Tornano ad aleggiare i dubbi sull’autenticità dell’Orfeo e le sirene, il raro gruppo scultoreo magno-greco del 350-300 a.C., uscito illegalmente dall’Italia, acquistato in Svizzera nel 1976 dal Getty Museum (proprio sul mercato svizzero è attestato per la prima volta), restituito all’Italia nel 2022 e giunto pochi giorni fa al Museo Archeologico Nazionale di Taranto dove rimarrà esposto definitivamente. Non si tratta di argomenti nuovi: già decenni fa era stata avanzata l’idea che il gruppo non fosse autentico, soprattutto a causa della particolarità di alcuni dettagli che non hanno riscontro in altre sculture coeve, e per il fatto che il gruppo intero non conosce eguali, data anche la rarità di gruppi scultorei in terracotta. A ciò va aggiunto il fatto che l’opera fu restaurata negli anni Settanta, prima che il Getty la acquistasse, in modo errato (per esempio furono applicate incrostazioni artificiali su alcune parti), rendendo l’aspetto delle figure ancora più strano.
Già negli anni Novanta tuttavia alcune analisi esclusero che si trattasse di un falso, com’ebbero a scrivere, nel 1993, Angelo Bottini e Pier Giovanni Guzzo in un articolo dedicato proprio al gruppo. “Le analisi di laboratorio”, scrivevano i due archeologi, “sembrano […] dimostrare la piena autenticità del complesso: conviene dunque accettarne finalmente l’esistenza, e provare a misurarsi con i problemi che esso pone”. Sull’opera sono state eseguite dal Getty diverse analisi (termoluminescenza, fluorescenza a raggi X, microscopia a luce polarizzata, analisi spettroscopica della policromia rimasta), e secondo il museo tutti gli esami hanno confermato l’autenticità del gruppo. Inoltre, il confronto con decorazioni su reperti ceramici apuli dimostrerebbero che gruppi simili all’Orfeo e le sirene decoravano in antico le tombe monumentali della zona di Taranto.
Anche il direttore generale dei musei, l’archeologo Massimo Osanna, propende per l’autenticità: “le tracce interpretate da alcuni come anomale”, ha detto al Corriere del Mezzogiorno, “dipendono probabilmente dal restauro effettuato negli anni Settanta in Svizzera dove, una volta trafugato, il gruppo arrivò in frammenti. Da archeologo, ritengo le statue assolutamente autentiche, ma sono aperto al dibattito. Sappiamo che l’argilla proviene da qui, anche se ulteriori indagini archeometriche non potranno dirci il punto preciso di provenienza e la data esatta di realizzazione”.
A rilanciare i dubbi è stato, dalle colonne dell’edizione di Bari di Repubblica, l’archeologo Francesco D’Andria, accademico dei Lincei, che si è appellato al Ministero della Cultura chiedendo di fugare i dubbi con nuove analisi. “Numerosi archeologi, italiani e stranieri”, ha scritto D’Andria, “hanno espresso a chi scrive forti riserve sia sulla reale antichità delle tre statue in terracotta, sia sull’attribuzione all’arte di Taranto del IV secolo avanti Cristo; lo stile delle opere appare difficilmente confrontabile con la produzione di sculture in terracotta di sicura provenienza tarantina, come quelle conservate al MarTa; inoltre Orfeo, nelle immagini dei vasi tarantini a figure rosse, è sempre rappresentato in abito orientale, con berretto frigio”.
Le analisi, ha fatto sapere Osanna, saranno di due tipi. Ci sarà intanto una ricerca sui documenti per ricavare quante più informazioni possibili sul contesto del ritrovamento e per tracciare i passaggi che hanno portato l’opera sul mercato, oltre che per conoscere l’eventuale provenienza. Ci saranno poi anche nuove indagini diagnostiche: “faremo tutte le analisi possibili”, ha dichiarato Osanna sempre all’edizione barese di Repubblica, “per portare avanti la ricerca”. Ancora non è stato stabilito dove saranno condotte: Osanna ha solo anticipato che verrà costituito un apposito gruppo di ricerca. Tutto questo però, a quanto si comprende, verrà fatto a prescindere dai dubbi, perché intento del Ministero è quello di studiare a fondo il gruppo scultoreo appena arrivato.
Orfeo e sirene, ancora dubbi sull'autenticità. Il Ministero sottoporrà le statue a studi |