Questa seconda uscita di Diario Romagna si muove su due piani temporali distinti, ma uniti dallo stesso intento. Troverete le voci dei volontari accorsi immediatamente ad aiutare il Museo Guerrino Tramonti (tra i musei al centro della ricognizione della prima uscita). A seguire nel tempo, ma risalendo geograficamente lo spazio delle colline che sovrastano Faenza, arriviamo a Modigliana dove questo fine settimana (il 27, 29, 30 luglio e il 1° agosto) si terrà Terra Mossa, un festival che punta sulla partecipazione, un modo per mettere in luce le diverse anime dei volontari: dagli esperti in restauro alle sonorità di un concerto in collina, tutti testimoni della stessa convinzione: la creatività e l’arte sono la sola risposta.
Gli eventi del 16 maggio sono stati sorprendenti anche se poche settimane prima avevamo già fatto esperienza a Bagnacavallo della forza distruttiva dell’acqua: la prima inondazione, oltre ai danni alle abitazioni e alle aziende, aveva infatti già riempito il deposito del Museo delle Cappuccine di fango, con danni limitati fortunatamente a poche opere e al pavimento da pulire. Per quanto preventivamente allertati, la seconda ondata con la sua diffusione e ampiezza ha lasciato atterriti e la prima reazione una volta resisi conto di essere stati risparmiati è stata quella di assicurarsi che amici e parenti fossero al sicuro, in seconda battuta verificato che era impossibile accedere al nostro deposito perché ancora circondato dalle acqua e quindi irraggiungibile, abbiamo cercato di portare un primo aiuto a chi fosse in difficoltà.
Così mentre i primi gruppi di volontari cominciavano a distribuirsi per la città a prestare soccorso nelle abitazioni, abbiamo pensato ai diversi musei di Faenza che in emergenza potevano avere bisogno di qualche mano abituata a manovrare opere d’arte e il pensiero è subito corso agli amici del Museo Tramonti. Con Milena Camposano abbiamo partecipato nei mesi scorsi a RE-ORG, un importante corso di formazione promosso dal Settore Patrimonio Culturale della Regione Emilia-Romagna incentrato sulla gestione dei depositi museali, sviluppato e proposto da ICCROM; un corso quanto mai attuale visto che per 3 mesi abbiamo intensivamente lavorato su ipotesi di riallestimento di depositi museali, per renderli sicuri, fruibili e funzionali.
L’impatto con il museo alluvionato è stato decisamente uno shock, ricordavamo infatti chiaramente le immagini del deposito che avevamo visto poche settimane prima durante il corso, da riorganizzare ma tutto sommato già piuttosto funzionale ed ordinato; entrare in quegli spazi ora bui, ancora immersi nell’acqua e nel fango è stato un duro colpo. In quel momento non era ancora partita la macchina degli aiuti strutturata che si è messa in moto nei giorni successivi e quindi in quelle prime ore ci siamo trovati ad aiutare Milena e Marco in una iniziale organizzazione dei lavori, cercando di capire cosa fosse più urgente e cosa fosse necessario per poter lavorare in maniera proficua per salvare quante più opere possibili. Con i piedi a mollo in 40 cm di acqua e fango abbiamo iniziato a scandagliare il deposito cercando le ceramiche che erano cadute e che ora erano sommerse, e i quadri che erano stati sparpagliati per tutti i locali: alcuni erano completamente ricoperti di fango, altri erano immersi nell’acqua e dovevano essere subito portati fuori per asciugare prima che il supporto ligneo andasse completamente perso.
Pur essendoci una componente emotiva molto forte una delle cose che mi hanno colpito in quei momenti di grande emergenza è stata la lucidità dei padroni di casa che con grande decisione e chiarezza dell’obbiettivo si stavano muovendo per trovare più aiuti e sostegno possibile, pur nel dolore di vedere il loro patrimonio messo a così dura prova. Nei giorni successivi siamo tornati ad aiutare altre volte, il lavoro si era strutturato grazie alla presenza di tanti volontari, più o meno del mestiere, che hanno portato un contributo di energia ed entusiasmo davvero sorprendenti e che hanno permesso la messa in sicurezza di tutte le opere in un tempo brevissimo. Ovviamente per poter tornare ad una piena funzionalità degli spazi e fruibilità delle opere saranno necessari tempi più lunghi ma sono certo che lo spirito e l’iniziativa di Marco e Milena saranno il motore che renderanno questi mesi pieni di dinamiche fruttuose, creando opportunità e nuove sinergie.
Quando sono arrivato al museo Guerrino Tramonti l’unica cosa che sapevo era che si dovevano recuperare le opere d’arte spostandole dal deposito, soggetto ad allagamento, ad una zona sicura dove pulirle e custodirle, quindi ciò che mi aspettavo erano acqua e fango e opere impiastricciate. Purtroppo ben diversa è stata la scena che mi si è presentata una volta acceduto nei locali del deposito. L’acqua, che aveva lo riempito fino al soffitto, quest’ultimo dopo tre giorni dall’evento alluvionale ancora gocciolante, con tutta la forza con cui vi era entrata, aveva lasciato i ripiani dei vari scaffali orfani delle opere che li occupavano, gettandole a terra. Stessa sorte era capitata ai tavoli metallici che con molta probabilità fungevano da appoggio e servizio alle attività del Museo.
La sensazione d’impotenza di fronte alla devastante forza della Natura, in questo specifico caso dell’acqua, ti rende ancora più consapevole e comprensibile lo sconforto di chi subisce un tale evento, lo smarrimento che rende incapace di pensare lucidamente al tal punto da non sapere da dove e come iniziare per ritornare ad una parvenza di normalità. E questo è ciò che ho colto dalle parole dei direttori del museo. In quel momento ho compreso come il mio essere una persona pragmatica, con indole e formazione di tecnico e l’avere esperienza nella gestione di depositi archeologici, tramutasse un semplice e modesto aiuto in qualche cosa di più, in qualche cosa di essenziale, un supporto, una risorsa per programmare e procedere nel modo più adeguato nel recuperare le opere d’arte. Quindi libero da emozioni, che avrebbero ostacolato e condizionato le decisioni da prendere, ho potuto gestire e dare inizio alle operazioni di recupero, tutti insieme fianco a fianco, e nell’arco della giornata portare al sicuro tutte le opere d’arte avendo cura di separare quelle oggetto di un futuro restauro da quelle incolumi in attesa solo di essere ripulite dal fango che le aveva avvolte. Solo a lavoro concluso ho concesso alle emozioni di emergere, così soddisfatto per il raggiungimento dell’obbiettivo, felice, veramente felice per essere stato d’aiuto, unico motivo che mi aveva portato al Museo Tramonti e consapevole che dalle ceneri, nel ricordo di ciò che è accaduto, la Cultura sa rinascere e ripartire, con animo leggero, con un’esperienza in più, sono risalito in auto e tornato a casa.
In occasione dell’alluvione di maggio in Romagna penso che il sentimento che ha accomunato tutti noi sia stata la voglia di rendersi utili, anche se nel nostro piccolo, a quelle persone che hanno perso tutto. Penso anche che questi eventi, nonostante la loro brutalità, tendano a tirare fuori il lato più umano di noi che troppo spesso tendiamo a dimenticare. Da molti anni vivo in questa zona, che è stata come una seconda casa, per frequentare i miei studi dedicati alla conservazione dei beni culturali e di conseguenza è stato spontaneo rivolgere un pensiero, non solo alle persone, ma anche al patrimonio culturale che ha subito un duro colpo. Proprio per questo ho accolto con felicità la proposta di Simona Lombardi di andare ad aiutare il Museo Tramonti Guerrino di Faenza.
Con Simona e un gruppo di amici e volontari, tra i quali devo ricordare Monica Mazzotta, fin da subito ci siamo adoperati per mettere il più possibile in sicurezza le opere del Museo. Quando siamo arrivate al Museo, la maggior parte delle opere era già stata prelevata dalla cantina allagata, quindi la priorità era pulire i quadri dal fango che vi si era depositato per evitare che si seccasse diventando poi più difficile da rimuovere. È stato un lavoro lungo che ci ha tenute impegnate per molto tempo e che non è ancora finito, ma che mi ha lasciato ricordi e sensazioni indelebili. Al di là del lavoro pratico, la cosa che più mi ha colpito è stato il senso di riconoscenza che hanno dimostrato Marco e Milena Tramonti attraverso gli innumerevoli grazie che ci hanno rivolto per aver fatto quello che a mio avviso non necessita ringraziamento alcuno.
Mi chiamo Simona Lombardi, ho 25 anni e sono nata a Pietrasanta in provincia di Lucca. Le terre colpite sono luoghi a me cari in quanto lì ho trascorso gli ultimi cinque anni frequentando l’università di conservazione e restauro di beni culturali. Non appena saputo dell’accaduto mi sono messa in contatto con gli amici che si trovano in quelle zone e ho cercato di tenermi al meglio aggiornata anche tramite social. Grazie alla pagina di Finestre sull’Arte ho avuto modo di vedere alcune foto scattate presso il Museo Guerrino Tramonti che mostravano le sale invase da acqua e fango. Una volta contattati Milena e Marco, non appena possibile, mi sono diretta là con la volontà e la speranza di poter dare loro una mano. Ho deciso di coinvolgere anche Gemma Giani, amica e compagna di studio in questi anni, e altre volontarie che erano disponibili a venire con noi, recandoci così in museo per la prima volta lunedì 22 maggio. Nei giorni precedenti molti volontari avevano lavorato duramente per recuperare dal seminterrato le opere alluvionate.
È stato un colpo al cuore vedere le sale del museo stracolme di opere addossate l’una sull’altra completamente ricoperte dal fango tanto da essere irriconoscibili. Trattandosi per la maggior parte di ceramiche e quadri, abbiamo dato la priorità a questi ultimi: era infatti importante provvedere alla rimozione del fango prima che si seccasse in quanto in tal caso sarebbe stato molto più complicato ripulire la superficie pittorica. Ci siamo rimboccati le maniche e messi a lavoro: dalle 9 fino alle 18 erano attive quattro postazioni lavoro così da poter ripulire più quadri contemporaneamente e iniziarne via via di nuovi. Il metodo impiegato si è basato sull’utilizzo di spazzole e spazzolini ammorbidendo il deposito da rimuovere con acqua corrente, prestando particolare attenzione ai dipinti su tela, più delicati rispetto a quelli realizzati su altro supporto. Così abbiamo proseguito per più giorni ininterrottamente. grazie al prezioso aiuto di nuovi volontari.
Le opere ripulite venivano trasportate in terrazza, cercando di farle asciugare il più possibile sfruttando le zone d’ombra disponibili e stendendo sul pavimento quelle che iniziavano ad imbarcarsi. Successivamente sono state ricoverate in un appartamento adibito a tale scopo, sfruttando ogni stanza a disposizione e facendo circolare l’aria il più possibile. Inizialmente era difficile immaginarsi la fine di questo ingente lavoro – si trattava infatti di dover ripulire più di un migliaio di quadri – ma pian piano le sale si svuotavano e i colori vividi tornavano alla luce. È inspiegabile l’emozione che ho provato nel sentire pronunciare le parole “questo è l’ultimo”: finalmente ce l’avevamo fatta.
Al contempo, si è tornati più volte nel seminterrato per assicurarsi che nessuna opera rimanesse dimenticata in mezzo all’acqua e al fango che iniziavano ad abbassarsi. Man mano che alcuni volontari si occupavano di ripulire lo spazio portando fuori le cose da buttare, sono emerse ulteriori opere recuperando una cinquantina di ceramiche rimaste miracolosamente integre, cavalletti per dipingere, stampi in gesso e qualche altro quadro. Oltre a ciò, è stata scandagliata l’intera area muovendosi per aree e tastando in mezzo al fango. In questo modo è stato possibile ripescare e mettere in salvo molti frammenti ceramici. Grazie alla disponibilità e all’alternarsi dei volontari, è stato possibile portare avanti le operazioni di pulitura su molte delle ceramiche, iniziando da quelle intatte. A tale scopo, è stato necessario passare più volte la superficie delle opere con spugne imbevute di acqua rimuovendo così il fango depositato. Le ceramiche sono state poste in una delle sale ripulite del museo, effettuando via via una ripartizione tra le opere intere, quelle frammentate ma complete e i frammenti ceramici su cui bisogna ancora iniziare a lavorare. Ad oggi si può constatare che molto lavoro è stato fatto ma che la strada è ancora lunga. Per quando riguarda i quadri, bisogna continuare ad occuparsi della loro corretta asciugatura in quanto su alcuni di essi si è notata la formazione di muffe per cui è stato necessario rimuoverle procedendo tramite l’applicazione di un biocida. Risulta indispensabile far arieggiare i locali, riducendo l’umidità e monitorando costantemente lo stato delle opere fino alla loro completa asciugatura. Sui frammenti ceramici e le parti di stampi in gesso, ancora ricoperti di fango, occorrerà intervenire attraverso la pulitura e la ricerca delle connessioni tra di loro al fine di ricomporre il maggior numero di opere possibili. È stato lungimirante il coinvolgimento dell’università, in particolare di alcune docenti del corso di restauro e la loro disponibilità nello svolgere le lezioni presso il museo, suggerendo migliorie sulla conservazione delle opere e assicurando continuità alle operazioni da portare avanti.
Non ho potuto credere a quello che ho visto ai telegiornali. Non ho potuto credere a quello che ho sentito alla radio. Non ho potuto credere a quello che mi hanno comunicato le testimonianze. Allora sono partita per vivere e vedere quello che non volevo sapere. Quanto è stimolante ridare vita a ciò che vita non ha più? Quanto è soddisfacente vedere il fuoco rinasce dalle ceneri? Cosa significa ritrovare il valore e il prestigio che è stato perso? Questo mi sono chiesta… Fango, terra, rifiuti, polvere, fango, fango, fango, fango, fango, fango ovunque…
Il mio piccolo contributo al Museo Tramonti Guerrino, assieme ad amiche e altre ragazze volontarie, è stato per me una riscoperta, uno stimolo per ripartire e rinascere insieme partendo dall’arte, da uno spazio museale. Ho aiutato dei ragazzi a svuotare la cantina nel buio e nell’umidità ravanando con le mani nel fango, con la melma fino alle ginocchia, ho ripulito diversi quadri con la pompa d’acqua uno ad uno, facendo risplendere e rivivere la bellezza delle opere dei quadri di Tramonti, celata da quella fanghiglia e terra corrosiva. Dietro al disastro vissuto, una grande unione, una forza immensa, un’allegria immisurabile e tanta positività è ciò che ho provato e ho visto con i miei occhi. Si spalava il fango sotto il sole e il caldo, pile di oggetti senza più valore e forma, più ci si muoveva più si affondava in basso e ci si poteva solo pulire gli occhi dalla terra bagnata, ma sotto a questo fango c’erano i sorrisi di chi non si vuole arrendere.
Non scorderò mai la vista della città appena arrivato: la pesante e immobile coperta di fango appiccicoso, le ruspe instancabili, i sorrisi di chi non molla e vuole riscattarsi. Ho camminato attraverso il centro a fatica, per via degli stivali che regolarmente si incollavano nella melma, fino a raggiungere il Museo Tramonti. Sono stato accolto da alcuni volontari che lì lavoravano e dai fantastici proprietari, che col sorriso mi hanno spiegato sommariamente il lavoro da fare. Bisognava pulire il più velocemente possibile le opere dal fango che le aveva coperte, prima che si seccasse e compromettesse irrimediabilmente le tele. Con spazzola e tubo da giardino ho pulito per ore quanti più quadri possibile, liberando dalla patina di fango spazzolata dopo spazzolata, le semplici e armoniose forme, i colori intensi, i bellissimi volti e i soggetti di ogni fattezza che sotto la melma aspettavano solo di tornare in vita. L’emozione più incredibile che porterò per sempre con me è stata la possibilità di salvare le opere d’arte in una maniera così diretta e senza filtri, contribuendo, seppur minimamente, alla conservazione di tanta bellezza, nonostante la tragedia che ci circondava.
Più che un racconto di come è andata l’esperienza di volontariato abbiamo pensato di riportare qualche pensiero che abbiamo condiviso nei giorni successivi. Innanzitutto io (Martina), Simone e Francesco siamo degli studenti universitari fuori sede, veniamo rispettivamente da Trento, Viterbo e Sulmona. Studiamo Chimica dei materiali a Faenza, città che ci ospita ormai da due/tre anni e per la quale, in un momento così complicato, abbiamo deciso di dare il nostro contributo. La mattina stessa abbiamo incontrato degli scout che ci hanno indirizzato verso il museo, noi in realtà non facciamo parte della parrocchia né di altre associazioni di volontariato. Per noi l’esperienza nel complesso ha avuto due facce: intanto, tristezza nel vedere la città sotto il fango, i negozi, le case, le strade devastate. Era come se la città mostrasse un altro volto, e la situazione sembrava impossibile da realizzare. Poi, felicità nel renderci utili. Abbiamo capito che il museo e l’arte che custodite rappresentano la vostra vita, oltre che il vostro lavoro. Nonostante le condizioni difficili in cui lavoravamo, tra l’acqua, il fango e l’aria pesante, eravamo comunque un unico gruppo mosso dall’obiettivo comune di tornare alla normalità. È stato un modo inaspettato di conoscere il museo, la sua storia e venire in contatto con l’arte di Guerrino Tramonti, ma per noi è stato in ogni caso un piacere.
Solamente pochi giorni prima alla Casa-Museo Tramonti si era tenuto un evento speciale: l’inaugurazione di un progetto portato avanti con grande entusiasmo dove le sale della galleria, ricche di opere dell’illustre artista, avevano aperto le porte ad ospitare alcuni tra i più celebri capolavori del maestro Mario Bertozzi in una sorta di primo esempio di gemellaggio tra due importanti rappresentanti del mondo culturale italiano, entrambi facenti parte del circuito “Case e studi dei personaggi illustri dell’Emilia Romagna”. Fu per me un grande onore quello di essere invitato in veste di relatore alla giornata inaugurale ma anche, alcuni giorni prima, l’aver avuto il privilegio di poter sostare in muto colloquio con le creazioni di Tramonti in quell’atmosfera prettamente personale che sempre si crea ogni volta che entro in contatto visivo ed emozionale con capolavori d’arte: quella sensazione di esser al cospetto di entità sacrali poichè generate in mutua sinergia dal lavoro fisico, dall’intelletto e dal cuore, testimonianze ricche di valore per l’intera comunità al cospetto delle quali mi sento ogni volta piccolo e imbarazzato anche solamente a pronunciare qualsiasi parola di lode o persino a respirare accanto a loro.
Poi la tragedia: è stato il mio cuore, oramai così vicino a quelle opere, a spingermi, senza alcuna esitazione, a Casa Tramonti nel tentativo di donare il mio piccolo contributo e, fin da subito, mi sono ritrovato nei magazzini sotterranei del museo a contatto con l’acqua alta e con questi gioielli, ora sfregiati, umiliati, distrutti, sepolti da una sacrilega poltiglia marrone che occultava quella venerabile bellezza che solo pochi giorni prima era ancora intatta. Mi sono unito ad una meravigliosa e calorosa catena umana creatasi nel piano interrato dell’edificio avente lo scopo di passarsi le opere per farle emergere dal fango e trasportarle poi in tutta fretta ai piani superiori e, durante la condivisione di questo lavoro, al buio e munito solamente di una torcia da minatore, mi è giunto tra le mani lui: un dipinto sporco di melma rappresentante un volto, forse un autoritratto dello stesso Guerrino Tramonti! Nella fretta del lavoro i nostri occhi si sono incontrati per un breve istante e quello sguardo mi ha parlato: in una frazione di secondo ho capito che le opere che prima non osavo neppure sfiorare erano in quel momento lì, tra le mie mani sudicie, ma quel viso sporco di terra e quel quadro violato dalla materia fangosa continuava comunque ad avere un’aura divina nonostante l’umiliazione ricevuta. Mi sono accorto che la persona che mi precedeva aveva già pronta un’altra opera da passarmi e così ho ceduto il quadro che avevo nelle mani al volontario che mi seguiva distaccandomi da quegli occhi che rimarranno per sempre come il momento più importante e colmo di insegnamenti in mezzo alla devastazione che mi circondava consentendomi di riportare alla mente un pensiero di Pablo Picasso: “L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”.
Laura: Da mesi abbiamo iniziato una collaborazione tra la Casa Museo Brindisi del Lido di Spina e il Museo Guerrino Tramonti per un programma di iniziative previste per il prossimo anno, per valorizzare i due musei. Dopo l’alluvione ho sentito che dovevo andare. Tutto sommato, buttarsi ad aiutare serve ad alleviare anche il nostro di animo, quello di vicini addolorati per quello che è successo. Verificato con la Polizia stradale che ci si poteva arrivare, io e Claudia, insegnante e archeologa di Ferrara, partiamo dunque il giorno 21 maggio per andare a vedere cosa si può fare. Rispetto a Comacchio, la Romagna si trova appena a sud delle Valli e già ad Alfonsine si incontrano campi, frutteti, case e chiese allagate. A Bagnacavallo si vedono i primi ragazzi intenti a spalare fango. Però tutto ciò non ci prepara abbastanza per l’arrivo a Faenza. Ci sono auto messe in salvo nelle zone alte, auto di volontari parcheggiate ovunque, gente infangata, strade interrotte. Avvicinandosi alla zona del fiume, si entra in una specie di nebbia, creata dalla polvere di camion e altri mezzi che portano via fango e macerie. Davanti alle porte delle case ci sono montagne di mobili, pezzi di mobili e rivestimenti, oggetti più disparati, tutti da buttare, tutti grigi di fango e per lo più irriconoscibili. C’è un odore di fango che impregna tutto, fango e polvere ovunque. C’è un’atmosfera incerta tra desolazione e speranza, quest’ultima incarnata soprattutto dai tanti giovani che si prodigano ovunque con le pale.
Claudia: Arrivate davanti alla casa-museo Guerrino Tramonti, Marco Tramonti e Milena ci hanno accolto con il sorriso, malgrado il profondo stato di angoscia che non si può non provare quando hai visto entrare in casa il fiume, che prima scorreva tranquillo sotto i ponti della tua città. Alcuni volontari del gruppo archeologico San Domenico di Cesena, che nel frattempo ci avevano raggiunte, ci accompagnano dentro, assegnando a ciascuna di noi un compito. Dopo avermi procurato una lampada frontale e un paio di guanti, mi indicano la scala che conduce all’archivio sotterraneo, dove erano conservate le opere non esposte nelle sale del museo. Mi spiegano come si erano organizzati e tutte le precauzioni, alle quali è necessario attenersi, e poi, scesi i gradini che si perdono nell’acqua scura, arrivo al pavimento. Camminando con gli stivali di gomma nella fanghiglia fino a mezza gamba, urto tavole di legno galleggianti e pesto frantumi di non so cosa, quindi, cercando di non inciampare tra i rottami, m’inserisco nella catena umana intenta a recuperare i dipinti. I sorrisi, la chiacchiera leggera e la perizia dei movimenti, prevalgono sulla tensione dell’urgenza e lo sgomento di trovarci al buio con tra le mani, subito scivolose per la melma, i dipinti completamente fradici e ricoperti di fango. Dopo aver svuotato gli scaffali più bassi, ci siamo allungati per prendere le opere che si trovavano in alto, incuranti della doccia fangosa che ci pioveva addosso, perché preoccupati che non subissero lesioni. Terminata l’operazione siamo finalmente risaliti e subito abbiamo iniziato a rimuovere il fango dalle opere, attività che è proseguita anche nei giorni successivi. Veder riapparire le forme ancora intatte e la brillantezza dei colori mi ha regalato un’emozione che non dimenticherò.
Laura: Arrivate al Museo Tramonti vediamo che si lavora intensamente: sono già in molti a far emergere dal deposito interrato le opere. Claudia sparisce subito nel buio del deposito, con una torcia sulla fronte e gli stivali immersi nell’acqua sino quasi al ginocchio. Io e altri tre volontari, tra cui Alessandro Porro, facciamo la catena per le scale infangate e distribuiamo quadri e ceramiche lungo le sale del museo. Mi colpiscono soprattutto i quadri, inzuppati e coperti di fango. Sono su tela e masonite, pochi su tavole multistrato, su tavole di una sorta di truciolare o su cartone. Mi chiedo sconsolata come si potranno salvare e mi sento dire da Laura, mia omonima: “intanto porta su e non ci pensare!”. Giusto. La famiglia sa che Guerrino Tramonti era uso lavare i propri quadri con l’acqua del rubinetto, tanto è forte la loro materia. Ci provano. Sono dipinti ad olio di superficie compatta, che ingloba sabbia per dare matericità alla superficie. Il fango è un’argilla fine, color nocciola, molto diluita (proprio come una barbottina), che viene via bene sotto il getto d’acqua dalla gomma del giardino, con l’aiuto di una leggera passata di spazzola morbida sulla superficie.
Nell’emergenza, bisogna prendere una decisione veloce e bisogna agire prima che il fango asciughi e non lasci scelta. I proprietari si prendono la responsabilità di lavare via il fango con l’acqua. Penso sia la decisione giusta perché vedo che la superficie delle opere è compatta. Non si tratta di prendersi l’arbitrio di bagnare le opere, in quanto sono già impregnate d’acqua. Anche i supporti paiono reggere bene. Penso che l’acqua pulita possa anche togliere via una parte delle sostanze inquinanti che l’alluvione ha veicolato. Soprattutto, se il fango venisse lasciato sulle opere, temo si aggrapperebbe molto alla superficie ruvida dei quadri e, asciugando e ritirandosi, potrebbe causare crettature e stacchi. E comunque verrebbe rimosso con grande difficoltà.
Sulle ceramiche si agisce solo a spugna, portando via pian piano il fango. Le ceramiche a smalto non paiono avere problemi. Quelle a vetrina pesante e spessa sembrano un po’ appannate, probabilmente hanno assorbito acqua sporca dell’alluvione dalle tipiche crettature della superficie, non so dire. Sono molto delicate. Ci conforta la presenza di due restauratrici venute da Firenze, che coordinano i lavori. Nella Casa Museo c’è un appartamento vuoto al primo piano, che con il passare dei giorni si riempie delle opere lavate, dopo che hanno smaltito un po’ di umidità al piano terra o sul terrazzo, in ombra. Il giardino dove si lavora con l’acqua è una distesa di sabbie mobili, mentre nel museo si cerca di tenere il pavimento lavato e non troppo bagnato, nonostante tutti gli stivali infangati che lo percorrono avanti e indietro.
Alla fine nell’appartamento al primo piano e nella sala grande del museo ci sono più di 1300 quadri e molte ceramiche. Un mosaico coloratissimo. Alcuni quadri sembrano non aver risentito per nulla della disavventura, su altri rimane una leggera patina di argilla che penso possa essere rimossa con adeguati impacchi in un restauro professionale. Riguardo ai supporti, le tele non evidenziano problemi a vista. Qualcuna delle opere su masonite e su compensato tende a deformarsi asciugando. Vengono lasciate in orizzontale per quanto possibile. Vi sono anche opere, soprattutto su cartone e truciolare, in cui si riscontrano zone di sollevamento e sfaldamento del retro, ma in cui resiste la superficie pittorica. Altre – una piccola percentuale, per fortuna – presentano distacchi di parti del dipinto o del supporto: queste ultime vengono lasciate come sono, senza provare a intervenire.
Per ultimi vengono estratti dal deposito sotterraneo gli stampi in gesso e i frammenti di ceramiche rotte, già in antico o durante l’alluvione, e alcune ceramiche semi lavorate e lasciate incompiute da Tramonti. La presenza di fango su questi oggetti è ancora più importante. A riprova dell’estrema perizia artigianale di Guerrino Tramonti, i gessi sono forti e compatti, con superfici nette, salvo pochissime eccezioni in cui parti marginali sembrano sfaldarsi ed evidenziano la presenza delle fibre annegate nel gesso. Ma sono davvero poche, forse già rovinate da prima. Ci sono stampi per sculture tridimensionali e per bassorilievi. Pochi stampi per bassorilievi vengono sciacquati dal fango ancora liquido. Per lo più viene lasciato il fango sia sugli stampi in gesso che su frammenti di ceramica, soprattutto piatti a vetrina spessa, anche in vista di un intervento di ricerca di studenti e professori dell’Università di Bologna previsto per i giorni successivi.
I danni sono tanti. È andata persa una parte dell’archivio. Alcuni dei muri sino al livello dove è arrivata l’acqua, sono crettati, hanno muffe o sono addirittura distrutti, alcune porte non si chiudono più, il pavimento è saltato in più punti. Le piante nel giardino sono sepolte dall’argilla. Allo stesso modo di molti altri giardini in cui magari spunta una rosa, la parte alta di qualche pianta moribonda da un deserto di fango che sta asciugando e crettando. Ci vorrà del tempo e delle fatica, ma il museo rifiorirà.
Gran parte delle cose che l’umanità si è dovuta inventare nel corso della propria permanenza sul pianeta nasce in relazione, quando non in risposta, a eventi imprevisti che cambiano un paradigma. Che rompono una continuità. Non è una novità, non va commesso l’errore di pensare che quanto accade a noi sia sempre e comunque qualcosa di nuovo e unico.
Le frane di maggio hanno cambiato - presumibilmente non per la prima né ultima volta - il paradigma di rapporto con il nostro territorio collinare. Certamente il cambiamento è traumatico per definizione. Apre ferite, ma anche possibilità.
Una vasta gamma di valutazioni su quanto accaduto recentemente in Romagna spetta ai tecnici del settore, ai politici, ai rappresentanti istituzionali. È fuori di dubbio che occorra riflettere sulle evoluzioni climatiche, e prima ancora sulla presa in cura del territorio, e farlo in maniera più distante possibile dagli hashtag e dagli slogan.
Non ho dubbi che ci siano istanze nuove da recepire, anche partendo da questi eventi. Ho una naturale – spero sana - resistenza ai dogmi a reti unificate. In genere quelli sostengono il cambio di un paradigma commerciale, non culturale.
Agli artisti credo spetti un’analisi non quantitativa degli accadimenti. Credo spetti in primis un lavoro sull’anima e sul senso delle comunità, traumatizzate e marginalizzate da un nuovo senso di impotenza e di isolamento. Da una paura antica ma pure nuova, che ha a che fare anche con il molto moderno concetto di FOMO (Fear Of Missing Out), di paura di rimanere tagliati fuori, non solo dal ciclo delle news, non solo dalle reti di comunicazione, ma dal flusso delle cose che si muovono ed evolvono. La periferia che torna periferia, che non può tenere il passo del centro. Che si spopola e scompare.
Davanti agli eventi traumatici non credo alla logica delle cetre appese alle fronde dei salici, al rispettoso silenzio, e ancora meno credo a un’arte che con la scusa di documentare produca un selfie di sé stessa, col disastro sullo sfondo. Credo a un’arte che si candidi come parte integrante del quotidiano e sappia rimettere in circolo stimoli, energie, spunti. Vitali.
Abbiamo chiesto ad amici artisti, in prevalenza musicisti, di lavorare sul concetto di comunità. E di ospitalità. Prima ancora di raccogliere fondi il punto è condividere, invitare la gente a salire di nuovo a Modigliana, non avere paura, con-vivere il centro storico, proprio a ridosso di uno dei fiumi che stavano per esondare, proprio sotto le frane che hanno cambiato il paesaggio in una notte.
Hanno risposto in tantissimi, ne abbiamo ricavato un piccolo festival che si chiama Terra Mossa. Musica, ma anche openstudios e presentazioni di libri. Terra Mossa, come quella scesa dai monti, sulle strade, come la nostra Terra che deve rimanere in movimento, vitale, evolutivo, e non farsi schiacciare.
La collina, la periferia, che crea comunità ed eventi a modo suo, con i propri sistemi e le proprie specificità, e non insegue al ribasso le tendenze del centro. Che parte dai suoi artisti, mette in comune e produce idee. Che si ripensa come territorio vitale di sperimentazione. Che dà la propria risposta, collettiva, e la da’ in strada, all’assordante chiacchiericcio social-individualista.
Non più tardi di tre anni fa abbiamo commesso l’errore, imperdonabile, di pensare che una emergenza, ancorché’ seria, potesse presupporre la sospensione di qualsiasi altra esigenza sociale, spirituale, etica di una comunità, e a monte persino di un dibattito civile. È stato un disastro sociale incommensurabile i cui effetti già hanno valicato, e per anni valicheranno, quelli dell’emergenza in sé.
Terra Mossa significa che in primis non si può né si deve stare fermi, di fronte a nulla. Può essere un pezzo unico, o anche una prima edizione di qualcosa di nuovo.
Per ora è la prima risposta che ci è venuta in mente. Passate a trovarci.
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