Pompei, dagli scavi di Civita Giuliana emergono i resti di due vittime dell'eruzione


A Pompei, negli scavi in località Civita Giuliana, sono riemersi i resti di due vittime dell’eruzione. Ecco cosa si è scoperto.

A Pompei, dagli scavi in corso in località Civita Giuliana (circa 700 metri a nord-ovest dalla città, nell’area della villa suburbana dove nel 2017 erano stati rinvenuti i resti di tre cavalli), sono stati rinvenuti gli scheletri di due persone colte dalla furia dell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo. Come accade di consueto in caso di ritrovamenti di questo tipo, gli archeologi del Parco Archeologico di Pompei hanno realizzato i calchi delle due vittime dell’eruzione, che sono state rinvenute in un vano del criptoportico della villa, su cui al momento si stanno concentrando le indagini. Gli scheletri sono stati ritrovati sotto uno spesso strato di cenere indurita. Gli studiosi del Parco hanno analizzato le ossa e hanno poi eseguito un calco in gesso dei due corpi, secondo la tecnica perfezionata nella seconda metà dell’Ottocento da Giuseppe Fiorelli (Napoli, 1823 - 1896), archeologo, fondatore della Scuola Archeologica di Pompei.

La tecnica del calco, in uso da un secolo e mezzo, prevede la ricostruzione delle forme dei corpi e della loro posizione al momento del decesso: è possibile farlo perché le vittime dell’eruzione furono coperte da materiale piroclastico che si è in seguito indurito, formando dunque dei vuoti attorno alle vittime, a causa della decomposizione della materia organica. Fiorelli ha intuito che quei vuoti erano come dei “negativi” delle vittime nel momento della loro morte, e riempendo questi vuoti con gesso o cemento è stato possibile ricostruire forme e posizioni delle vittime dell’eruzione, ottenendo moltissime informazioni sull’eruzione e sulla vita a Pompei al tempo. I corpi che si vedono a Pompei, insomma, non sono corpi mummificati, ma semplicemente calchi in gesso realizzati attraverso questo metodo (e dunque non ha senso parlare di ritrovamento di “corpi intatti”).

Le due vittime appena scoperte furono sorprese durante la cosiddetta seconda corrente piroclastica, che nelle prime ore del mattino del 25 ottobre investì Pompei e il territorio circostante portando alla morte dei superstiti ancora presenti in città e nelle campagne (e che fu preceduta da una fase di breve quiete, forse di una mezz’ora, durante la quale i sopravvissuti sia a Pompei che probabilmente a Civita, uscirono dalle abitazioni nel vano tentativo di salvarsi). Nel caso del vano su cui si sta scavando, è probabile che la corrente piroclastica abbia invaso l’ambiente da più punti inglobando e seppellendole nella cenere.

La prima vittima, ritrovata con il capo reclinato, e con i denti e le ossa del cranio visibili, dai primi studi risulta essere un giovane fra i 18 e i 23/25 anni, alto circa 156 cm. La presenza di una serie di schiacciamenti vertebrali, inusuali per la giovane età dell’individuo, fa ipotizzare che il ragazzo svolgesse lavori pesanti, e quindi potrebbe trattarsi di uno schiavo. Indossava una tunica corta (sono state ritrovate tracce del vestiario), di cui è ben visibile l’impronta del panneggio sulla parte bassa del ventre, con ricche e spesse pieghe, la cui consistenza assieme alle tracce di tessuto pesante, fanno ipotizzare che si trattasse di fibre di lana.

La seconda vittima ha invece una posizione completamente differente rispetto alla prima, ma è attestata anche in altri calchi a Pompei: il volto è riverso nella cinerite (la roccia creatasi con la cenere vulcanica), a un livello più basso del corpo, e il gesso ha delineato con precisione il mento, le labbra e il naso, mentre si conservano le ossa del cranio. Le braccia sono ripiegate con le mani sul petto, secondo una posizione attestata in altri calchi, mentre le gambe sono divaricate e con le ginocchia piegate. La robustezza della vittima, soprattutto a livello del torace, suggerisce che anche in questo caso sia un uomo, più anziano però rispetto all’altra vittima, con un’età compresa tra i 30 e i 40 anni e alto circa 162 cm. Questa vittima si presenta con un abbigliamento più articolato rispetto all’altra, dal momento che indossa una tunica e un mantello (sotto il collo della vittima e in prossimità dello sterno, dove la stoffa crea evidenti e pesanti pieghe, si conservano infatti impronte di tessuto ben visibili relative ad un mantello in lana che era fermato sulla spalla sinistra). In corrispondenza della parte superiore del braccio sinistro è stata rintracciata anche l’impronta di un tessuto diverso pertinente ad una tunica, che sembrerebbe essere lunga fino alla zona pelvica.

“Uno scavo molto importante quello di Civita Giuliana”, afferma il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna, “perché condotto insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare gli scavi clandestini e che restituisce scoperte toccanti. Queste due vittime cercavano forse rifugio nel criptoportico, dove invece vengono travolte dalla corrente piroclastica alle 9 di mattina. Una morte per shock termico, come dimostrano anche gli arti, i piedi, le mani contratti. Una morte che per noi oggi è una fonte di conoscenza incredibile”.

In quale momento dell’eruzione sono morti i due uomini? Per comprenderlo è necessario ripercorrerne le fasi: dalle 13 del 24 ottobre (probabilmente, non è noto con esattezza il giorno preciso dell’eruzione) fino alle 7 del giorno successivo, Pompei è stata oggetto di una pioggia di pomici che si sono abbattuti sulla città dalla colonna eruttiva. La sedimentazione delle pomici bianche è durata sette ore (dalle 13 alle 20), mentre quella delle pomici grigie 12 ore (dalle 20 alle 7), quindi in tutto la durata complessiva della caduta delle pomici è di circa 18-19 ore. Dopo la pioggia di pomice, gli abitanti sopravvissuti sono stati colti dalla prima corrente piroclastica, intorno alle 7 della mattina del 25 ottobre. La maggior parte dei pompeiani, sopravvissuti alla prima fase dell’eruzione, è sicuramente sopravvissuta anche a questa prima corrente, che non ha generato pesanti danni alle strutture. Le altre correnti, a partire dalla seconda, più violenta e causa del maggior numero di vittime a Pompei, si susseguirono nel corso delle prime ore della mattina. La seconda, in particolare, è stata in grado di abbattere pareti trasversali alla direzione di scorrimento. Il deposito sedimentato da questa corrente è una cenere grigia, molto compatta e ben stratificata contenente lapilli pomicei dispersi. I depositi che riempiono l’ambiente in cui sono stati effettuati i due calchi nel sito di Civita Giuliana sono interamente rappresentati da cenere grigia avente le stesse caratteristiche dei depositi cineritici in cui è stata ritrovata la maggior parte delle vittime dentro le mura di Pompei (depositi della seconda corrente piroclastica). È probabile che la corrente piroclastica abbia invaso l’ambiente da più punti inglobando e seppellendo nella cenere le vittime. Anche lo spessore (almeno 2 m) è compatibile con lo spessore massimo di questa unità all’interno degli edifici di Pompei. I calchi sono interamente inglobati nella cenere, pertanto le vittime sono state uccise e sepolte proprio dalla seconda corrente piroclastica arrivata a Pompei.

Al momento, fanno sapere i tecnici al lavoro sullo scavo, non è possibile dire se al di sotto di questo deposito ci siano altre unità stratigrafiche relative ad altre fasi dell’eruzione o se la cenere poggi direttamente sul fondo dell’ambiente (pavimento, scale o rampa). La prosecuzione dello scavo chiarirà nel dettaglio la stratigrafia.

Nell’immagine, i calchi delle due vittime. Ph. Credit Luigi Spina

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