Ma negli altri paesi cosa fanno con musei, cinema e teatri? Alcuni li stanno già riaprendo


L’Italia è tra i pochissimi paesi europei che non stanno riprogrammando l’apertura dei musei, dei cinema e dei teatri. E in alcuni, anzi, sono già pienamente operativi o non hanno mai chiuso.

Con l’entrata in vigore del dpcm del 3 dicembre, la chiusura di musei, mostre, cinema, teatri, sale concerto è stata estesa fino al 15 gennaio, e il governo per ora non ha pronunciato neanche una parola sulla cultura, né nella conferenza stampa del presidente Giuseppe Conte di ieri sera, né nelle ore successive (non pervenuti neppure commenti del ministro dei beni culturali Dario Franceschini). Al momento, l’Italia è tra i rari paesi europei che non stanno programmando la riapertura dei luoghi della cultura: in alcune zone del continente le attività hanno riaperto e, nei paesi dove invece è ancora tutto chiuso, si programma almeno la riapertura. Come si stanno comportando dunque i paesi d’Europa mentre la seconda ondata del Covid-19 si sta indebolendo?

Unica eccezione tra i grandi paesi è costituita, al momento, dalla Germania, che nelle scorse ore ha deciso di estendere il lockdown parziale fino al 10 gennaio (con alcune eccezioni: per esempio, in Turingia la chiusura dei teatri è in vigore fino al 31 gennaio): anche lì i musei, i cinema, i teatri e i luoghi della cultura sono chiusi. In compenso però la Germania ha comunicato di aver programmato una data (il 4 gennaio) in cui il governo si riunirà con i Länder (gli Stati federali) per prendere ulteriori decisioni. In Francia, invece, ci sono già le date delle possibili riaperture: il 15 dicembre è stato indicato come la data della fine del confinement per i musei, i monumenti, i cinema e i teatri che riapriranno le porte al pubblico fatte salve, ovviamente, le norme che tutti ormai conosciamo (distanziamento, igienizzazione e così via), e a condizione che la situazione epidemiologica lo permetta. Il presidente Emmanuel Macron ha indicato quali devono essere le condizioni che consentiranno la riapertura: un numero di nuovi casi giornalieri inferiori ai 5.000 e un numero di persone ricoverate in terapia intensiva tra le 2.500 e le 3.000. Al momento le cose stanno andando bene: il picco del 7 novembre (86.852 casi) è ormai lontano e in Francia si viaggia attorno a una media di 12-13.000 nuovi casi al giorno, mentre per quanto riguarda i ricoverati in rianimazione, a oggi sono 3.425 in tutto il paese.

In Spagna le chiusure sono determinate secondo un “semaforo” (così viene chiamato dalla stampa) simile al sistema italiano di zone gialle, arancioni e rosse. Nel paese iberico, i livelli di gravità sono quattro (1 o “basso”, 2 o “medio”, 3 o “alto”, 4 o “estremo”) e anche in questo caso cambiano su base regionale, con la possibilità di variazioni a livello comunale. Al momento l’unica comunità autonoma (che possiamo considerare una sorta di omologo delle nostre regioni) contraddistinta da rischio basso sono le Canarie, mentre sono segnate a rischio estremo le Asturie, la Cantabria, il Paese Basco, La Rioja e l’Aragona. Contrariamente all’Italia, dove i luoghi della cultura chiudono ovunque a prescindere dal livello di rischio, in Spagna i provvedimenti sono più raffinati: per il livello di rischio basso, nessun limite per i musei, biblioteche e archivi, che rimangono aperti, e capienza massima del 75% per cinema e teatri; per le comunità a rischio medio, i provvedimenti sono simili al livello 1, con la differenza che i musei, le biblioteche e gli archivi aprono al 75% della capienza; per il rischio alto, capienza al 50% per tutti; per il rischio estremo, misure identiche al livello 3 con la possibilità di ulteriori restrizioni eccezionali (in alcune comunità, per esempio, è stata disposta la chiusura totale di musei e cinema). In Spagna, quindi, diversi musei non hanno mai chiuso durante la seconda ondata, e nonostante ciò l’andamento dell’epidemia al momento è migliore di quello italiano, con circa la metà di nuovi casi giornalieri.

Nel Regno Unito, dove la situazione è in miglioramento, vige, come in Italia e in Spagna, un sistema di livelli diversificati. Il sistema inglese è molto simile a quello italiano: tre livelli di allerta su base locale, oltre a restrizioni valide per tutto il paese. Nei territori contrassegnati da Tier 1 (il livello di rischio basso), tutti i luoghi della cultura rimangono aperti, ma viene disposta la chiusura alle 23, con l’eccezione dei cinema, dei teatri e delle sale concerto a cui è concessa una deroga per gli spettacoli che cominciano prima delle 22. C’è però un limite alla capienza degli spettacoli: il 50% di quella massima, e gli spettacoli possono comunque accogliere non più di 4.000 spettatori se all’esterno e 1.000 se all’interno. Per il Tier 2 (rischio medio), le regole sono identiche a quelle del Tier 1 (quindi la cultura è aperta ovunque), con la differenza che la capienza massima per gli spettacoli all’aperto è ridotta a 2.000 spettatori. Infine, il Tier 3 (rischio alto) comporta la chiusura di musei, gallerie, cinema, teatri, sale concerto. Le biblioteche invece rimangono aperte ovunque.

I musei sono invece aperti (sebbene non ovunque, ci sono differenziazioni sulla base della situazione locale) in diversi altri paesi: in Svizzera e in Olanda per esempio. In Belgio le chiusure variano su base locale e in alcune zone (per esempio a Bruxelles) è stato dato il via libera alla riapertura, e lo stesso vale per l’Austria, dove i musei erano chiusi ma riapriranno (così come le biblioteche) a partire dal 7 dicembre. L’Italia è, in sostanza, uno dei rari paesi che non solo non ha programmato la riapertura, ma non si sta neppure ponendo il problema.

Nell’immagine: il Museo del Prado di Madrid. Ph. Credit Emilio J. Rodríguez Posada

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Ma negli altri paesi cosa fanno con musei, cinema e teatri? Alcuni li stanno già riaprendo


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