È possibile far tornare in Italia la Dea di Taranto, opera conservata all’Altes Museum di Berlino dopo essere uscita dal nostro paese negli anni Dieci? Secondo la senatrice Margherita Corrado (Gruppo Cal) la risposta è affermativa e le circostanze sono favorite dagli scambi tra Italia e Germania che, ad aprile, hanno permesso il rientro nel nostro paese della biccherna senese attribuita a Sano di Pietro, importante opera del 1441 che era stata illegalmente esportata in Germania per essere venduta all’asta. Secondo Corrado, questo ritorno “ha dimostrato che è possibile ottenere successi pieni, in tema di recupero di beni culturali usciti illecitamente dal nostro paese, ’persino’ quando si ha a che fare con musei e collezionisti tedeschi. Eravamo stati abituati, finora, a rese incondizionate o a compromessi non proprio dignitosi, come la formula del prestito a tempo indeterminato adottata, invece della restituzione, per i frammenti ’tedeschi’ di uno straordinario sarcofago da Pianabella di Ostia e di un rilievo mitraico da Tor Cervara, entrambi del II secolo d.C.”.
La soluzione della vicenda della biccherna avrebbe però segnato un cambio di passo, e la senatrice preme dunque per spingere le autorità italiane a prodigarsi per far rientrare anche la Dea di Taranto (il problema, peraltro, era già stato sollevato nel 1997, e Corrado ha ricordato di come l’allora ministro Walter Veltroni abbia fatto sapere che non fosse possibile procedere con il recupero per ragioni diplomatiche).
La statua fu scoperta nel 1911 da alcuni operai che stavano lavorando attorno alla città per la costruzione di un palazzo, in un fosso dove l’opera era stata nascosta nell’antichità (mentre secondo altri sarebbe stata rinvenuta alcuni anni prima, nel 1905, da un contadino in una vigna di Locri, in Calabria, e in seguito trasportata a Taranto di nascosto: fu un altro contadino del posto, tale Giovanni Giovinazzo, a raccontare di aver assistito alla scoperta). Raffigura una dea seduta frontalmente su di un trono riccamente decorato, con lo sguardo fisso davanti a sé. I piedi, che calzano un paio di sandali, sono sistemati sopra un poggiapiedi, mentre le braccia sono levate in avanti, anche se alla statua mancano entrambe le mani. La destra probabilmente teneva una coppa. La dea veste un chitone a maniche lunghe, un himation (una specie di mantella) panneggiato in diagonale e fissato con sei fibulae sopra il braccio destro, e un velo che copre la schiena e parte delle braccia. I capelli, divisi nel mezzo, sono raccolti in lunghe trecce. Sopra al capo si nota un diadema che in passato era ornato con metalli. Non sappiamo chi sia la dea raffigurata, forse Persefone, Era o Afrodite.
È un’opera di grandissimo pregio dal momento che è una delle poche immagini di culto del V secolo a.C. a essere sopravvissute. La Dea di Taranto sarebbe però rimasta molto poco tempo in Italia: giunse infatti nelle mani del mercante Jacob Hirsch che nel 1916 la vendette ai Musei di Berlino. Le circostanze in cui l’opera finì fuori dai confini nazionali non sono state chiarite ma c’è il forte sospetto che l’uscita sia stata illecita. “Il fatto che le due date ’possibili’ di rinvenimento della statua (1905 e 1912) precedano e seguano la Legge 364/1909”, spiega Corrado, “e tuttavia la prima sia posteriore alla Legge 185/1902, mai entrata in vigore, con la conseguente, perdurante proroga delle disposizioni precedentemente in essere (già sancita dalla legge n. 286 del 1871), che negavano l’esportazione non autorizzata degli oggetti d’arte e antichità, apre scenari nuovi, in cui la volontà politica di agire o di non agire ai fini del recupero dell’opera sottratta al nostro patrimonio culturale diventa dirimente, essendo caduti i pretesti di ordine tecnico”.
La senatrice ha dunque chiesto al ministro della cultura Dario Franceschini di sollecitare un parere sul caso della Dea di Taranto alle strutture tecniche e agli uffici di diretta collaborazione, compreso il Comando Generale dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, ma anche, in prospettiva più ampia, di istituire un gruppo di lavoro formato da specialisti in grado di far valere le nostre ragioni in caso di uscite quanto meno dubbie in epoca in cui le norme, già prima del 1909, riconoscevano l’uscita non autorizzata dal Regno “delle cose che abbiano interesse storico, archeologico o artistico” come reato permanente (che esclude cioè la prescrizione), con previsione di confisca del bene ovunque si trovi. È il provvedimento adottato dall’Autorità Giudiziaria anche per il celebre Atleta di Fano, uscito illegalmente dall’Italia e tuttora esposto al Getty Museum di Los Angeles, cui segue la presentazione della rogatoria internazionale per l’esecuzione della confisca in un paese straniero.
Pressione per far tornare in Italia la Dea di Taranto, uscita negli anni Dieci |