L’inchiesta sulle nuove Direzioni regionali Musei nazionali, introdotte dall’ultima riorganizzazione del Ministero della Cultura, dopo il lancio con la Calabria prosegue con la Sardegna, tra le 7 che restano indipendenti, insieme a Campania, Lazio, Lombardia, Toscana, Veneto e alla stessa Calabria, mentre le altre 11 fanno capo ad altrettanti istituti già autonomi. La novità più significativa introdotta riguarda il riconoscimento anche a questi Istituti della medesima autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa e contabile di cui godono già musei e parchi archeologici. Di questo e di altro abbiamo parlato con Valentina Uras, dal 16 maggio scorso alla guida dell’Ufficio del Ministero della Cultura che si occupa della gestione e valorizzazione dei musei statali dell’isola. Classe 1979, cagliaritana, con una laurea in giurisprudenza, Uras ha prestato servizio come funzionaria, dal 2010, in diversi istituti del MiC in Piemonte, in Lombardia e, da ultimo, in Sardegna presso il Segretariato Regionale. Arriva alla Direzione regionale Musei nazionali Sardegna dopo essere risultata vincitrice del I corso-concorso per dirigenti tecnici del Mic.
Uras preferisce non parlare degli originali ex poli, oggi appunto direzioni, in termini di “anelli deboli” della Riforma Franceschini, benché dal 2014 e poi ancora nel 2019 si sia proceduto a uno svuotamento di questi istituti, facendogli perdere pezzi a tutto vantaggio dei “grandi” musei autonomi. Le nuove misure sembrano promettere, però, un riequilibrio della partita, sia perché consentiranno finalmente di parlare di pianificazione sul lungo periodo, ma anche di realizzare delle economie di scala e potenzieranno gli scambi in un’ottica di rete. Di quest’ultima fanno parte i Musei Archeologici Nazionali di Sassari, Nuoro e Porto Torres, la Pinacoteca Nazionale di Sassari, il Sistema Museale di Caprera, composto dal Compendio Garibaldino e dal Memoriale Giuseppe Garibaldi, le aree archeologiche di Monte d’Accoddi e “Su Nuraxi” di Barumini, riconosciuta dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’Umanità, la Basilica di San Saturnino a Cagliari, monumento paleocristiano tra i più significativi del bacino del Mediterraneo, l’ex Regio Museo Archeologico Nazionale e lo Spazio di San Pancrazio di Cagliari. Tutti istituti gestiti e coordinati dalla Direziona regionale Sardegna. A questo link la prima puntata
SM. Tra le novità introdotte nel 2014 dalla riforma Franceschini i “poli museali regionali” si sono rivelati da subito i punti deboli della riorganizzazione ministeriale. Secondo Lei quali sono state le criticità di quelle strutture?
VU. Più che parlare dei Poli museali come punti deboli, direi che i Poli erano gli Istituti per cui era ancora necessaria qualche messa a punto, dopo il 2014; e questo per almeno due motivi: prima di tutto perché in taluni casi il novero dei luoghi della cultura che era originariamente assegnato ai Poli Museali veniva assottigliato, con la promozione a istituti autonomi di quelli maggiormente attrattivi. E in secondo luogo perché i Poli restavano ancora privi degli strumenti duttili dell’autonomia. Sotto quest’ultimo profilo, l’ultima riforma ministeriale ha operato un utile correttivo.
Converrà, quindi, che privarli degli istituti più attrattivi sia stato di fatto un “indebolimento”. È poi cambiato qualcosa nel 2019 con le “direzioni regionali musei”, oltre la nuova dicitura?
Nel 2019 non è cambiato molto, con il passaggio dai Poli alle Direzioni, con l’eccezione che sono stati creati ulteriori Istituti autonomi, e che quindi altri luoghi della cultura sono usciti dalla sfera di gestione delle Direzioni Regionali. Questo, alla luce del fatto che l’autonomia ne consentiva una migliore gestione, è andato a beneficio di quei siti; ma quell’operazione, in un certo senso, depauperava le Direzioni Regionali di una parte importante del patrimonio che era loro affidato in gestione. È stato proprio in quella fase che la Pinacoteca Nazionale di Cagliari e il Museo Archeologico di Cagliari sono fuoriusciti dall’ambito gestorio della Direzione, per diventare museo autonomo.
Qual è la ragione per cui è stata introdotta una diversificazione tra direzioni coincidenti con una Regione e altre aggregate ad istituti autonomi? E in cosa consiste la differenza?
Io penso che la ragione del distinguo non sia da ricercare in impostazioni di principio, ma in un ragionamento fatto caso per caso: penso che laddove la creazione di un museo autonomo avrebbe depauperato il patrimonio affidato alla preesistente Direzione così tanto da non rendere ragionevole la sua permanenza, si sia proceduto a creare una Direzione Regionale aggregata. Penso per esempio al caso piemontese, dove il patrimonio gestito dal Polo vedeva il ruolo preponderante delle residenze sabaude, ormai diventate museo autonomo. Immagino che ragionamenti di identico o simile tenore abbiano interessato altri casi. Poi non bisogna dimenticare che ragioniamo sempre in termini di limitatezza della risorsa pubblica: ogni Istituto dirigenziale prevede l’allocazione di una risorsa dirigenziale, e la creazione di nuovi Istituti autonomi ha conteso una buona parte di quelle risorse che in origine erano destinate alle Direzioni regionali: è normale che per alcune Direzioni si sia quindi provveduto a un accorpamento. Questo è frutto di una scelta strategica, di una visione.
Le aggregazioni, poi, avvengono esclusivamente con musei o parchi di livello dirigenziale non generale. C’è una ragione per cui le Direzioni Regionali dei Musei Nazionali non sono state abbinate agli istituti autonomi “più forti” di prima fascia?
Non ne sono certa, ma penso che dipenda appunto da un discorso di allocazione delle posizioni dirigenziali di seconda fascia: le posizioni dirigenziali delle Direzioni Regionali vengono in parte assorbite dagli Istituti autonomi di seconda fascia. In fondo è un po’ come se l’assetto precedente, quello che ha visto la creazione dei Poli museali, venisse ricomposto sotto l’egida delle Direzioni “miste”, ma con l’importante novità della conquista dell’autonomia.
Gli accorpamenti saranno utili anche a generare economie di scala, con la condivisione di servizi, strumentazioni, competenze professionali?
Certo. Dal punto di vista amministrativo questo consentirà di realizzare delle economie di scala, e di rendere più efficiente anche l’utilizzo delle risorse umane, in particolar modo di quelle a cui sono assegnati compiti trasversali, per esempio quelli legati all’acquisto di beni e servizi.
In quest’ottica di rete (se effettiva) sono previsti momenti di scambio, come tavoli tecnici convocati con una certa regolarità, tra voi direttori per confrontare le diverse esperienze? Replicare quelle riuscite, risolvere problemi comuni o condividere modelli e progettualità?
Da una parte la Direzione Generale provvede a raccogliere dal territorio le segnalazioni, sia relative a criticità, sia relative a soluzioni individuate dai singoli, e effettua, con i suoi servizi centrali, un’opera di individuazione, redazione di linee guida che sono un grosso ausilio. È poi anche vero che il confronto tra noi direttori è quotidiano, ed è stato molto facilitato dalle ultime modalità di reclutamento della dirigenza adottate dal MiC. Mi riferisco in particolare all’ultimo corso-concorso per dirigenti tecnici, da cui io stessa provengo, che prevedeva una fase formativa collettiva, durata diversi mesi, che ci ha consentito di sviluppare relazioni tra noi, e di conoscerci. È stata un’esperienza che occorreva affrontare con umiltà, apprendendo dai docenti, ma anche da colleghi di corso, portatori di ricchi bagagli professionali; questo ha comportato mettersi in discussione e disporsi all’ascolto e al confronto, una cosa non scontata. Così come non è stato sempre facile conciliare - per tutti i mesi del corso - gli impegni familiari, soprattutto per chi non risiedeva a Roma. Ma oggi – a posteriori – emergono evidenti i benefici di questa scelta operata dal Ministero.
Cosa pensa che cambierà con la nuova autonomia rispetto al passato? In particolare, dal punto di vista finanziario.
Io credo, e spero, che cambierà anzitutto il profilo della pianificazione, che oggi è il vero grande problema per le Direzioni Regionali: ignorare quali e quanti fondi verranno assegnati per il funzionamento ordinario dell’Istituto, all’inizio di ogni anno o in prospettiva pluriennale, ed essere quindi costretti a una programmazione che difficilmente riesce ad andare oltre l’anno di durata, e pure un po’ alla cieca, è l’ostacolo maggiore, oggi, e costringe inoltre a un surplus di lavoro gli uffici che si occupano degli approvvigionamenti. Spero inoltre che l’autonomia migliorerà la possibilità di calibrare meglio le tipologie di spesa di cui c’è davvero bisogno in ogni Istituto.
L'autrice di questo articolo: Silvia Mazza
Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e dal compianto Folco Quilici nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Come opinionista specializzata interviene spesso sulla stampa siciliana (“Gazzetta del Sud”, “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, etc.). Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale (Carta del Rischio).