Domenica 8 maggio, a Siena, è stata formalmente inaugurata una nuova realtà museale: si tratta dell’apertura della Casa Museo Palazzo Chigi Zondadari, signorile palazzo che dal 1724 domina l’iconica Piazza del Campo. Il palazzo è infatti l’ultimo edificio a inserirsi nella monumentale cornice: la sua costruzione che andò ad occupare lo spazio dove insistevano alcuni edifici di datazione diversa, si deve alla salita al soglio papale nel 1655 di Fabio Chigi, poi Papa Alessandro VII. La famiglia senese, che si era affermata con attività finanziarie e commerciali già dal XIII secolo e aveva acquistato la nobiltà nella seconda metà del secolo successivo, pensò di sfruttare il grande prestigio dovuto all’elezione di un Chigi al papato, e richiese alla Biccherna, la magistratura senese, di edificare un proprio palazzo sulla piazza. Ma il progetto si concretizzò solo con notevole ritardo, quando nel frattempo dal cardinale Flavio Chigi, nipote di Alessandro VII, si era originato il ramo senese dei Chigi-Zondadari, da cui ancora oggi il palazzo prende il nome.
Il monumentale edificio si presenta all’esterno con la sua architettura sobria e lineare derivata dall’architettura romana mentre all’interno esibisce il suo sfarzo con eleganti decorazioni parietali, dipinti e sculture, nonché lussuosi arredi che nel corso dei secoli si sono sedimentati nei vasti spazi. Placido Costanzi, Marco Benefial, Gioacchino Faluschi, Giovanni Battista Marchetti e Francesco Nenci sono alcuni degli artisti che si sono avvicendati nelle decorazioni del palazzo tra XVIII e XIX secolo. Ma al suo interno si conservano anche opere di vario genere e provenienze, segno del gusto collezionistico dei tempi, tra cui antichità etrusche e romane, opere rinascimentali e manieriste (come una scultura lignea in passato attribuita al Vecchietta e oggi assegnata a Niccolò dei Cori), un dipinto di Sebastiano Conca, due ritratti di Rosalba Carriera; e ancora porcellane Ginori, le argenterie disegnate da Giuseppe Valadier per Flavio Chigi, i mobili neoclassici di Agostino Fantastici, e tante altre cose di indubbio interesse tra cui però svettano per eccezionalità i corami di manifattura spagnola tardo secentesca che ricoprono le pareti di alcuni ambienti, e il celebre busto di marmo di Alessandro VII scolpito da Gian Lorenzo Bernini nel 1657 e riscoperto solo un paio di decenni fa.
Il Palazzo Chigi Zondadari è un’incredibile testimonianza artistica che finalmente si apre alla comunità, non solo rendendo accessibili i suoi lussuosi spazi e rendendo fruibile la sua straordinaria collezione ma proponendo anche un’offerta culturale capace di coniugare al suo interno l’arte contemporanea. Della nuova realtà artistica che si affaccia sul panorama culturale italiano abbiamo parlato con il Presidente della Fondazione Palazzo Chigi Zondadari promotrice dell’iniziativa, Flavio Misciattelli, erede della famiglia.
JS. Presidente, con quale spirito e quando nasce la Fondazione?
FM. La Fondazione nasce nel 2019 con lo scopo precipuo di aprire la casa al pubblico dopo secoli di altre destinazioni, ma per motivi “pandemici” ci siamo riusciti solo oggi. Fondamentale è stato avere alle spalle di questa esperienza, quella con la Fondazione Pastificio Cerere, di cui sono presidente, nata a Roma nel 2004 con l’obiettivo di promuovere e diffondere l’arte contemporanea, e con sede all’interno dell’ex fabbrica di pasta costruita nel 1905.
Quali sono le tappe della transizione dell’edifico da spazio privato a pubblico con finalità museale?
Con l’esperienza di Roma alle spalle, tutto è venuto molto naturale. Anche per Siena abbiamo dato vita a un ufficio e una segreteria per la logistica, e ci siamo interrogati da subito su come poter far fruire il palazzo e la corte esterna. Per tali scopi abbiamo assunto del personale e creato un team in continua crescita.
Il palazzo si presenta come un gioiello fragile, che fortunatamente è arrivato fino a noi mantenendo inalterate molte delle sue peculiarità: come coniugare conservazione e valorizzazione? Quali sono le vostre principali preoccupazioni?
Assolutamente: il palazzo è molto delicato. In particolare, i cuoi e i corami decorati, che sono la peculiarità del palazzo, destano preoccupazione, perché se oggi si presentano perfettamente conservati con le loro cromie accese è perché il palazzo non è stato abitato con gran continuità. Quindi né il calore sprigionato da una continua presenza di persone né quello degli impianti di riscaldamento, che infatti sono assenti, ha impattato sulle decorazioni. Per tale ragione pianifichiamo un’apertura con tempi dilatati, con grande rispetto per l’edificio: le persone entreranno a piccoli gruppi esclusivamente accompagnati da una guida, inizialmente non più di due contemporaneamente da 15 persone ciascuno, per sei giorni. Inoltre, per diminuire l’impatto portato dalle persone, le finestre durante la visita resteranno aperte, per permettere di far circolare l’aria. Così potremmo capire come risponderanno gli ambienti, gli affreschi, i dipinti, i pavimenti e tutto il resto. Dopo un anno ci metteremo intorno a un tavolo per analizzare i dati raccolti, capiremo se la macchina può essere migliorata e aumentare la sua portata o se è meglio tornare indietro, anche un gruppo solo in visita una volta al mese, o addirittura mai. Siamo certamente una realtà in divenire, ma la nostra volontà è quella di aprire, e trovare gradualmente accorgimenti ed espedienti per permettere che il palazzo resti in grande forma come si presenta oggi.
La vostra nuova realtà si troverà a intervenire in un tessuto culturale e artistico vivace e ricco: pensate di entrare a far parte di una rete museale?
Ne abbiamo parlato con il sindaco Luigi De Mossi: sicuramente il progetto di arte contemporanea titolato Cortemporanea ne farà parte, dal momento che lo animiamo con l’intento che possano vederlo quante più persone possibile. Per il palazzo era stata invece proposta una biglietteria in comune, ma ho detto di no perché non sarebbe sostenibile. Però siamo a disposizione per strutturare un’efficace collaborazione, anche grazie all’ottimo rapporto che abbiamo con il Comune.
Quali attività di mediazione prevedete di dedicare alle scuole?
Lo spazio del palazzo sarà ovviamente aperto alle visite delle scuole, ma gli spazi delicati del piano nobile non permettono altro tipo di attività: per tale ragione stiamo realizzando un ambiente deputato all’ultimo piano composto da due aule, e poi potremmo anche qui continuare sulla scorta dell’esperienza della Fondazione Pastificio Cerere, dove con il progetto Collezione Di Classe promuoviamo l’educazione nelle scuole attraverso l’arte contemporanea.
Quindi accanto all’attività di valorizzazione del palazzo della sua collezione proporrete degli interventi di arte contemporanea, come si struttureranno?
Fin dall’inizio la nostra volontà era di fare qualcosa di nuovo per Siena, ma la casa difficilmente si presta al contemporaneo, se non con interventi minimi. Abbiamo cercato la chiave per fare arte contemporanea e la cosa più naturale si è rivelato sfruttare il cortile, uno spazio che peraltro in tempi passati aveva un ruolo centrale, come ricordava mia nonna; infatti, all’altezza della parete cieca che presenta motivi a trompe l’oeil, veniva predisposto durante i grandi balli una struttura di legno dove si ballava originando un nuovo piano. Abbiamo deciso così di ridare nuova centralità allo spazio e abbiamo dato via a Cortemporanea, progetto che trasformerà la corte in un luogo espositivo dedicato a lavori site specific di artisti italiani e internazionali chiamati ad interpretare liberamente lo spazio.
Per il primo intervento avete coinvolto l’artista Pietro Ruffo, quali sono le ragioni di questa scelta?
Pietro Ruffo e io abbiamo un lungo rapporto, che è iniziato nel 2005 con l’inaugurazione della Fondazione a Roma, abbiamo poi entrambi percorso un viaggio parallelo, dove ogni tanto ci incontravamo, dimostrando una visione simile dell’arte. Quindi per me è stato naturale iniziare il progetto con lui. Quando l’ho coinvolto mi ha parlato di un grande progetto con degli orci che non era riuscito a realizzare, un po’ fortunosamente abbiamo trovato un artigiano giovane e capace in grado di realizzarne uno fuori misura come serviva a noi, con un procedimento un po’ particolare e cotto più volte. Il progetto però nel frattempo si evolveva, infatti Ruffo mi aveva avanzato la sua volontà di esporre anche qualcosa negli spazi che conducono alla casa, le scale e poi al suo interno, dando così vita a un’idea di mostra. E poi ancora il video mapping, motivo per cui abbiamo coinvolto un professionista come Daniel Spanò, che ha tradotto in video quello che Pietro dipingeva. E poi ancora abbiamo tentato una collaborazione con la Chigiana per dar vita a un’esibizione musicale, ma non è stato possibile perché i corsi non erano attivi e allora abbiamo coinvolto per una performance nelle due sere inaugurali due violiniste professioniste accompagnate da un controtenore.
Se Pietro Ruffo è quasi un talismano della sua attività, e quindi coinvolgerlo è stato naturale, quali sono i criteri con cui verranno scelti i prossimi artisti?
La Fondazione di Roma ha un curatore, Marcello Smarrelli, e lì abbiamo sempre scelto una linea sperimentale. A Siena sarà un po’ diverso, qui mi sono tenuto la carica, condivisa con Gianni Tozzi, che è il direttore artistico. Inviteremo ovviamente artisti che ci piacciono, ma che dovranno essere di livello internazionale, che siano di richiamo, perché come dicevo la situazione è diversa dal Pastifico. Vogliamo diventi un appuntamento annuale molto ambito e che richiami le persone, anche turisti da fuori.
L’istallazione di Ruffo, così come i prossimi interventi di arte contemporanea, sarà sempre accessibile senza biglietto e fruibili dalla strada?
Cortemporanea sarà sempre gratuito perché vogliamo coinvolgere la città. Lo spazio sotto infatti rimarrà aperto, ad esempio l’opera di Ruffo sarà visibile fino al 19 giugno, e dopo giocoforza dobbiamo spostarla. Siamo a Siena e la città vive di palii, e noi per l’occasione ospitiamo gli spalti. Ma l’opera, spostata in casa, sarà fruibile fino ad ottobre.
L'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.