Ci risiamo: un’altra intelligenza artificiale che attribuisce un dipinto d’importanza quanto meno secondaria a un genio, accostato al quale non può che apparire brutto e goffo. Dopo il tondo de Brécy, copia della Madonna Sistina di Raffaello, che un software ha attribuito alla mano dell’Urbinate, adesso un’altra intelligenza artificiale ha attribuito al genio del Sanzio un dipinto ancor più improbabile. L’opera in questione è una tavola acquistata nel 1995 da un pittore dilettante statunitense: è un dipinto che non ha oggettivamente niente a che fare con Raffaello e che ricorda semmai i modi del Puligo o degli artisti che gli gravitavano attorno, come Giovanni Battista Verrocchi, artista di scarsa rilevanza che operò attorno alla metà del Cinquecento con opere al confine tra arte e artigianato. Secondo David Pollack, specialista del settore Old Master di Sotheby’s, potrebbe essere un’opera di Antonio del Ceraiolo, artista del Cinquecento fiorentino che si formò alla bottega di Ridolfo del Ghirlandaio e cercò, come tantissimi altri del suo tempo, di imitare lo stile di Raffaello. Il proprietario del dipinto tuttavia è sempre stato convinto che l’opera fosse di un grande maestro e ha speso migliaia di dollari tra analisi e perizie per cercare di farselo attribuire a qualche nome grosso. E adesso finalmente ha avuto soddisfazione... dall’intelligenza artificiale.
La storia è raccontata dal Wall Street Journal: il proprietario del dipinto, tale Anthony Ayers, pittore dilettante ed ebanista di Chicago, notò l’opera nel 1995 durante una vacanza in Inghilterra, in un negozio di antiquariato, dove il proprietario gli suggerì che potesse essere un’opera rinascimentale. “Rinascimentale” però non vuol dire “di un grande maestro” come suggerirebbe il buon senso, dato che nel Rinascimento, accanto a Raffaello e Leonardo, lavorò un esercito di artisti eccellenti, bravi e scarsi. Ayers “non era uno storico dell’arte” ricorda il WSJ, ma era sufficientemente incuriosito da acquistare l’opera per la somma di ben 30mila dollari (ridicola per un quadro di Raffaello, in linea invece con le quotazioni di Puligo, Antonio del Ceraiolo e altri artisti simili), e presto volle convincersi di aver trovato un quadro di Raffaello, cosa che gli avrebbe cambiato la vita, dal momento che, se fosse stato davvero un dipinto dell’Urbinate, il valore si sarebbe moltiplicato di almeno mille volte.
Ayers ha dunque avviato una “ricerca che lo ha consumato per decenni”, ha ricordato il WSJ: nel tempo ha radunato una quarantina di amici e conoscenti che complessivamente hanno speso oltre 500mila dollari per cercare di scoprire la storia del dipinto e identificarne l’autore (e adesso tutti detengono una quota della proprietà). L’unica scoperta di un certo rilievo fatta da Ayers è stata però la provenienza ottocentesca dell’opera: il proprietario del negozio gli disse che era appartenuto a un convento femminile del Kentucky, che lo aveva venduto negli anni Ottanta. Ayers si recò in visita al convento e scoprì che l’opera era arrivata nel Kentucky attraverso il prelato franco-statunitense Benedict Joseph Flaget, vescovo di Louisville dal 1808 al 1839, che donò il dipinto al convento. Non si sa però come il dipinto sia arrivato a Flaget. E però, in suo onore, è stato ribattezzato Madonna Flaget. Non sono mancate poi le analisi tecniche: i risultati delle diagnosi hanno rilevato che supporto e materiali sono compatibili con ciò che si usava a Firenze nel primo Cinquecento.
Ovviamente il WSJ ricorda che “gli storici dell’arte non sono d’accordo sul fatto che la scoperta del signor Ayers sia un vero Raffaello”. Ma non servono storici dell’arte qui: è sufficiente aver presente i quadri di Raffaello e osservare il dipinto in questione. Il proprietario, senza demordere, si è infine rivolto ad Art Recognition, un’azienda di Zurigo che utilizza l’intelligenza artificiale per analizzare le pennellate degli artisti: il responso della “perizia” affidata al software è che esisterebbe una probabilità del 97% che i volti di Gesù e Maria nell’opera siano stati dipinti da Raffaello, e che il resto della tavola potrebbe esser stato completato da un collaboratore di bottega.
La CEO di Art Recognition ha fatto sapere al WSJ che il suo team ha utilizzato degli algoritmi attraverso i quali il dipinto è stato confrontato con oltre 100 immagini digitali di opere di Raffaello e con “falsi”, per giungere al risultato ottenuto, che sarebbe peraltro piuttosto raro a sua detta, dal momento che meno del 10% delle opere che vengono sottoposte al programma produce un’identificazione positiva con una probabilità superiore al 95%. A raffreddare gli entusiasmi ha però pensato la restauratrice Karen Thomas, che ha lavorato sul dipinto nel 2019 dandogli l’aspetto attuale (era infatti piuttosto rovinato quando venne acquistato da Ayers): “Temo che la gente vedrà il computer come impeccabile, ma è solo un altro strumento, non una prova schiacciante”, ha detto al WSJ. Thomas ha poi aggiunto che i computer possono probabilmente riconoscere la struttura delle pennellate meglio dell’occhio nudo, ma si chiede se le macchine possano tenere conto della vernice che è stata consumata e di altri fattori legati alle condizioni di un’opera, come fanno gli studiosi.
Tra questi ultimi, a pronunciarsi con un nome netto per ora c’è solo David Pollack, il quale ha rivelato che la sua casa d’aste riceve ogni anno più di mille richieste di valutazione da parte di collezionisti che hanno opere anonime e spesso sperano che i loro pezzi possano essere attribuiti a un grande maestro, come Raffaello o Leonardo. Ma a suo avviso sembra non esserci possibilità che l’opera sia di Raffaello, malgrado non abbia commentato i risultati dell’algoritmo. Il WSJ cita poi un’insegnante di storia dell’arte americana, Patricia Trutty-Coohill, insegnante al Siena College (un collegio francescano di Loudonville, New York), che pur non avendo titoli scientifici su Raffaello si è pronunciata in favore dell’attribuzione già nel 1997. L’unico esperto di Raffaello menzionato, Jürg Meyer zur Capellen, diede invece parere negativo nel 1999. Si sa poi che Christie’s accettò di vendere il dipinto nel 2001, ma solo se fosse stato messo all’asta con attribuzione al Ceraiolo. Manco a dirlo, Ayers e i suoi amici rifiutarono. E adesso la faccenda comunque si fa più complicata perché dietro al dipinto c’è un gruppo di persone che ha investito, e neanche poco. E, sottolinea il WSJ, “non possono permettersi che venga attribuito a qualcuno che non sia Raffaello”. Come fare adesso a dire a queste persone che forse il loro non è stato un buon investimento, malgrado i risultati dell’intelligenza artificiale possano dare un minimo di speranza? Adesso la loro unica speranza è che, in seguito al responso del computer, si possa riaccendere un dibattito. E per il momento il quadro rimane chiuso nel caveau di una banca di Chicago.