Cosa fa l'ufficio stampa della miglior mostra d'Italia del 2024. Intervista a Marco Ferri


La mostra su Federico Barocci a Urbino è stata decretata dalla giuria tecnica di Finestre sull’Arte (oltre 100 addetti ai lavori) come la migliore in Italia nel 2024. Tra i fattori del successo anche l’ufficio stampa, gestito da Marco Ferri: come è stato gestito il lavoro sotto questo profilo? Glielo abbiamo chiesto.

La mostra su Federico Barocci della Galleria Nazionale delle Marche di Urbino (Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna, dal 20 giugno al 6 ottobre 2024, qui la nostra recensione), curata da Luigi Gallo e Anna Maria Ambrosini Massari con Luca Baroni e Giovanni Russo, è stata votata dalla giuria tecnica di Finestre sull’Arte (composta da oltre 100 esperti) come la miglior mostra del 2024. Una mostra che ha avuto un grande successo sia di pubblico, con oltre 80mila visitatori, sia di critica: come si è giunti a questo risultato? Quali le azioni dal punto di vista della comunicazione e dell’ufficio stampa? Ne abbiamo parlato con Marco Ferri, responsabile dell’ufficio stampa della Galleria Nazionale delle Marche.

Marco Ferri
Marco Ferri

FG. Ogni anno in Italia ci sono tante mostre di grande qualità, con diverse novità e a cui lavorano studiosi importanti, ma la mostra su Federico Barocci a Urbino è stata particolarmente premiata da critica e pubblico. Quali i fattori del successo? E in cosa si è differenziata dal resto dell’offerta?

MF. Prima di tutto l’idea: credo cioè che il primo fattore di successo sia la stessa idea di una mostra che riscoprisse questo artista, schiacciato tra manierismo e barocco, e ritenuto forse meno importante dei suoi predecessori urbinati come Piero della Francesca, Bramante e, ovviamente, Raffaello (ma non è così). L’idea di una mostra per riscoprire il grande artista di Urbino che, invece, ha dettato le regole di un nuovo modo di dipingere. L’idea, del direttore Luigi Gallo, di dedicargli una grande mostra: tre anni di preparazione, uno sforzo enorme per riportare a Urbino la bellezza di tante opere in prestito, addirittura da 28 musei, di cui 17 esteri. Un altro fattore è stato sicuramente il luogo, ovvero l’intimo legame tra l’artista e il sito in cui lui ha anche vissuto (perché Federico Barocci risiedette per qualche tempo a Palazzo Ducale). Il Palazzo Ducale di Urbino ovviamente è un luogo di grandissimo fascino, quindi organizzare una mostra così emozionante in un luogo così fantastico, uno splendido contenitore, già di per sé è un motivo del suo successo. E poi, ovviamente, le opere: le otto sezioni in cui era divisa la mostra accoglievano opere importanti, molte delle quali di grandi dimensioni, in grado di creare un pathos, uno stato emozionale al visitatore che forse in altri luoghi non si percepisce. Ancora, l’ottimo lavoro dei curatori (Luigi Gallo, direttore della Galleria Nazionale delle Marche e la professoressa Anna Maria Ambrosini Massari, con la collaborazione di Luca Baroni e Giovanni Russo) ha dato modo di portare in fondo questa grande mostra. Da parte mia, per la comunicazione, ho dovuto pensare a un qualcosa che cominciasse a far capire l’importanza della mostra che si stava per aprire. Barocci è un nome importante, ma non era notissimo al grande pubblico, quindi sono partito da lontano: già a febbraio gli storici dell’arte hanno scritto (e io ho diffuso) un primo comunicato che preannunciava la mostra. Alla fine sono stati cinque i comunicati che hanno diffuso l’interesse prima che il 18 giugno scorso si inaugurasse la mostra. Io, attraverso questa operazione, ho cercato di preparare il terreno per l’apertura della mostra: ogni comunicato aveva un tema diverso, per cui ho cercato di spaziare tra le varie tematiche legate proprio alla pittura di Barocci e all’imminente mostra. Alla fine questa operazione ci ha dato ragione, perché abbiamo avuto oltre 410 uscite sui media (carta e web in particolare), tra cui l’attenzione di tutte le testate specializzate italiane e una bella fetta di quelle estere, come il Burlington Magazine e La Tribune de l’Art. Quindi abbiamo avuto un’ottima risposta sia di pubblico, con oltre 80mila visitatori (vorrei ricordare che la Galleria Nazionale delle Marche supererà le 200mila presenze, e oltre 80mila di questi visitatori hanno visitato la mostra di Barocci). Un grande successo di pubblico, un grande successo di critica, accompagnato dalla realizzazione di un catalogo di oltre 400 pagine, con foto bellissime e schede scritte in maniera perfetta: si sa bene che all’indomani della chiusura di una grande mostra, ciò che resta, ossia la testimonianza del grande evento espositivo, è il catalogo, che oggi testimonia questa mostra, della quale poi anche voi di Finestre sull’Arte vi siete accorti, dato che è stata votata dalla vostra giuria tecnica come la più apprezzata d’Italia del 2024...

Parliamo allora del luogo: abbiamo detto che è stato uno dei fattori di successo della mostra, e che nel 2024 il museo taglierà il traguardo dei 200mila visitatori. La Galleria Nazionale delle Marche comunque è già di per sé un museo molto visitato, anzi visitatissimo, tenuto conto delle dimensioni di Urbino e della sua posizione geografica. Secondo te, il fatto che la mostra si sia tenuta a Palazzo Ducale quanto può aver influito sul suo successo? In altri termini, fosse stata fatta in un museo più periferico avrebbe a tuo avviso ottenuto gli stessi riscontri?

Il forte legame tra contenuto e contenitore, ovvero tra la mostra e il Palazzo Ducale, antica sede del ducato di Urbino, per conto mio è il valore aggiunto di questa mostra. Considera che in alcuni dipinti Barocci aveva addirittura dipinto Palazzo Ducale: più legame di così... tra l’altro, prima di collaborare con la Galleria Nazionale delle Marche, dal 2012 al 2016 sono stato l’ufficio stampa della Galleria degli Uffizi e dell’allora Polo Museale Fiorentino (28 musei): quando vedevo, nel periodo in cui ho svolto quel ruolo, le mostre legate al contenitore, quindi agli Uffizi ma anche a Palazzo Pitti, a Boboli, ovviamente il successo era maggiore, e l’interesse era maggiore. Questo è un fatto sicuramente molto importante, che credo abbia proprio influito sul successo di questa mostra.

Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna

Quello della mostra su Barocci è un modello esportabile e replicabile, oppure ha funzionato anche perché c’era un terreno adatto qui ma difficile da coltivare altrove?

Beh, il forte legame tra contenuto e contenitore è un modello replicabile ed è esportabile, perché no? Laddove ci siano artisti da riscoprire, e questa opera di rivalorizzazione, o di valorizzazione, si svolga in un ambiente, in un edificio magari, in una costruzione che ha un forte legame con l’artista, è ovvio che la cosa non può non funzionare. Se invece sarà un modello replicabile per noi lo vedremo molto presto, perché il direttore Luigi Gallo continuerà in questa opera di “riscoperta” dell’arte marchigiana, urbinate e pesarese in particolare: il prossimo 22 maggio verrà inaugurata la mostra su Simone Cantarini, altro personaggio che colpirà nel segno della riscoperta e sarà un’altra sfida per chi dovrà occuparsi dell’ufficio stampa, perché dovrà cercare di mostrare appeal verso un artista che magari non è così noto come tanti altri.

A proposito di appeal, parliamo di comunicazione: oltre ai comunicati di cui mi hai parlato cosa vi siete inventati per promuovere la mostra, sia coi mezzi tradizionali sia online?

A livello di comunicazione tradizionale, oltre ai cinque comunicati spediti prima dell’inaugurazione, abbiamo fatto un’opera abbastanza capillare di stimolo verso le varie testate, mettendo anche in evidenza le peculiarità di questa mostra. Per esempio era da tempo che non veniva organizzata una mostra su Barocci, ma poi c’era anche un altro aspetto: Lionello Venturi, il primo direttore della Galleria Nazionale delle Marche, in sede di apertura del museo, nel 1913, aveva anche promesso di organizzare una grande mostra dedicata a Federico Barocci, ma poi non fu possibile. Quindi c’era da colmare un gap di 110 anni. In tal senso, il direttore Gallo ha veramente chiuso un cerchio: abbiamo puntato, per la comunicazione, anche su questi aspetti. Poi pian piano la comunicazione, da verbale, cartacea e digitale, ha cominciato a virare verso il video, laddove la mostra stava prendendo forma negli ultimi giorni prima dell’apertura: già quando l’allestimento era in fase avanzata abbiamo cominciato a realizzare dei piccoli video. Io stesso invitai, anzi spinsi il direttore a fare un piccolo video in cui invitava tutti all’inaugurazione dello scorso 18 giugno, e così è stato. E l’invito lui lo aveva realizzato passeggiando tra i dipinti di Federico Barocci. A livello di comunicazione online, tutto era in mano all’architetto Stefano Brachetti, responsabile della comunicazione del museo il quale, attraverso i social, attraverso la newsletter del museo che è veramente fatta bene, curatissima, non ha lesinato sforzi da dedicare a questa grande mostra, e anche lì si è vista la risposta. Il risultato c’è stato ed è stato molto positivo.

Al di là della tradizionale conferenza stampa, il museo ha organizzato dei momenti per i giornalisti come visite guidate ad hoc, viaggi stampa o altro?

Una prerogativa del direttore Gallo è quella della disponibilità, per cui durante la mostra ci sono state decine di visite guidate che lui ha fatto personalmente, per i giornalisti o anche per gruppi. Lui è stato sempre molto generoso da questo punto di vista, perché ovviamente fare una visita guidata con il curatore o uno dei curatori è un privilegio, perché ti spiega bene la mostra, te la presenta, e soprattutto se fai delle domande hai la persona giusta che ti può dare le risposte giuste. Quindi lui non si è mai tirato indietro, anzi: ti parlo di decine e decine di visite. Anche la Rai, le troupe televisive sono venute più volte, addirittura gli amici del Louvre, visto che c’erano prestiti importanti, hanno fatto un gruppo e sono venuti a visitare la mostra, e lui era sempre presente e ha sempre fatto gli onori di casa presentando la sua mostra. Non sono stati fatti viaggi stampa per i giornalisti, forse perché non c’è stato neanche il tempo per prepararli a dovere: teniamo conto anche che Urbino è in un luogo per cui ci vuole qualche ora di macchina per raggiungerlo da qualunque grande città. Rientra però nelle cose che per la prossima mostra cercheremo di mettere a punto.

Quanto avete speso in comunicazione? E quanto ha pesato il budget sul bilancio del museo?

La mostra è costata 900mila euro, quindi rispetto alle cifre che sentivo girare ai tempi in cui ero agli Uffizi è abbastanza bassa, poi sono stati spesi circa 100mila euro per le affissioni nei principali capoluoghi italiani. Non è stata spesa altra cifra, quindi sul bilancio ha pesato relativamente poco. Il mio lavoro era già compreso, ho un contratto annuale col museo.

Sui dati, al di là del numero totale dei visitatori, avete fatto degli studi o comunque avete registrato qualcosa in più sulla composizione del pubblico? Quanti residenti, quanti turisti, quanti giovani e così via?

No, non è stata fatta alcuna rilevazione statistica sulla profilazione dei visitatori della mostra. Ma magari in futuro può darsi che venga approntato questo genere di rilevazioni. Su Barocci però non è stato fatto.

Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna
Allestimenti della mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna

Mostra a Urbino, ufficio stampa di Firenze, due città storicamente molto legate tra loro: ti ha facilitato il lavoro?

No, anzi! A Urbino i Medici... non erano proprio visti di buon occhio! Anche perché parte del patrimonio dei Della Rovere è finito a Firenze. Comunque, Urbino è una città meravigliosa, un piccolo gioiello: quello che mi ha facilitato il lavoro a Urbino è semmai l’esperienza maturata in cinque anni di ufficio stampa degli Uffizi e del Polo Museale Fiorentino. Poi ogni museo ha i suoi rapporti col territorio, che sono fondamentali, per cui alla fine quel che conta è il metodo, e il metodo lo puoi riportare dappertutto. E poi molto dipende dalle capacità dell’ufficio stampa, che può essere collocato ovunque, in qualsiasi città, e al contempo essere ai massimi livelli: quello che conta realmente è il saper fare, e questo viene dall’esperienza, dalla sensibilità, dal modo di approcciarsi con chi è il destinatario delle comunicazioni.

Secondo te, anche tenuto conto di come stanno evolvendo i tempi e i modi della comunicazione, una buona mostra potrebbe avere successo senza un buon ufficio stampa?

Credo di no. Una buona mostra non potrebbe avere lo stesso successo senza un ufficio stampa, perché un ufficio stampa non si occupa solo di scrivere comunicati. Prima di tutto cerca anche i temi, perché il comunicato generale, capite le due-tre regolette giornalistiche, poi sono capaci un po’ tutti di scriverlo: devi andare sui temi, perché una mostra è lunga e non basta solo presentarla all’inizio. L’interesse per una mostra va tenuto vivo, magari approfondendo anche alcuni aspetti, un po’ come ho fatto io per Barocci: un po’ l’ho fatto prima che aprisse la mostra perché era strumentale alla conoscenza del personaggio, ma lo si fa anche durante la mostra, con dei ritorni, e i ritorni devono essere intelligenti, soprattutto nei contenuti, ma anche nei tempi. E questo un ufficio stampa bisogna che lo sappia fare, e lo sappia far bene. Poi l’ufficio stampa è come un ragno: tesse una tela continua, perché deve mantenere i rapporti con la carta, col web, con le emittenti televisive, con le nuove forme di comunicazione, con chi si occupa dei social, con chi fa video-informazione, scovare sempre la notizia, perché un ottimo ufficio stampa credo che sia prima di tutto un giornalista che, sapendo quello che dall’altra parte della barricata i colleghi si aspettano, glielo prepara, glielo confeziona e glielo serve su un piatto d’argento. Per questo, il lavoro di un ufficio stampa è un lavoro che tante volte non appare: è oscuro, non è in vetrina, però alla fine pesa, ha spessore. E poi, avere i rapporti personali con i vari colleghi, con le testate ma soprattutto con i colleghi, significa che quando alzi un telefono o mandi una mail o scrivi un messaggio WhatsApp, dall’altra parte il destinatario sa da che fonte arriva, e se la fonte è autorevole, credibile, onesta, precisa, puntuale, completa, ovviamente il giornalista è più contento e lo aiuti nel suo lavoro. Quindi è un lavoro molto, molto importante e il successo di una mostra credo che dipenda molto anche da questo. Mi permetto una battuta: personalmente, alla fine, con tutto quello che faccio per una mostra o per un artista, mi sento più una sorta di customer care che un ufficio stampa! 

Per concludere, c’è qualcosa della mostra di Federico Barocci che personalmente ti piace ricordare?

La scelta dei due curatori di iniziare il percorso espositivo della mostra con i due autoritratti di Barocci, cioè quello da giovane e quello da anziano: credo sia stata una scelta vincente. Entrando in mostra era come se si fosse suonato un campanello e si fosse presentato il padrone di casa, al quale stringevi la mano. Era un impatto sentito da tutti quelli che hanno visitato la mostra, un impatto che faceva conoscere subito l’artista, e questa è stata davvero una decisione vincente, ma credo non ci sia niente di particolarmente storico-artistico in questa scelta, però a livello umano, a livello di avvicinamento a un grande artista credo sia stato veramente importante.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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