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Redazione
, scritto il 01/05/2020
Categorie: Arte e artisti
Nuovi studi sul celebre dipinto di Vermeer hanno portato il team della Mauritshuis dell’Aia guidato da Abbi Vandivere a compiere nuove interessanti scoperte.
La Mauritshuis dell’Aia (Olanda), ovvero la “casa” della celeberrima Ragazza con l’orecchino di perla di Jan Vermeer (Delft, 1632 - 1675), capolavoro dipinto attorno al 1665, ha sottoposto l’opera a nuovi studi che hanno consentito di raccogliere molte informazioni aggiuntive sulla ragazza e hanno condotto a nuove scoperte. L’analisi, intitolata The Girl in the Spotlight (“La ragazza sotto i riflettori”) e diretta dalla restauratrice Abbie Vandivere (conservatrice dei dipinti della Mauritshuis), è stata eseguita con un approccio multidisciplinare messo in atto da un team internazionale di scienziati e che si è avvalso di tecniche di scanning non invasive, esami di campioni di pittura, indagini condotte al microscopio digitale. Il risultato è uno “sguardo” molto più profondo sul dipinto di quanto non sia mai stato possibile fin qui.
Tra le scoperte più sorprendenti, una riguarda lo sfondo, che in origine non era un semplice fondo nero come oggi ci appare: Vermeer, infatti, aveva dipinto la ragazza davanti a una tenda verde. Con la fluorescenza a raggi X sono state infatti scoperte, nell’angolo in alto a destra, delle linee diagonali e delle variazioni di colore che ricordano proprio le pieghe di una tenda, oggi scomparsa a causa dell’azione degli agenti fisici e chimici sulla pittura. E ancora, è stato scoperto che Vermeer aveva dipinto le ciglia della ragazza: oggi la vediamo infatti senza, ma anche in questo caso lo scanning con la fluorescenza a raggi X e gli esami al microscopio hanno rivelato che l’artista non aveva in mente un’immagine degli occhi della ragazza come quella che vediamo oggigiorno.
Sono stati poi acquisiti risultati sulle tecniche che Vermeer adoperava per dipingere le sue opere. Il pittore olandese cominciava apponendo ombreggiature marroni e nere sulla superficie del dipinto: lo si è scoperto grazie alla riflettografia infrarossa, che ha rivelato forti pennellate di questo tipo sotto i colori che oggi vediamo a occhio nudo. Altre pennellate nere, più fini e sottili, erano state impiegate per tracciare i contorni della ragazza. Peraltro, Vermeer ha apportato alcune modifiche in corso d’opera: la ricerca ha infatti svelato alcuni pentimenti che riguardano l’orecchio, l’altezza del turbante, la parte posteriore del collo, tutti elementi che in origine erano collocati in posizioni leggermente diverse. Sappiamo inoltre come si è formata la composizione: dopo aver dipinto il fondo, Vermeer si è concentrato sul volto della ragazza, dopodiché ha dipinto la giacca, la collana, il turbante, e per ultimo il famosissimo orecchino di perla. Orecchino che altro non sarebbe che... una specie di illusione ottica: non c’è infatti nessun orecchino che pende dall’orecchio della giovane, e la perla è resa con piccoli tocchi di pittura bianca traslucida. Infine, Vermeer aveva anche firmato il dipinto nell’angolo in alto a sinistra.
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Dettaglio della tenda nella foto a luce polarizzata e nella fluorescenza a raggi x |
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Dettaglio dell’occhio nella microfotografia digitale 3D (ingrandimento 140x) e nella fluorescenza a raggi x |
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La firma di Vermeer |
Con lo studio è stata inoltre mappata per la prima volta la tavolozza di Vermeer, che per il suo dipinto ha utilizzato il rosso vermiglione, diverse tonalità di giallo e marrone, blu oltremare e indaco, un paio di tonalità di nero, e due tonalità di bianco. Su questi ultimi, il pittore era stato particolarmente attento, dal momento che le tonalità del bianco erano fondamentali per ottenere gli effetti ottici e luministici e le trasparenze che l’artista intendeva conferire al dipinto (si vedano solo le variazioni di luce sulla pelle della ragazza). Una particolarità è la provenienza dei colori: si è infatti scoperto che i materiali di Vermeer avevano le origini più disparate, dal Messico e dall’America Centrale, dall’Inghilterra, e probabilmente anche dalle Indie Occidentali. Il blu oltremare adoperato, per esempio, era stato ottenuto da una varietà di lapislazzuli proveniente dall’odierno Afghanistan: un materiale molto pregiato e che richiedeva anche lunghe procedure di preparazione (tanto che, nell’Olanda del XVII secolo, era considerato ancora più prezioso dell’oro).
“Le nostre ricerche scientifiche”, ha dichiarato Abbi Vandivere, “ci hanno portato più vicini che mai a Vermeer e alla ragazza. Combinando e comparando diverse tecnologie scientifiche, lo studio ci ha fornito molte più informazioni di quelle che un unico tipo di tecnologia ci avrebbe dato. Possiamo dunque dire che la Ragazza con l’orecchino di perla sia un’immagine molto più personale di quanto pensavamo. Questi esami hanno inoltre documentato l’attuale stato di conservazione del dipinto, e questo significa che possiamo monitorare in maniera ottimale ogni cambiamento che si verificherà in futuro”.
“Attenzione, sto per fare uno spoiler”, dice ironicamente la direttrice della Mauritshuis, Martine Gosselink: “non abbiamo scoperto chi sia questa giovane donna, né sappiamo se sia davvero esistita. Ma ora siamo un po’ più vicin a lei. La squadra di ricerca ha fatto molte scoperte che rendono la ragazza molto più personale. Questa non è però la conclusione della nostra ricerca, ma una tappa intermedia. Vogliamo continuare: le possibilità tecniche continuano a evolvere, le collaborazioni crescono, e allo stesso modo cresce il desiderio di scoprire di più. Ovviamente vi terremo informati!”. Come la critica ipotizza da tempo, la Ragazza con l’orecchino di perla non è un ritratto: è un tronie, ovvero una sorta di studio di un individuo o di un carattere tipo, in questo caso una ragazza che indossa un turbante orientale. I tronie erano uno genere tipico della pittura olandese nel Seicento, e la Ragazza ne è l’esempio più famoso: ad ogni modo non sappiamo se una ragazza abbia effettivamente posato per l’opera, e la reale identità della giovane rimane tuttora misteriosa. Per chi volesse saperne di più, su queste pagine avevamo già parlato del tema dell’identificazione della Ragazza con l’orecchino di perla, mentre per seguire il racconto del restauro (oltre che del dipinto), ci si può recare sul blog di Abbi Vandivere, dedicato al dipinto e ospitato sul sito della Mauritshuis.
Alla ricerca hanno partecipato specialisti del Netherlands Institute for Conservation+Art+Science+ in collaborazione con le Università di Anversa e di Amsterdam, lo Shell Technology Center di Amsterdam, l’azienda di microscopi Hirox Europe, la National Gallery di Washington e altri partner. Di seguito, alcune fotografie dello studio.
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Fotografia a luce polarizzata (René Gerritsen & Research Photography) |
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Fluorescenza a raggi x |
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A sinistra, fotografia a luce visibile, a destra riflettografia a raggi infrarossi |
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Il dettaglio dell’orecchino di perla nella microfotografia digitale 3D (ingrandimento 140x) |
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Dettaglio del turbante nella microfotografia digitale 3D (ingrandimento 140x) |
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Abbie Vandivere e Annelies van Loon eseguono una fluorescenza a raggi X sul dipinto |
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Emilien Leonhardt di Hirox Europe esamina il dipinto con un microscopio 3D |
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Abbi Vandivere davanti al dipinto |
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