Apre dal 24 settembre al 2 ottobre 2022 la XXXII edizione della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, la più antica mostra-mercato al mondo, che si tiene come da tradizione nelle sontuose sale di Palazzo Corsini a Firenze. Un’edizione di altissima qualità dove già cominciano gli acquisti importanti: tante, infatti, sono le opere che potrebbero benissimo stare nei nostri musei. Abbiamo visitato la fiera in anteprima ed ecco di seguito una selezione di venti opere da non perdere per chi vorrà recarsi a Firenze per la mostra.
Opera scoperta dallo studioso Gian Lorenzo Mellini, che definì l’Antioco e Stratonice di Gaspare Landi un “dipinto linguisticamente canoviano” e “superiore a quanto ci è noto del Canova pittore”. Capolavoro dell’arte neoclassica, dipinge un soggetto particolarmente caro agli artisti neoclassici, un episodio tratto dalla vita di Demetrio di Plutarco, in cui si racconta dell’amore tra Antioco I, sovrano dell’impero seleucide, e della seconda moglie del padre, Stratonice: un amore che consumò Antioco al punto da farlo ammalare. Nel dipinto, Landi raffigura, con certa enfasi narrativa, Antioco sdraiato sul letto con a fianco il medico Erasistrato che indica Stratonice per mostrare la causa del suo malessere.
Questa tavola di Giovanni di Pietro da Pisa, artista documentato a Genova tra il 1401 e il 1423 ma di cui non conosciamo la data di nascita, era parte di una predella interamente dedicata al martire Stefano e di cui è noto anche lo scomparto sinistro, raffigurante la condanna e la lapidazione di santo Stefano. Gli scomparti possono collegarsi al trittico con la Vergine col Bambino tra i santi Agata, Stefano, Francesco e Cristina firmato da Giovanni da Pisa e attualmente conservato al Museu Nacional d’Art de Catalunya. Pittore piuttosto raro, Giovanni di Pietro da Pisa palesa modi simili a quelli di Barnaba da Modena e Nicolò da Voltri, entrambi pittori operanti in Liguria nella stagione del gotico internazionale.
Questa grande tela della maturità di Palma il Giovane proviene dalla collezione genovese di Cesare Viazzi, dove è attestata fino al 1916, dopodiché fu venduta a Genova e passò ala collezione Luigi Lucatello ed è arrivata per via ereditaria all’attuale proprietario. Nonostante si tratti di un’opera nota agli studi (è stata infatti inclusa nell’opera completa di Palma il Giovane redatta da Stefania Mason Rinaldi nel 1984), non è mai stata esposta in pubblico: la BIAF 2022 è dunque l’occasione per ammirare questo splendido dipinto a soggetto mitologico di uno dei più grandi artisti veneti del secondo Cinquecento. Inoltre, lo stand di Canesso espone anche altre perle: una rara scultura, Il custode dell’orto, che traduce in pietra di Viggiù le composizioni di frutta dell’Arcimboldo, un potentissimo Sant’Andrea di Pier Francesco Mola e una delicata Madonna della rosa di Simon Vouet.
Lo stand di Robilant+Voena è uno dei migliori di tutta la BIAF: basti la parete di fondo, con il Concetto spaziale in bronzo di Lucio Fontana e il Crocifisso di Giovanni del Biondo in stretto dialogo. Ad avere attirato la nostra attenzione è però uno strepitoso dipinto di Niccolò Tornioli, Il banchetto di Assalonne, dedicato alla storia di Assalonne e del suo fratellastro maggiore, Amnon. Entrambi erano figli del re Davide e divisi da un profondo odio: Amar, infatti, aveva violentato Tamar, sorella di Assalonne, e questi per vendicarsi, due anni più tardi, fece uccidere Amnon durante un banchetto, alla presenza di tutti i figli di Davide. È una delle opere migliori del suo autore, un singolare caravaggesco senese specializzato in scene affollate come questa (il Banchetto figura tra le sue realizzazioni più concitate), ed è stata peraltro premiata come miglior dipinto di questa edizione della BIAF. Un’opera da grande museo.
Altomani & Sons si presenta alla BIAF con due capolavori di Ioannes Hispanus che il pubblico milanese ha visto di recente alla mostra su Federico Zeri del Museo Poldi Pezzoli: di questi due dipinti, che raccontano una novella di Boccaccio, quella di Cimone ed Efigenia, si era infatti occupato il grande storico dell’arte romano, anche se il soggetto sarebbe stato poi identificato da Alessandra Galizzi, che ha fornito la lettura corretta individuando l’episodio del Decamerone. Sono due opere rare di questo singolare pittore, menzionato nella letteratura anche come “Giovanni Ispano”, che lavorò in mezza Italia tra Quattro e Cinquecento, e che fu un bizzarro “classicista stralunato”, come da efficace definizione di Roberto Cara.
Tra i capolavori più noti di Lorenzo Viani, Il mulino di Giuncugnano, che raffigura un mulino del borgo della Garfagnana (siamo quindi nelle terre di origine di questo grande pittore, un espressionista di livello europeo, anche se ancora poco noto al grande pubblico), è passato in asta nel novembre del 2021: da una iniziale stima di 4-6.000 euro si è arrivati a un’aggiudicazione di 35.000. Risale al 1920, e la sua particolarità sta anche nella cornice, disegnata dall’artista, e parte integrante dell’opera. Non è un dipinto usuale della produzione di Viani, che prediligeva quadri con figure alle vedute. Non è però insolito il suo sguardo deformato e inquieto sulla realtà, che traspare anche dal modo in cui il pittore restituisce le proporzioni e le forme del mulino.
Meraviglioso dipinto allegorico di Antiveduto Gramatica, pittore caravaggesco formatosi però a Siena sui modi di Federico Barocci. La giustizia e la pace che Butterfly presenta alla BIAF 2022 ha una provenienza illustre, dal momento che nel 1635 è citato in un inventario delle collezioni sabaude come “La Giustizia e la Pace, che si bacciano, con un corno [sic]”. Per “corno” naturalmente il compilatore del registro intendeva il corvo nella parte alta del dipinto. Scoperto da Mina Gregori, questo dipinto è stato confermato come opera certa da Gianni Papi, massimo esperto di Antiveduto Gramatica, nella sua monografia del 1995 dedicata al pittore romano. A sostenere l’autografia è l’altissima qualità dell’opera, evidente soprattutto da alcuni dettagli: l’angelo di destra simile nell’atteggiamento a quello del San Carlo Borromeo con due angeli, le mani della Giustizia, la veridicità della bilancia, con i riflessi di luce che colpiscono i tatti, la resa delle stoffe.
Giovanni Baratta può essere considerato il vero iniziatore della tradizione artistica carrarese: questi due grandi cherubini in marmo statuario sono stati a lui attribuiti da Francesco Freddolini, il principale studioso dello scultore di Carrara, che ha riscontrato la loro provenienza dall’altare maggiore di Santa Trinita a Firenze, dove rimasero fino al 1892. Nella chiesa fino a quell’anno si trovava infatti un scenografico altare secentesco che fu smantellato ed evidentemente fatto a pezzi: i cherubini di Giovanni Baratta, con le loro espressioni trasognate, i capelli mossi e le ali finemente indagate, raccontano questa storia.
Il namepiece del Maestro del Crocifisso Corsi è una croce dipinta che un tempo si trovava nella collezione Corsi di Firenze e oggi si trova in una collezione privata: questo anonimo artista, autore di alcuni imponenti crocifissi (uno dei quali è conservato agli Uffizi) si distingue perché guarda all’arte di Giotto (si pensi, per esempio, al Cristo di Santa Maria Novella) rielaborandola però con toni molto più drammatici. Il grande crocifisso presentato da Moretti purtroppo non conserva più le estremità dei bracci della croce e la cimasa.
Matteo Lampertico porta alla BIAF 2022 una perla della ceramica di Lucio Fontana, un Polpo e conchiglia, pubblicato nel catalogo generale di Fontana redatto da Enrico Crispolti nel 1986 (e nel successivo catalogo ragionato delle sculture del 2006) che restituisce pienamente tutta la qualità della scultura dell’artista, con il suo movimento, la sua immediatezza, i suoi passaggi dalle zone chiare all’ombra, la sua capacità di rifrangere la luce, effetti che rendono viva la ceramica di Fontana e hanno portato diversi studiosi a paragonarla, giustamente, all’arte barocca.
Il dipinto viene dalla Villa Medici di Fiesole, anche se non fu probabilmente quella la sua destinazione originaria: più verosimilmente vi arrivò quando la villa venne acquistata nel 1862 dal pittore e mercante d’arte William Blundell Spence nell’Ottocento. Dopodiché, a seguito di diversi passaggi collezionistici privati (il primo dei quali nel 1896, quando Blundell Spence cedette la villa e tutto quello che c’era al suo interno al colonnello Harry McCalmont), è pervenuta fino all’attuale proprietario. Il fiammingo Jan Van der Straet, italianizzato in Giovanni Stradano, fu uno dei pittori coinvolti nell’impresa dello Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio a Firenze, e questo che gli viene attribuito è di sicuro uno dei ritratti migliori che ci siano alla BIAF 2022.
Opera firmata e datata, fu spesso esposta negli anni Novanta, per poi tornare a “riposare” silenziosa, nonostante si tratti di una delle opere più interessanti di Ubaldo Oppi, tra i fondatori del Gruppo Novecento. È un ritratto che comunica la passione dell’artista per le persone umili, e in più la ricchezza di colori sgargianti del costume tipico del Cadore dà modo all’artista di cimentarsi in un’intensa sfida cromatica. Il dipinto è di recente passato in asta con aggiudicazione di 32.000 euro.
Maurizio Nobile porta nello stand della BIAF un delizioso inedito di Bernardino India, importante pittore veronese della metà del Cinquecento. È una Madonna con Bambino comparsa sul mercato lo scorso anno, quando è passata in un’asta da Cambi con stima 8.000/10.000 euro e aggiudicazione a 16.975. Di grande effetto l’illuminazione notturna, con il Bambino che brilla di luce propria e rischiara il profilo della madre: fondi cupi come questo erano una peculiarità tipica dell’arte di questo protagonista del manierismo veneto.
Cortona Fine Art, galleria specializzata in disegni e incisioni, espone nel suo stand un bel foglio di Tanzio da Varallo, noto alla critica, che proviene da un gruppo di disegni riconoscibile da una numerazione antica apposta a penna, e che in antico raccoglieva fogli simili per tecnica e tipologia. In questo foglio, attribuito a Tanzio da Varallo già negli anni Sessanta da Giovani Testori, che dedicò studi ampi ed approfonditi al pittore piemontese, l’artista indaga il panneggio di un pastore (o secondo altri di un santo vescovo) e la posizione delle sue mani. Il foglio potrebbe avere datazione tarda e potrebbe essere riferito ai lavori per l’Annuncio ai pastori che Tanzio affrescò nel 1632 sulla volta della chiesa di Santa Maria della Pace a Milano.
Opera firmata e datata: la firma, com’è tipico nelle opere di Elisabetta Sirani, delicata e determinata protagonista del Seicento bolognese, si trova sopra un dettaglio curioso, in questo caso sul laccetto che tiene fermo il mantello della Vergine sulle spalle. Si tratta di un dipinto di qualità che si distingue per le specifiche tipiche dell’arte della pittrice emiliana: l’intensità emotiva, la pennellata morbida, gli effetti luministici ricercati, il gioco di sguardi, l’insistenza sui gesti affettuosi.
Dipinto attorno al 1480, questo San Michele dell’anonimo Maestro di San Nicolàs (così chiamato dalla chiesa di San Nicola a Burgos dove si trova la sua opera più importante, la pala d’altare col Giudizio Universale), è il prodotto dell’incontro tra Spagna e Fiandre. L’autore è stato identificato sia con Diego del Corral sia con Diego de la Cruz, pittore, quest’ultimo, formatosi ad Anversa o a Bruges e poi trasferitosi in Spagna. Lo stile del dipinto mostra elementi del linguaggio nordico internazionale e di quello castigliano del Quattrocento.
È un ritratto di Luce Balla, figlia primogenita di Giacomo, che dopo aver saggiato le punte più estreme dell’avanguardia futurista, negli ultimi anni della sua carriera torna a una pittura marcatamente figurativa, che includeva però anche elementi tipici del futurismo come, in questo caso, il fondo alle spalle della ragazza. L’opera è datata sul retro e proviene dalla casa dell’artista, dov’è rimasta fino al 1993, anno della divisione dei beni del pittore tra gli eredi.
Un ritratto di grande formato e poco noto di Giuseppe Vermiglio, al quale è stato attribuito da Daniele Benati, che ha riconosciuto nell’opera attenzioni naturalistiche e un’intonazione anti-retorica che si confanno alla ritrattistica lombarda di inizio Seicento e che secondo lo studioso conducono proprio a Vermiglio, artista formatosi nell’alveo del caravaggismo e protagonista della cultura figurativa lombardo-piemontese agli inizi del Seicento. Ancora non sappiamo chi sia il personaggio raffigurato: un’identificazione potrebbe meglio chiarire i rapporti che Vermiglio ebbe con la committenza nella Milano del primo Seicento.
Botticelli, che ha vinto il premio per la miglior scultura con un San Sebastiano in legno di Pietro Lombardo, si presenta forse con la miglior selezione di scultura di tutta la BIAF: dell’esposizione fa parte anche un Cristo benedicente di Agostino di Duccio, una rarità di questo importante scultore rinascimentale, seguace di Donatello.
L’antiquario svizzero De Jonckheere compie il suo esordio alla BIAF, con una selezione di opere di fiamminghi, dal Quattrocento fino a Pieter Brueghel e David Teniers. Spicca in particolare questa Madonna col Bambino attribuita a Paul Coecke van Aelst, coadiuvato dall’intervento di suoi collaboratori. Opera caratterizzata dalla spiccata attenzione per il dettaglio, ha conosciuto alcune repliche, solitamente attribuite alla scuola del Mabuse (Jan Gossaert, così detto dal nome della città dove ncque, Mabeuge), pittore a cui spesso è stata accostata questa composizione.