Diario Romagna, testimonianze dall'alluvione. Parte 1: musei e istituzioni


Parte oggi Diario Romagna, una rubrica basata su una partecipazione corale, spontanea, condivisa e democratica. A due mesi dall’alluvione che ha sommerso la Romagna raccontiamo, ogni settimana, cosa (e come) si è salvato. Si inizia oggi con le testimonianze di musei e istituzioni. 

Parte oggi Diario Romagna, una rubrica basata su una partecipazione corale, spontanea, condivisa e democratica. A due mesi dall’alluvione che ha sommerso la Romagna si è deciso di dare voce non a ciò che è andato perduto, ma di raccontare cosa - e come - si è salvato. Per questa ragione ogni puntata sarà composta da più parti: i racconti e le voci dei soggetti che hanno subito l’alluvione e le testimonianze di chi ha deciso di aiutare.

Obiettivo è quello di creare un diario pubblico, un modo per condividere l’esperienza che ha segnato i giorni dell’alluvione mantenendo vivo lo spirito di scambio e solidarietà creatosi spontaneamente. Si racconterà come si è deciso di intervenire in mezzo al fango, come resistere quotidianamente (in una ricostruzione che superi l’emergenza), come programmare interventi di sicurezza per il futuro. Le voci sono quelle dei protagonisti della scena dell’arte, ma anche sconosciuti, appassionati, curiosi, volontari. Il diario Romagna è tutto questo: un terreno ibridato, non gerarchico, aperto.

NDR. La prima parte della prima puntata, in uscita oggi, è dedicata ai racconti delle istituzioni e a quelli dei musei colpiti dall’alluvione, direttamente dalla loro voce.

Massimo Isola (Sindaco di Faenza, Presidente AICC - Associazione Italiana Città della Ceramica)

Faenza è una città di cultura, di ceramica, di relazioni internazionali. Nello sciogliersi delle colline la creta è arrivata nelle nostre cantine e nelle botteghe. Tuttavia è proprio la sua dimensione da città d’arte e di cultura che ha toccato così tanti volontari, e sarà anche il segno della nostra ripartenza.

Ci siamo infatti occupati di un’emergenza straordinaria, ma non ci siamo certo dimenticati ciò che siamo e ciò che vogliamo tornare ad essere. Stiamo attraversando un momento difficile, l’alluvione ha coinvolto moltissime e differenti realtà e ci stiamo muovendo contemporaneamente su più fronti: le case private, gli spazi pubblici di cui state parlando, le attività artigianali, le attività agricole. Questa alluvione ha coinvolto numerose situazioni, è stato certamente un evento che ha avuto un impatto forte sia in termini materiali che immateriali. Ci ha privato di tante cose, ma ha anche generato grandi storie collettive. Lo spirito di comunità è certamente stato il motore che ha permesso la ripartenza, cercando di tenere insieme emergenza e ricostruzione. Immediatamente ci è sembrato necessario darci degli obiettivi, ricostruire ciò che si è perso. La città sta certamente attraversando uno stato di sospensione, da un lato l’emergenza dall’altro la voglia di ripartire e siamo certi che ripartiremo proprio dall’arte e da ciò che ci rende unici.

Il 2 e il 3 settembre a Faenza si terrà un’edizione speciale di un evento a noi molto caro, Madeinitaly, un festival con focus sulla realtà ceramica italiana. Sarà per noi importante che questa edizione sia il simbolo della nostra ripartenza e soprattutto della nostra identità. Dopo mesi di emergenza la ceramica torna ad essere quello che è sempre stato per noi: un ponte verso il mondo e il segno di un’identità.

Faenza nei giorni dell'alluvione. Foto: Comune di Faenza
Faenza nei giorni dell’alluvione. Foto: Comune di Faenza
Volontari al lavoro a Faenza. Foto: Comune di Faenza
Volontari al lavoro a Faenza. Foto: Comune di Faenza
Volontari al lavoro a Faenza. Foto: Comune di Faenza
Volontari al lavoro a Faenza. Foto: Comune di Faenza

Benedetta Diamanti (Dirigente Responsabile, Settore Cultura, Turismo, Sport e Politiche Internazionali, Comune di Faenza)

Questo è un racconto che vorrei racchiudesse le prime impressioni rispetto al trauma che la città ha subito, ma anche rispetto a come ha deciso di reagire.

Direi che le prime impressioni sono sicuramente tre. La prima è il senso di sgomento, di incredulità e paura della gente perché l’acqua è arrivata dentro le mura dove ci si sentiva al sicuro. Faenza è una città con una storia medioevale e rinascimentale: le mura sono tante cose per la città. Sono la roccaforte della città, sono il nostro immaginario, sono in alto. Nessuno si sarebbe aspettato l’acqua lì. È stato un colpo grande anche al senso di sicurezza delle persone, qualcosa che ti mina nelle certezze. Le persone si sono sentite tutte più fragili nel vedere accadere l’impensabile.

Quando camminavi per le strade, scivolando nel fango, vedevi le facce della gente e ti tornavano alla mente le parole di Leonardo che, arrivato in Romagna su invito di Cesare Borgia, diceva che qui c’era "terra buona da far boccali”. Questo mi porta alla seconda considerazione: l’argilla che ha reso grande questa città della ceramica ci correva per le strade. Il letto del fiume Lamone ha sparso per Faenza un velo di un materiale che conosciamo e amiamo. Non ci saremmo mai immaginati di doverlo guardare come un nemico. Subito dopo è però nata forte una sensazione: è questa l’essenza di questa città, è da qui che dobbiamo ripartire. L’idea di molti creativi in città di conservare questo materiale che ci ha invaso per farlo diventare opere, ad esempio, ne è un segno.

Prova di questa centralità della cultura è la terza considerazione che mi è nata in questi giorni e che vorrei condividere: il senso di appartenenza dei giovani che per primi hanno sentito il bisogno di tornare nei luoghi della cultura. Tutti i ragazzi che sono passati in biblioteca o nei musei sono venuti, sono tornati, tutti sentivano il bisogno di essere lì. Gli spazi culturali che hanno dato qualcosa ai giovani sono stati accuditi proprio da quegli stessi giovani che hanno scelto di aiutare la cultura, prima ancora che svuotare la propria cantina.

Nella tragedia della biblioteca di Faenza possiamo dire di avere avuto paradossalmente fortuna: erano lì conservati tutti testi ancora in stampa e quindi abbiamo la speranza di poter ricostruire tramite donazioni, ripensando anche lo spazio a servizio della comunità che l’ha difesa. Altra realtà duramente colpita è quella della Scuola di Musica Sarti, dove il vetro antisfondamento è stato distrutto dalla forza dell’acqua. Ci sono foto che fermano il cuore, strumenti distrutti. Eppure anche lì studenti, famiglie, volontari si sono immediatamente prodigati per recuperare.

Faenza ha sicuramente avuto un pesante bilancio in termini di luoghi culturali colpiti, solo per citarne alcuni: il Museo Carlo Zauli, il Museo Guerrino Tramonti, il museo-bottega di Ivo Sassi, la Scuola di Musica Sarti, la Biblioteca Manfrediana (per non parlare delle storiche botteghe cittadine). Però la sua anima artistica è emersa con una forza unica: il concentrarsi dei giovani nei luoghi della cultura è stato un segnale chiaro. Si poteva ripartire solo dando la priorità alle interazioni che avvengono in questi luoghi. Ricostruire quello era più urgente del privato.

La Biblioteca Manfrediana. Foto: Assessorato alla Cultura Regione Emilia-Romagna
La Biblioteca Manfrediana. Foto: Assessorato alla Cultura Regione Emilia-Romagna
La Biblioteca Manfrediana. Foto: Assessorato alla Cultura Regione Emilia-Romagna
La Biblioteca Manfrediana. Foto: Assessorato alla Cultura Regione Emilia-Romagna
La Scuola di Musica Sarti
La Scuola di Musica Sarti
La Scuola di Musica Sarti
La Scuola di Musica Sarti

Valentina Mazzotti (Conservatrice del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza)

Dopo l’alluvione del 16 maggio Faenza ha dovuto fare i conti con un’emergenza sconosciuta per entità ed estensione, alla quale per molti versi la comunità locale non era preparata, nonostante i drammatici antefatti di due settimane prima. Un mare di acqua e fango si è riversato sulla città e se il Museo Internazionale delle Ceramiche (MIC) si è salvato per la sua ubicazione defilata rispetto alla zona colpita, una sorte diversa è toccata a tanti laboratori e botteghe di ceramisti, che insieme a musei, biblioteche e archivi sono stati duramente colpiti.

Un abbraccio di solidarietà e aiuto ha avvolto immediatamente la città per cercare di recuperare dalla devastazione e dalla negazione del fango brandelli di vita, memorie di lavoro e documenti di storia e arte. Anche il MIC non ha fatto mancare il suo aiuto al tessuto produttivo, artistico e culturale legato al mondo della ceramica. A Casa Muky sono state ospitate alcune realtà che hanno perso tutto nell’alluvione, quali i giovani ceramisti di Pantou Ceramics e il laboratorio di restauro di Simona Serra. Sono inoltre stati depositati i materiali e gli stampi della bottega di Maria Sintoni, per consentire i lavori di ripristino degli spazi originali alluvionati.

Sul fronte delle botteghe si è intervenuto aiutando la Vecchia Faenza nel recupero del materiale librario. I libri infangati e bagnati sono stati ripuliti con acqua. Si è poi proceduto alla tamponatura dell’acqua in eccesso con l’interposizione di un foglio bianco di carta assorbente per ogni pagina e al successivo completamento dell’asciugatura con sacchetti assorbenti per 48/36 ore e successiva esposizione all’aria aperta. Inoltre, presso il laboratorio di restauro del MIC è stato ricoverato un nucleo di ceramiche provenienti dal museo Guerrino Tramonti, il cui patrimonio di dipinti e ceramiche è stato sommerso dall’allagamento degli spazi espositivi e delle zone di deposito. Le ceramiche accolte al MIC sono state preliminarmente pulite dal fango, con la collaborazione degli studenti del quinto anno del PFP4 della Laurea Magistrale a ciclo unico in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università di Bologna – Campus di Ravenna e con la supervisione della docente Ana Cecilia Hillar. I necessari restauri verranno programmati nell’ambito di un futuro accordo con il museo Tramonti che comprenderà anche azioni mirate al patrimonio ceramico ancora in fase di recupero.

Il personale del MIC ha inoltre supportato il museo Carlo Zauli nelle delicate fasi di recupero delle ceramiche ma soprattutto del vasto nucleo di stampi in gesso. Nello specifico si è dunque proceduto alla movimentazione delle ceramiche e delle terrecotte dell’archivio che sono state provvisoriamente messe in sicurezza nelle sale del museo, nonché al recupero di una parte dei gessi provenienti dai depositi sotterranei pesantemente alluvionati, coordinando le operazione di pulitura dei medesimi dall’abbondante fango con acqua, spugne e pennelli, evitando l’uso di spazzolini troppo abrasivi sulla superficie infragilita dall’umidità e favorendo l’asciugatura con l’esposizione all’aria aperta, quando possibile, o in zone ventilate del museo. Gli stampi in gesso particolarmente ammalorati per la prolungata permanenza a contatto con il fango e l’acqua, sono stati puliti contenendo o evitando l’uso dell’acqua, ma asportando il fango con metodi meccanici e strumenti non abrasivi (garze, reti in poliestere, stecche in bosso per la modellazione dell’argilla) e successiva finitura non definitiva con l’aiuto di spugne in cellulosa o lattice per limitarne al massimo l’apporto di acqua e con successiva asciugatura con l’apporto di aria calda (phon) e pennellesse morbide. Si tratta di un sistema di intervento predisposto in situ, suscettibile di variazioni in base al livello di essiccamento del fango. Tali operazioni sono state svolte coinvolgendo Camilla Mazzola, docente restauratrice all’Accademia di Belle Arti di Brera e Vicepresidentessa dell’IGIIC.

Analoghi interventi sono stati condotti anche presso lo studio-museo di Ivo Sassi con il recupero e la pulitura delle ceramiche, dei modelli e degli stampi in gessi, anche con l’aiuto di alcune studentesse del quinto anno del già citato corso di laurea di Ravenna, e il conseguente immagazzinamento dei materiali nello spazio di deposito, favorendo l’aerazione con ventilatore e buste assorbenti l’umidità in eccesso.

Infine il personale del MIC ha coadiuvato nelle operazioni di recupero del materiale librario provenienti dai depositi della Biblioteca Comunale “Manfrediana”. L’emergenza ancora in corso, seppur con il suo strascico di inevitabile perdite e gravi danneggiamenti, deve rappresentare un’importante occasione di valutazione delle strategie di gestione del patrimonio artistico e culturale in situazioni emergenziali, ripensando l’organizzazione dei manufatti in deposito e in esposizione e la loro sicurezza, anche con l’individuazione di criteri di priorità che tengano conto del pregio e dell’importanza delle opere, nonché delle loro caratteristiche fisiche, conservative e di accessibilità. Rappresenterà una sfida per il futuro la formulazione di strategie preventive di gestione delle emergenze per fronteggiare al meglio le situazioni di crisi che potranno (purtroppo) determinarsi. È ancora presto per fare bilanci, ma è auspicabile che anche dalle critiche situazioni attuali possano focalizzarsi linee guida e indicazioni metodologiche e operative per la gestione delle future emergenze.

Restauratori del MIC di Faenza insieme ad alcuni studenti volontari al lavoro per il restauro di alcune ceramiche del Museo Tramonti danneggiate dall'alluvione. Foto: MIC Faenza
Restauratori del MIC di Faenza insieme ad alcuni studenti volontari al lavoro per il restauro di alcune ceramiche del Museo Tramonti danneggiate dall’alluvione. Foto: MIC Faenza
Restauratori del MIC di Faenza insieme ad alcuni studenti volontari al lavoro per il restauro di alcune ceramiche del Museo Tramonti danneggiate dall'alluvione. Foto: MIC Faenza
Restauratori del MIC di Faenza insieme ad alcuni studenti volontari al lavoro per il restauro di alcune ceramiche del Museo Tramonti danneggiate dall’alluvione. Foto: MIC Faenza

Marco Tramonti (Presidente della Fondazione Museo Guerrino Tramonti e figlio dell’artista)

Il Museo Guerrino Tramonti si trova nella casa in cui sono nato, che mio padre fece costruire agli inizi degli anni Sessanta, pensando al suo laboratorio, allo spazio per i suoi materiali, al negozio in cui mia madre vendeva le sue ceramiche e alle abitazioni per la sua famiglia. Mi sono impegnato tanto, dalla sua scomparsa, per essere il degno custode del suo lascito, convinto di quanto ancora avessimo da scoprire di lui, attraverso le sue opere.

Quella notte, ho visto entrare in casa il fiume, con tutta la forza devastante di cui la natura è capace, lo stesso fiume che avevo visto per tanto tempo scorrere tranquillo sotto i ponti della città. L’attesa per poter scendere nuovamente le scale, invase dall’acqua, e rientrare dove oggi ci sono il Museo e il Deposito, è stata lunghissima, un tempo in cui ho temuto il peggio e che ho vissuto preparandomi al peggio.

È stato un colpo al cuore vedere opere a terra, sfregiate e umiliate da acqua e fango. In tutto conserviamo circa 2.200 opere, fra ceramiche, sculture e dipinti; poi l’archivio, gli stampi, i cavalletti che mio padre usava per dipingere, che vedevo galleggiare e non potevo accettare marcissero nel fango.

Sono abituato ad agire in solitudine ma ho subito capito che l’urgenza di spostare le opere in un luogo asciutto e rimuovere il fango che le copriva era un’operazione che non poteva aspettare e non potevo fare da solo. Così ho chiesto aiuto. La risposta che ho ricevuto è stata commovente. Sono venuti in mio soccorso dall’Assessorato alla Cultura della Regione alla gente comune, partita da città lontane per venire ad aiutare Faenza. Ho trascorso le giornate peggiori, le prime, con gli stivali di gomma nella fanghiglia fino a mezza gamba, urtando ostacoli a ogni passo e pestando frantumi insieme a loro: studenti di conservazione dei beni culturali, loro amici di altre facoltà, figli e nipoti di altre “Case Illustri”, compagni di corso “Re-Org”, Conservatori e Direttori di altri Musei, storici dell’Arte, archeologi, insegnanti e tante persone. Insieme abbiamo creato una catena umana capace di portare in salvo e ripulire oltre 2.000 opere.

Oggi posso dire che, anche se tanto lavoro ancora c’è da fare, con l’aiuto del MIC e dell’Università faremo tutto il possibile per tornare un Museo fruibile. Sarò ancora custode del patrimonio artistico di mio padre, ma più attento sia alla sua conservazione, nel rispetto del mutare delle esigenze, che cambiano come la terra che lui lavorava e trasformava, sia alla restituzione alla comunità da cui tanto sto ricevendo.

Museo Tramonti
Museo Tramonti
Museo Tramonti
Museo Tramonti

Matteo Zauli (Museo Carlo Zauli)

A tre settimane dall’alluvione, il Museo Carlo Zauli si è trasformato in un cantiere. Un cantiere nel quale stiamo scoprendo ancora adesso dei danni di ogni genere, danni strutturali, danni agli impianti, alle opere, purtroppo alcune delle quali irrecuperabili, come “oltre l’orizzonte”, quella donata da Sueharu Fukami o una grande zolla nera di Zauli. Danni al nostro sterminato archivio cartaceo, di gessi.

Dall’enorme massa di fango e di argilla delle cantine siamo riusciti a recuperare oltre mille tra stampi, calchi e modelli in gesso. Questo era il lavoro più urgente perché il gesso si stava sciogliendo e sbriciolando. La bellezza di questo recupero è che attraverso di loro abbiamo una scannerizzazione di tutta l’opera di Carlo Zauli dai primi degli anni Cinquanta fino ai primi degli anni Novanta. È un recupero per il futuro ma anche una carrellata meravigliosa nel passato e nella memoria.

Stiamo anche trovando delle cose nuove che non sapevamo neanche esistessero. Ad esempio dietro una catasta enorme di argilla abbiamo trovato degli stampi di opere degli anni Cinquanta, degli esordi di Zauli, ed ancora precedenti straordinari e stupefacenti che spero potremo essere in grado di mettere a disposizione del pubblico. E poi soprattutto c’è l’affetto che ci circonda e che ci dà un’energia incredibile. È l’affetto di tutti i volontari che vengono qui ad aiutarci quotidianamente e l’affetto di tutti quelli che ci stanno sostenendo e che sono fondamentali in questo momento, attraverso il nostro crowdfunding.

Museo Carlo Zauli
Museo Carlo Zauli
Museo Carlo Zauli
Museo Carlo Zauli
Museo Carlo Zauli
Museo Carlo Zauli
Museo Carlo Zauli
Museo Carlo Zauli
Museo Carlo Zauli
Museo Carlo Zauli

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