In Turchia calpestata la storia italiana ed europea: “restauri” devastanti alla Torre di Galata


Indignazione in Turchia per quello che sta accadendo alla Torre di Galata, a Istanbul: operai al lavoro col martello pneumatico sulle pareti trecentesche del monumento.

Non c’è solo la riconversione di Santa Sofia in moschea a tener banco se si parla dei complicati rapporti odierni tra la Turchia e i beni culturali. È delle ultime ore, infatti, la notizia di pesantissimi interventi sulla Torre di Galata, che non è soltanto uno dei monumenti più noti e visitati di Istanbul, ma è anche un brano di storia italiana nella città turca. La Torre di Galata è, infatti, una delle più vive testimonianze del cosmopolitismo della Genova trecentesca, nonché del suo dominio sul Mediterraneo: l’edificio fu infatti costruito su resti di edifici preesistenti nel 1348 dai genovesi, che la inserirono in un complesso di fortezze a guardia del borgo di Galata, colonia genovese sulle rive del Bosforo. La torre, alta quasi 67 metri, è stata poi rimaneggiata nei secoli (il tetto conico, che un temporale abbatté a fine Ottocento, fu ricostruito negli anni Sessanta, con pietra al posto del legno), e destinata a usi diversi (oggi addirittura ospita, ai piani più elevati, un ristorante e un night club). La struttura è però ancora fondamentalmente quella trecentesca.

Di recente, la Torre di Galata ha subito un passaggio di proprietà: è infatti passata dal Comune di Istanbul al governo centrale, a seguito di un forte braccio di ferro, dal momento che la più grande città della Turchia è amministrata da un sindaco laico, Ekrem İmamoğlu, forte oppositore del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Uno scontro da cui il governo è uscito vincitore, e appena messe le mani sulla Torre, il governo ha pensato di promuovere un “rinnovamento” dell’edificio, presentato lo scorso giugno: scopo dei lavori è trasformare la Torre in un museo eliminando le attività incompatibili con la sua essenza storica.

Tuttavia, sui social, nei giorni scorsi, è stato diffuso un inequivocabile video, risalente allo scorso 12 agosto, che vede alcuni operai intenti ad abbattere un brano di muraglia trecentesca a colpi di martello pneumatico. Le immagini hanno suscitato forte indignazione anche in Turchia: il direttore del dipartimento dei beni culturali del Comune di Istanbul, Mahir Polat, lo stesso 12 di agosto ha pubblicato un tweet con il video e un commento per denunciare l’accaduto: “mi rivolgo alle autorità preposte”, ha dichiarato, “per sottoporre alla loro attenzione le scioccanti operazioni che si stanno verificando alla Torre di Galata, uno dei più importanti monumenti storici di Istanbul. Un team del dipartimento dei beni culturali del Comune si è recato sul sito per valutare la situazione e fermare immediatamente queste attività criminali”.

A Polat e al suo staff è stato però impedito l’accesso all’edificio: il tecnico ha pertanto pubblicato dei documenti che testimoniano che i lavori sulla torre sono cominciati prima che venisse inoltrata la richiesta d’autorizzazione all’ente competente, il Comitato per la Conservazione dei Beni Culturali. La richiesta di autorizzazione, infatti, sarebbe arrivata all’omologo turco delle nostre soprintendenze solo il 12 agosto, il giorno in cui è stato pubblicato il video con gli operai al lavoro sulle mura trecentesche della torre.

Il ministro della cultura, Mehmet Nuri Ersoy, a seguito della pioggia di critiche, ha dichiarato che “le accuse che circolano sui social secondo le quali ‘i muri della Torre di Galata stanno crollando’ sono infondate. Le parti demolite sono successive alla costruzione della torre, e danneggiavano la torre stessa”. Il ministro ha però condannato le rozze metodologie impiegate nel cantiere e ha assicurato che l’impresa che si sta occupando dei lavori verrà adeguatamente sanzionata. Sempre Ersoy ha fatto sapere che l’idea del governo è quella di demolire le aggiunte posteriori alla torre: farebbe parte del piano che prevede la conversione della Torre in un museo.

Tuttavia il rischio che la torre risulti comunque danneggiata è forte. Il 13 agosto, Oktay Özel, direttore dei progetti culturali per il Comune di Istanbul, ha dichiarato al quotidiano Milliyet che le vibrazioni dei martelli pneumatici potrebbero compromettere lo stato di conservazione della torre, dato che sono un mezzo del tutto inadatto per un edificio storico. Sempre il 13 agosto, un parlamentare dell’opposizione, Turan Aydogan, ha portato il caso in Parlamento ricordando che diversi siti in Turchia hanno subito danni irreparabili proprio in occasione di “restauri”: e uno di questi precedenti ha anch’esso a che fare con la storia di Genova nel Mediterraneo. Si tratta della fortezza genovese sull’isola di Ocakli, un sito in rovina, il cui aspetto è stato però completamente stravolto dai restauri, sfigurato al punto da rendere irriconoscibile l’antica costruzione (ne avevamo parlato anche su Finestre sull’Arte).

In Italia la notizia è passata sostanzialmente inosservata: l’unico giornale che se n’è occupato è stato finora Il Secolo XIX di Genova, in un articolo firmato dallo storico dell’arte Giacomo Montanari, che condanna “l’atto vandalico perpetrato ai danni della Torre di Galata”, e lo definisce “un attentato alle radici culturali dell’Europa tutta, uno sfregio a un monumento unico al mondo e che (sperando che questa scellerata operazione non prosegua oltre) certamente non tornerà più così come i secoli ce lo avevano consegnato”. Senza la presenza di Genova nel Mediterraneo, “le grandi sculture classiche che adornarono durante il Rinascimento e le corti italiane, i codici greci che costellarono le biblioteche degli umanisti, le pietre preziose, i camei [...] non sarebbero giunti dall’Oriente, dal momento che viaggiarono su navi genovesi in un intrecciarsi di rotte, commerci, culture e ricchezze che ha costituito il mond oche oggi riteniamo patria culturale”. Ecco dunque perché questi lavori così devastanti sono anche un colpo alla storia dell’Italia e dell’Europa.

La Torre di Galata nel panorama di Istanbul
La Torre di Galata nel panorama di Istanbul. Ph. Credit


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