Terzo libro dello storico dell’arte Stefano Zuffi per Enrico Damiani Editore: dopo aver messo a confronto, in parallelo, le vite di Raffaello e Mozart e quelle di Giotto e Dante, questa volta Zuffi pubblica con per la casa editrice bresciana una biografia romanzata di uno degli artisti più eccentrici della storia dell’arte: Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1556). Il libro, intitolato Senza posa. Lorenzo Lotto tra Venezia, Bergamo e le Marche (160 pagine, 16 euro, ISBN 9791254560150, anche in formato ebook a 6,99 euro), è dedicato alla vicenda artistica e biografica del pittore veneziano, partendo dal presupposto che Lotto non abbia avuto una vita facile. Tutt’altro: il suo destino, afferma l’autore, sarebbe stato quello di “lottare” per tutta la sua esistenza, come ironicamente suggerisce il suo cognome, e come lo stesso Lorenzo Lotto avrà modo di raccontare tra le pagine del libro.
Il volume ripercorre le vicende dell’artista in forma romanzata, seguendo Lorenzo Lotto nel suo peregrinare attraverso il Veneto dove nacque, dal quale si sarebbe poi allontanato per poi tornare e trovarsi in competizione con Tiziano, la Lombardia, le Marche, Bergamo fino ad arrivare alla meta conclusiva del suo percorso, il santuario di Loreto. La vicenda parte proprio da qui, dal Santuario della Santa Casa, dove l’anziano pittore, ormai alla fine dei suoi giorni, incontra il prelato Gaspare Dotti, suo ultimo committente, e a lui affida il racconto di tutta la sua vita, come in una sorta di lunga confessione attraverso la quale Zuffi traccia le fila della vicenda umana e artistica di un artista che Pietro Aretino, in una lettera capace di suscitare sentimenti contrastanti, aveva definito “più della bontà buono e più della virtù virtuoso”.
La storia ha inizio in un pomeriggio del settembre 1554: Lorenzo Lotto ha settantaquattro anni, un’età molto avanzata per l’epoca, ma è ancora al lavoro, e lo vediamo all’inizio del saggio-romanzo mentre incede con il suo camice, in ciabatte, muovendosi tra le terre macinate e alcuni disegni, in attesa di prepararsi a ricevere la visita di Dotti, protonotario apostolico, già commissario del Sant’Uffizio, e da pochi anni governatore del santuario di Loreto. Dotti, veneziano come Lorenzo Lotto, è desideroso di conoscere la storia della vita del pittore, e la sua curiosità è soddisfatta: Lotto infatti parte con un lungo racconto dalla sua giovinezza fino alla decisione di trasferirsi a Loreto, dove prenderà i voti come oblato e trascorrerà gli ultimi giorni della sua esistenza.
Nel mezzo, una vita passata all’ombra dei più grandi, raccontata da un pittore appassionato, ancora frustrato per gli insuccessi e orgoglioso per i pochi anni felici. Il romanzo segue il racconto di Lorenzo Lotto dapprima a Treviso dove l’artista lavora per il suo primo committente importante, il vescovo Bernardo de’ Rossi, poi a Roma, quando il pittore è desideroso di mettersi in mostra ma è sopraffatto dal successo di Raffaello, e poi ancora nella prima parentesi marchigiana e negli anni d’oro del periodo bergamasco, poi di nuovo a Venezia nel tentativo, che si rivelerà infruttuoso, di gareggiare con Tiziano. La delusione nel vedere il rivale a capo di una bottega fiorente, organizzata quasi come una sorta di arsenale, con una schiera di collaboratori a preparare i dipinti e il fratello a battere cassa con i ricchissimi committenti, e la constatazione di doversi ridurre a lavorare per una clientela immancabilmente meno prestigiosa rispetto a quella del cadorino e per compensi miseri, porterà Lotto a maturare la scelta di ritirarsi nelle Marche che tante soddisfazioni gli avevano dato negli anni addietro, non prima però di aver fatto testamento a favore dei bambini dell’ospedale. Finché, nel finale, Lotto farà un’importante rivelazione a monsignor Dotti.
Non manca il racconto delle singole opere, che Zuffi immagina giungere direttamente dalla bocca dello stesso Lorenzo Lotto che in prima persona commenta i suoi lavori migliori e quelli meno riusciti assieme al suo illustre committente: dal celeberrimo ritratto di Bernardo de’ Rossi alle tarsie lignee di Santa Maria Maggiore a Bergamo, dal polittico di Recanati agli affreschi dell’Oratorio Suardi di Trescore, dalla pala del Rosario di Cingoli fino agli ultimi lavori eseguiti a Loreto, i capolavori di Lorenzo Lotto sono condensati in una narrazione che si fa sempre più incalzante, nonostante il pittore, per l’affaticamento dovuto all’età, debba prendersi delle lunghe pause tra un racconto e l’altro.
Con un romanzo dallo stile asciutto, leggero, fresco e quasi colloquiale, e con una ricostruzione storica basata sulle opere d’arte e sui documenti (come le lettere, le note personali dell’artista, il suo testamento), Stefano Zuffi ingaggia la difficile sfida di ricostruire il carattere di Lorenzo Lotto, visto come un uomo di buon cuore e come un artista che vedeva nel lavoro la sua principale ragione di vita, e che rivive i suoi tormenti e le sue passioni, le sue poche gioie e le sue tante delusioni. Il tutto calando la narrazione nel contesto dell’Italia del primo Cinquecento: sullo sfondo i grandi cantieri artistici del tempo, le guerre d’Italia, i cambiamenti di una società che stava conoscendo una radicale trasformazione, e in primo piano la vicenda, profondamente umana, di uno degli artisti più talentuosi del suo tempo, giunto alla fine dei suoi giorni quasi indigente, non adeguatamente riconosciuto in vita, nel quale però oggi possiamo identificare uno dei geni più estrosi e anticonformisti di tutti i tempi.