una profonda ristrutturazione e la collezione è fruibile grazie ad una mostra temporanea. Benché le origini del museo siano tardo ottocentesche, parte delle sue collezioni è ben più antica costituendo quindi un patrimonio che assomma all’interesse medico anche quello storico. Tra le sezioni più rare si annovera una collezione di calcoli vescicali, costituita da circa cinquanta elementi, dalle forme e dimensioni più disparate, che arrivano a misurare fino a 9 centimetri. Questa raccolta fu messa insieme da Filippo Civinini fin dal 1836, anche se in origine doveva essere ben più vasta. Taluni furono donati da Giorgio Regnoli, clinico chirurgo dell’Università e da lui ricavati attraverso numerose operazioni chirurgiche; altri ancora erano affluiti dalle collezioni medicee.
Dal Museo di Storia Naturale invece provengono alcune “mostruosità” animali, che oggi sono organizzate nella raccolta di teratologia animale. Si tratta di una selezione di deformazioni e stranezze, che conta i resti di un cane a sei zampe, un gatto bicefalo e un gatto bicorporeo monocefalo, e ancora un pulcino con due teste e uno con quattro zampe, e altro ancora. Tra gli altri “mostri” – come venivano definiti in passato – figurano venticinque esemplari di neonati malformati, che Filippo Civinini diligentemente catalogò e studiò. Mostrano un campionario quasi completo di tutte le malformazioni congenite note, come la bicefalia, l’idrocefalia causata da un accumulo eccessivo di liquido cerebrospinale che comporta l’aumento del volume cranico, la ciclopia o l’anencefalia che è legata al mancato sviluppo dell’encefalo e delle ossa del cranio. Queste patologie fortunatamente oggi in Occidente vengono trattate per tempo.
Questa selezione, in origine composta da molti più reperti, apparteneva all’Imperiale e Regio Museo, e per volontà del granduca Leopoldo fu donata al museo curato da Civinini. Sempre appartenente al primigenio Gabinetto di Anatomia è anche la raccolta parassitologica di elminti, organismi simili a vermi che vivono all’interno del corpo di un altro organismo. Questi furono donati da un famoso naturalista padovano, il professor Tommaso Antonio Catullo, che “si fece pregio di munirlo di quei Vermi più rari da esso posseduti, che se non valevano a completare la collezione bastavano almeno ad estenderla molto ed intanto a renderla ragguardevolissima”.
Più confuse sono invece le origini di una piccola collezione aracnologica, che annovera alcuni esemplari di ragni velenosi. Altri reperti sono frutto di un continuo arricchimento del museo che è andato avanti per oltre un secolo, e che porta le collezioni museali a contare oltre 2000 pezzi di interesse anatomo-patologico, prelevati nel corso di autopsie o di interventi chirurgici.
La collezione comprende anche elementi patologici dell’apparato cardio-vascolare, renale, nervoso e del sistema linfatico. In particolare, si segnalano alcuni preparati che testimoniano l’aumento di incidenza delle malattie professionali come i polmoni autoptici di cavatori del marmo, o di lavoratori dei settori metallurgici e delle vetrerie, affetti da silicosi, antracosi o asbestosi. Tali categorie di lavoratori in passato e purtroppo spesso ancora oggi sono esposte a polveri sottili, come quelle di silice e amianto e altre sostanze pericolose che, a lungo andare, danneggiano i polmoni e causano malattie respiratorie. In tempi piuttosto recenti il museo si è arricchito di altre due sezioni: i campioni di interesse forense, provenienti da Medicina Legale dell’Università di Pisa, di cui nel caso di omicidi si conserva talvolta anche l’arma del delitto; e i reperti paleopatologici.
La paleopatologia è la disciplina che studia le malattie attraverso l’analisi diretta dei resti umani del passato, siano essi scheletrici o mummificati, permettendo così di ricostruire lo stato di salute di individui e perfino di intere popolazioni antiche. A Pisa si trova uno dei pochi laboratori italiani specializzati in paleopatologia, grazie al quale sono giunti al museo reperti di grande valore. Qui, la paleopatologia ossea è la più rappresentata, con elementi che attestano la presenza di fratture, spesso non curate, risalenti dal Paleolitico fino al XVIII secolo, oltre che ferite di tipo violento, probabilmente inferte in battaglia.
Interessante è anche la collezione di crani trapanati, pratica che si conduceva fin dal quinto millennio avanti Cristo, trattandosi di fatto della più antica operazione chirurgica mai attestata nella storia. La trapanazione poteva essere condotta sia per ragioni terapeutiche che per ragioni magico-religiose; infatti, si credeva che potenze maligne potessero albergare nella testa. Tra gli esemplari si menziona un cranio maschile risalente al Settecento, e rinvenuto insieme a numerose mummie nella Cappella dei Morti della chiesa di Santa Maria della Grazia di Comiso nei pressi di Ragusa. Esso presenta quattro ferite traumatiche e segni di trapanazione con finalità chirurgiche, eseguiti con ogni probabilità per tentare di ridurre l’edema provocato dalle lesioni.
Significative sono anche delle costole trovate in una tomba etrusca datata al VI-V secolo a.C., che mostrano delle “lesioni a colpo d’unghia”, ovvero cicatrici che si formano sulle superficie delle ossa e che testimoniano un individuo affetto da rara patologia cardiaca, la coartazione aortica, che implica un restringimento di una parte dell’aorta, il principale vaso sanguigno che trasporta il sangue dal cuore al resto del corpo.
Questa scoperta è interessante perché ci fornisce una testimonianza storica di una patologia che, pur essendo rara, è presente anche in antiche popolazioni. In altre parole, l’analisi delle ossa di questo individuo ha permesso agli archeologi e ai paleopatologi di identificare una condizione cardiaca che potrebbe essere stata presente millenni fa, mostrando come certe malformazioni vascolari fossero già manifestazioni cliniche riconoscibili nell’antichità.
Altrettanta importanza storica la riveste un reperto proveniente dalla mummia di Ferrante I d’Aragona Re di Napoli, morto nel 1494, che attraverso indagini diagnostiche sul DNA ha reso possibile identificare un carcinoma del colon. Questo dato è piuttosto sorprendente perché di fatto confuta l’ipotesi accettata comunemente che il tumore sia una malattia del mondo attuale, causata dall’inquinamento o dallo stile di vita moderno.
Completa l’esposizione una mummia precolombiana, tra i pezzi più rappresentativi del museo. Datata con indagini a radiocarbonio tra il 1420 e il 1530, mostra la classica posizione fetale, tipica delle sepolture sudamericane. Si tratta di una donna che era affetta da polmonite, forse la causa della morte.
Ormai da diversi decenni, per motivi pratici e di spazio, la preparazione di reperti anatomici è stata sostituita da diapositive di reperti autoptici o chirurgici. Tale materiale, insieme a una ricca raccolta di verbali autoptici completi di diagnosi anatomo-patologica, è a disposizione per essere consultato.
Il Museo di Anatomia Patologica e Paleopatologica di Pisa continua a rappresentare un’importante risorsa per lo studio delle malattie attraverso i secoli, conservando testimonianze che raccontano la storia della medicina e della salute umana. Le sue collezioni, che uniscono scienza, storia e cultura, offrono un’opportunità rara di comprendere l’evoluzione delle malattie e delle pratiche mediche. Grazie al continuo impegno nella ricerca e nella conservazione, il museo resta un punto di riferimento fondamentale per gli studiosi e per chiunque desideri esplorare il passato medico dell’umanità.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.