Esordio in Italia per la casa d’aste francese Millon, che arriva nel nostro paese con la sua prima vendita, presentando, il prossimo 27 settembre alle 16:30 presso la Sala Stradivari dell’Hotel Continental, gli arredi (dipinti, mobili, tappeti e oggetti d’arte dal XV al XIX secolo) di una prestigiosa dimora cremonese. I collezionisti all’origine di queste raccolte furono una coppia di colti appassionati d’arte della Cremona degli anni Sessanta, periodo a partire dal quale la collezione iniziò a prendere forma (negli anni Settanta, la raccolta raggiunse già un altissimo livello). Dal gusto raffinato, esigenti nelle loro scelte, discreti fino all’inverosimile, i due collezionisti cremonesi rappresentano precisamente quel “savoir vivre à l’italienne” che spesso all’estero è fatto ancora oggetto di invidia e ammirazione.
Il cuore della vendita è costituito dai dipinti antichi, un vero viaggio immaginario attraverso l’Italia, da nord a sud, con alcune tappe nel nord Europa, attraverso stili diversi, soggetti tutti affascinanti, opere talora non più ammirate da decenni e altre conosciute soltanto attraverso riproduzioni in bianco e nero.
I lotti principali della vendita portano i nomi di artisti ben noti ai collezionisti, anche se il top lot è di un meraviglioso anonimo. Si tratta di un capolavoro della pittura di soggetto popolare del primo Settecento, ovvero il portentoso e anonimo dipinto Popolani all’aperto, recentemente presentato nella memorabile mostra di Giacomo Ceruti a Brescia (150.000 euro / 250.000 euro), tra le opere più significative in esposizione alla rassegna del Santa Giulia. Tra i più straordinari dipinti della storia della scena di genere tra XVII e XVIII secolo, questo dipinto non ha ancora visto la critica accordarsi sulla sua attribuzione, per la maggior parte orientandosi chi verso Ceruti e chi verso Pietro Bellotti. Le vicende storiche dell’opera risalgono agli anni Sessanta, quand’essa fu presentata come anonima presso Relarte a Milano e subito acquistata per gli ambienti dove è attualmente esposta. Notificata immediatamente dallo Stato a seguito dell’attribuzione di Enos Malagutti al Ceruti, pubblicata via via da tutti i maggiori esperti di pittura dell’area padana (Zeri, Gregori, Frangi, Piazza), questo capolavoro di naturalismo, poesia e sincerità è un esempio supremo di quell’arte così tipicamente lombarda dedicata ai popolani più poveri e ai medicanti dalla “miseria infinita” (così Federico Zeri). Attraverso la scelta di un’obiettività scevra di qualsiasi tipo d’artificio retorico, tale da esprimere invece il senso più forte e più eterno del messaggio evangelico, l’anonimo (per ora) pittore focalizza la sua attenzione sulle interiorità che trasudano dagli intensi sguardi dei personaggi in primo piano: l’amarezza, il rancore, la delusione, la rassegnazione, la paura. Quale audace pittore può aver affrontato un tema così disgraziato in una maniera così efficace e su una tela così imponente, quasi fosse un soggetto religioso o storico ? E quale motivo avrà indotto l’insolito committente a tale scelta? La risposta è forse nel tradizionale senso di religiosità diffuso nelle piane lombarde, là ove il messaggio umanissimo e rigorosissimo di Carlo Borromeo (1538 – 1584) si fondeva ancora nel XVII secolo alla laboriosità e al senso di ospitalità e carità tipicamente lombardi. Arcivescovo di Milano dal 1564 al 1584, attraverso le processioni cittadine, i riti liturgici, la moralizzazione di costumi e la riforma della diocesi, Carlo Borromeo rianimò la fede locale, le identità cittadine e delle campagne così come la coesione sociale in particolar modo dei ceti più popolari. La tela può allora esser letta come un manifesto laico di una simile opera moralizzatrice, oppure come un memento “sociale”, fonte di riflessione o di pentimento.
Continuando con i principali lotti, Salvator Rosa (Napoli, 1615 - Roma, 1673) è superbamente rappresentato da un Baccanale di dimensioni e provenienza principesche (50.000 euro / 60.000 euro): la tela risale al periodo fiorentino dell’artista, e più precisamente all’inizio del quinto decennio del XVII secolo. Rappresenta, secondo Millon, “una spettacolare riscoperta per il catalogo dell’artista, riemergendo sul mercato dopo un lungo periodo” (così nel catalogo della vendita). La critica riferisce a questo dipinto le parole che il Passeri dedica nelle sue Vite a un’opera che attirò particolarmente la sua attenzione: “Mandò da Fiorenza a Roma alcuni suoi quadri che colà per proprio studio faceva, e tra gli altri una tela grande nella quale aveva fatto un Baccanale di figure di tre palmi di altezza dentro una selva di bellissima proporzione. Finse un folto bosco opaco per lo suo spesso intrecciamento di tronchi, e di rami, mostrando sfuggire nella lunghezza di un viale, che non aveva termine, se non confuso, e mal sicuro, e nella largura di quello un intreccio di alcune figure di uomini, donne e fanciulli che danzano parte ingnude e parte ricoperte di veste leggiadre, e di ammantature svolazzanti intorno ad un simulacro di Bacco, e da altre stratate per lo terreno con vasi e tazze nelle mani parte in atto di bevere et altre ubriache e sconciamente addormentate con attitudini varie ben compartite, e con ottima disposizione. Il componimento di quel quadro era ammirabile, il paese ben proporzionato alle figure, con maneggio di colore maestrevole, sfrondeggiati gli alberi con grand’artificio, con accordo mirabile di colori, unito nell’armonia, e se le parti avessero avuto corrispondenza al tutto sarebbe stato un quadro singolare”.
Palma il Giovane (Venezia, 1548/1550 - 1628) ci stupisce con un’immensa pala d’altare firmata, dai caldi colori lagunari (40.000 euro / 50.000 euro). L’imponente pala è una riscoperta, poiché riemerge dopo decenni allo sguardo di esperti e ammiratori: databile al 1610 – 1615 circa, è in rapporto stilistico con la Pala di San Marco eseguita dal Palma nel 1614 (Sala Capitolare della Scuola Grande di San Marco, Venezia), simile del resto anche come composizione, e ha per modello di riferimento l’Assunta di Tiziano (1515 – 1518), caposaldo veneziano della pittura religiosa monumentale : la figura di Cristo scorciato, la vorticosa e prospettica ghirlanda di putti e nuvole, le michelangiolesche figure dei santi a grandezza quasi naturale, le ombre profonde, i volumi morbidamente torniti, l’oro paradisiaco della parte alta incorniciato dalle numerose testine dei cherubini, ritrovano i loro riferimenti nella pala cinquecentesca, il tutto armoniosamente concepito grazie alla felice distribuzione dei volumi per cui Palma era così ricercato, con un uso del colore ricco e brillante e di accostamenti preziosi ed efficaci come l’azzurro e il rosa.
Il primo Rinascimento è rappresentato da un’opera di Jacopo del Sellaio (Firenze, 1442 circa – 1493), una Madonna in adorazione del Bambin Gesù (38.000/44.000 euro), tavola già nota a studiosi come Everett Fahy, Roberto Longhi e Federico Zeri, che prende a riferimento la paletta d’altare di Filippi Lippi raffigurante l’Adorazione nel bosco, eseguita nel 1459 per la cappella di Palazzo Medici a Firenze (oggi alla Gemäldegalderie di Berlino), anche se Jacopo reinterpreta il modello e crea qui una composizione nuova, più raccolta e più sintetica, che rispondeva efficacemente al sentimento devozionale dei committenti fiorentini verso il 1480 (anche questo spiega il successo di tale immagine, declinata dal maestro e dalla sua bottega in versioni di volta in volta differenti: qui, l’elegante e rinascimentale Madonna di botticelliana memoria è inserita in un paesaggio affascinante e complesso, lussureggiante e onnipresente, che un cielo chiaro illumina, mentre un intero erbario accoglie il Bambin Gesù, quasi un hortus conclusus di gotica memoria, spazio paridisiaco della purezza e del divino, luogo metafisico della contemplazione).
C’è anche un’opera di Boccaccio Boccaccino (Ferrara, 1467 circa – Cremona, 1525), Due santi, un vescovo e il ritratto del committente (40.000/50.000 euro), messa in relazione dalla critica (Mina Gregori, Marco Tanzi) con un documento dell’aprile 1523 (Archivio Notarile di Cremona), in cui il Boccaccino s’impegnava con gli eredi di Benedetto Fodri a dipingere una pala d’altare di notevoli dimensioni per l’altar maggiore della chiesa cremonese di San Pietro al Po. Poi nel 1555 la pala di Boccaccino fu sostituita con una Natività di Bernardino Gatti (ancora in situ, ma su di un altare laterale), e partir da quella data se ne sono perse le tracce, fino alla pubblicazione della Gregori (1959) del frammento qui presentato. Secondo il documento del 1523, la pala rappresentava la Vergine col Bambino circondata da numerosi santi e dal ritratto di Benedetto Fodri. Per questa pala il pittore fu saldato dell’ultimo pagamento nel dicembre 1524, anno che rappresenterebbe dunque la data ante quem essa fu eseguita. Salvata probabilmente perché contenente il presunto ritratto di Benedetto Fodri, la tavola appartiene dunque al periodo finale dell’attività di Boccaccino, che resta tra le meno conosciute e studiate del pittore ferrarese. Ai modelli del primo Rinascimento sembrano sostituirsi in questa fase i modi umorali delle opere del Romanino, del Bembo e del Melone e la densità materica delle loro pennellate. Ricorda a tal proposito la Gregori i “contrasti chiaroscurali” le “accentuazioni grottesche” e “il mirabile grumo umoresco del profilo del san Pietro, con la mitra troppo greve e lì lì per cadere”.
Il Cinquecento cremonese è rappresentato da Giovanni Battista Trotti detto il Malosso (Cremona, 1555 – Parma, 1619), con una Madonna del Rosario tra i santi Domenico e Stefano (12.000/16.000 euro), che presenta tutte le caratteristiche stilistiche e compositive de Malosso, di cui compare anche la firma sul tipico cartiglio dipinto in basso, al centro della tela: “Malossus faciebat año 1599”. Si tratta di un soggetto molto diffuso nella produzione malossesca e proviene probabilmente da una cappella gentilizia. L’intera composizione è particolarmente vicina a due disegni riferibili al Trotti: uno è la Madonna con Bambino tra due santi conservato al Victoria and Albert Museum, in cui è ripresa la posizione degli angioletti che affiancano il gruppo della Vergine col Bambino, qui ancora concepito frontale e centrale. Il secondo è la Madonna con Bambino, i santi Lorenzo e Giovanni Battista e il committente conservato al Gabinetto dei disegni e stampe degli Uffizi, in cui la Madonna col Bambino e san Lorenzo corrispondono, in controparte, alla zona destra della nostra tela, ovvero alla figura del santo diacono - non riscontrabile invece nei dipinti del maestro a noi noti - e all’impostazione decentrata della Madonna e Gesù tra le nuvole. “Vertice della classica struttura piramidale”, scrive la studiosa Raffaella Poltronieri nella scheda, “la Vergine tiene fra le braccia il figlio che sta porgendo il rosario a san Domenico, composizione già abbozzata in una tela degli anni ottanta, la Madonna di Loreto in collezione privata. Ma più di tutti è accostabile a questo gruppo la Madonna con Bambino delle Courtauld Galleries (inv. 606), un disegno quadrettato che differisce dalla nostra tela solo per la mancanza del rosario nella mano del Bambino”.
Presente anche la sorella di Sofonisba, Europa Anguissola (Cremona, 1548-1549 circa - ante 18 gennaio 1579) con un inedito ritratto virile autenticato per l’occasione dal professor Marco Tanzi (20.000 euro / 30.000 euro). “Il notevole dipinto”, scrive lo stesso Tanzi, “riveste un particolare rilievo nella pittura del Cinquecento cremonese perché risulta essere, allo stato attuale della ricerca, l’unico firmato dei ‘molti ritratti di gentiluomini in Cremona, che sono naturali e belli affatto’ – soprattutto autoritratti – ricordati in primis da Giorgio Vasari quindi dai documenti e dalle fonti a stampa, di mano della penultima figlia di Amilcare Anguissola e Bianca Ponzoni. In questo caso non si può dare torto all’aretino perché il ritratto è di bella distinzione e qualità piuttosto sostenuta. Poi, il ritrovamento viene finalmente a coprire una carenza importante, perché di Europa era nota soprattutto per due dipinti religiosi non esaltanti, due pale d’altare già nella chiesa di Sant’Elena a Cremona, delle quali una sola firmata, la Chiamata di Pietro e Andrea ora nella parrocchiale di Vidiceto. La composizione, “con il personaggio seduto al tavolino coperto dalla tovaglia di velluto verde, intento a scrivere una lettera con uno stilo”, prosegue Tanzi, “rientra nella tradizione consolidata della ritrattistica cittadina, soprattutto di Bernardino Campi, alla metà del XVI secolo”. La tavolozza “è quella utilizzata da tutte le sorelle Anguissola, raffinata ed elegante, con un gusto accentuato per i contrasti cromatici mai troppo enfatizzati ma resi con quella freschezza che rende ogni loro dipinto piacevole allo spettatore: da sfondi neutri emergono i verdi brillanti dei velluti, i neri che virano sul grigio nel raffinato giuppone, con inserti luminosi di bianchi sapienti nei colletti e polsini candidi; e lo studio accentuato delle fisionomie dei volti, tra pallori e rossori addolciti e ribassati nei toni, così da rendere gli effigiati nelle loro espressioni più tipiche, di un naturalismo accostante e mai eccessivo. Proprio nel solco di Sofonisba”.
Il napoletano Battistello Caracciolo (Napoli, 1578 – 1635) è l’autore di una bellissima Salomè, nota come la “Salomè Pelzer” (50.000 euro / 60.000 euro). Nota alla critica a partire dal Voss e dal Longhi, l’opera viene datata dal Causa intorno all’inizio del secondo decennio del XVII secolo. Battistello trattò questo tema in almeno altre tre tele (la Salomé degli Uffizi di Firenze, quella del Museo di Belle Arti di Siviglia e quella di collezione privata), ma di volta in volta in modo differente, trovando nel dipinto Peltzer il suo punto di partenza. Il motivo del prigioniero che si affaccia in alto a sinistra deriverebbe peraltro dalla Decollazione del Battista che Caravaggio dipinse a Malta nel 1608 e la composizione generale è certamente debitrice della sua Salomé dipinta verso il 1609–1610 (oggi al Prado). Ma non solo Caravaggio. Citando il dipinto Peltzer nel 1927, Longhi afferma: “La Salomé, certamente del Caracciolo giovane, come pensa anche il Voss, non dimostra forse la precedenza del napoletano su certi modi – per esempio la contestura e il candore illusivo dei bianchi sul capo della vecchia fante – che si credevano appannaggio particolare del Velázquez? E non si può dire altrettanto della singolare «imminenza» visuale donde procede quella tremendissima e fulminante presentazione?”. Riprendendo Testori, Causa ricorda d’altronde che Longhi ricavò un disegno di sua mano della Salomé Peltzer, tanto ne fu colpito. La Salomé in vendita da Millon mostra dunque i segni di una forte temperatura caravaggesca, con un uso perfetto dell’intensità del Merisi nei contrasti tra luce e ombra e nell’interpretazione delle figure in termini di realismo grafico.
Il caravaggismo nordico è ben evocato dai Giocatori di carte di Gerard Seghers (Anversa, 1591 – 1651): acquistata probabilmente nel 1960, questa tipica scena del pittore fiammingo riemerge per la prima volta sul mercato dopo circa sessant’anni. Grande protagonista del mondo dell’arte e della cultura anversese della sua epoca, Seghers assiste Rubens nella decorazione della Chiesa dei Gesuiti nel 1621; sposa Catherina Wouters nel medesimo anno; è pittore di corte del principe-cardinale Ferdinando; raggiunge la gilda di San Luca e la camera dei retori della sua città, svolgendo ugualmente un’intensa attività come mercante d’arte. Come la nostra tela mostra chiaramente, l’opera di Gerard Seghers condensa in sé le caratteristiche di alcune tra le principali correnti caravaggesche a lui coeve : oltre a quelle d’Anversa e di Utrecht, anche quella italiana e spagnola » (l’artista soggiornò infatti a Roma e alla corte del re Filippo III). Le pennellate corte e pastose si sposano mirabilmente con le ombre dense e penetranti della scena dalle tipiche mezze figure in primo piano; la luce sobria ma precisa crea aloni e riflessi come magici, rivelando e dissimulando al tempo stesso, in un gioco forse malizioso di dolci ambiguità e pacati sottintesi.
Di un raro pittore, Angiolillo Arcuccio (attivo a Napoli tra il 1464 e il 1492), è invece un inedito, imponente e notevole polittico su fondo oro (60.000-80.000 euro). Si tratta di un’opera di notevole importanza e sin qui ancora del tutto ignota del pittore: acquistato nel 1964 da Rinaldo Schreiber e conservato nei decenni successivi nell’attuale collezione cremonese, fu fatto oggetto di una perizia del professor Alfredo Puerari che lo attribuiva a un anonimo pittore, avvicinandolo tuttavia correttamente al polittico riferito dal Causa e da altri all’Arcuccio della chiesa napoletana di San Domenico Maggiore. Ignorato dalla scarna bibliografia successiva sull’Arcuccio, il dipinto in esame è però riferito alla mano dell’Arcuccio in una fotografia dei soli tre pannelli principali (cartone n° 420461) conservata nell’Archivio Fotografico del Kunsthistorisches Institut di Firenze, dove se ne riposta una provenienza da tal Boccardi di Roma e dalla Galleria L’Antonina, sempre di Roma, ed è stato poi citato e parzialmente pubblicato. L’attribuzione ad Arcuccio, sottolinea lo storico dell’arte Pierluigi Leone De Castris, “non presenta particolarmente problemi e, sotto l’aspetto della cultura figurativa il polittico in esame rivela le medesime caratteristiche – proprie di tutte le opere di questo pittore – di forte dipendenza dall’arte valenziana a Napoli negli anni del regno di Alfonso d’Aragona e del figlio Ferrante, in particolare grazie alla figura del pittore di corte Jacomart Baço e forse del suo ‘socio’ Joan Reixach”. Più complessa invece la datazione, collocata comunque da De Castris attorno al 1471.
Tra i lotti di minor impegno economico, ma di non minor interesse artistico, figurano una Madonna col Bambino di Alceo Dossena (Cremona, 1878 – Roma, 1937) esposta alla recente mostra del Mart di Rovereto (1.500/2.000 euro), una bella Vendita delle primogenitura della bottega di Gioacchino Assereto (8.000/14.000 euro), una seicentesca Maternità in legno dipinto (o Allegoria della carità) vicina alle opere di Giacomo Bertesi (3.000/5.000 euro), una tela di Giacomo Francesco Cipper detto il Todeschini (Feldkirch, 1664 – Milano, 1736) raffigurante Tre giocatori di carte (6.000/8.000 euro). Le magnifiche sale che da decenni ospitano queste opere e gli altri lotti inclusi nella vendita saranno eccezionalmente aperte al pubblico unicamente su appuntamento.
“Per la sua prima asta italiana”, afferma Vittorio Preda, esperto d’arte antica di Millon, “la casa d’aste Millon e il sottoscritto non possiamo che essere onorati di poter presentare queste opere ad altri collezionisti e appassionati. Queste riscoperte, che hanno suscitato in noi un grande entusiasmo, non mancheranno certamente di destare altrettante emozioni, confortandoci nell’idea che il nostro è il mestiere più bello del mondo”. L’appuntamento è a Cremona il 27 settembre 2023 alle ore 16:30 presso la Sala Stradivari dell’Hotel Continental, Piazza della Libertà 26, Cremona. Esposizione presso la dimora privata cremonese dal 23 al 26 settembre dalle ore 10:30 alle ore 18:00, solo su appuntamento telefonando ai numeri +33 777 999 260 oppure +39 338 473 5257.