Chi era veramente la Ragazza con l'orecchino di perla di Johannes Vermeer?


È uno dei dipinti più affascinanti di sempre: ma chi era davvero la Ragazza con l'orecchino di perla di Vermeer?

Il romanzo di Tracy Chevalier e il successivo film di Peter Webber, con una eccezionale Scarlett Johansson nei panni della protagonista, hanno contribuito a far entrare l’opera nell’immaginario collettivo. La discussa e discutibile mostra di Bologna dello scorso anno, curata da Marco Goldin e tenutasi a Palazzo Fava, la ha portata per la prima volta in Italia. Ma chi era veramente la Ragazza con l’orecchino di perla (o la Ragazza col turbante che dir si voglia) dipinta da Johannes Vermeer intorno al 1665 e oggi conservata alla Mauritshuis dell’Aia?

Scarlett Johansson interpreta la ragazza con l'orecchino di perla
Scarlett Johansson interpreta la ragazza con l’orecchino di perla assieme a Colin Firth nei panni di Vermeer

È una domanda a cui molti storici dell’arte hanno tentato di dare una risposta. Il problema principale consiste nel fatto che la documentazione sul dipinto è molto povera (così come, del resto, scarse sono le notizie biografiche su Vermeer) e nessuna fonte contemporanea è in grado di dirci chi sia stata la modella che abbia posato per il dipinto, o se il dipinto raffigura una persona realmente esistita ed è quindi un ritratto. C’è intanto da dire che si tratta di un’opera insolita per Vermeer: nella sua già scarna produzione, sono pochissimi i dipinti con soggetti a mezzo busto che emergono da un fondo scuro, e questo probabilmente è il primo.

Vermeer, La ragazza con l'orecchino di perla
Johannes Vermeer, La ragazza con l’orecchino di perla o La ragazza col turbante (1665 circa; olio su tela, 44,5 x 39 cm; L’Aia, Mauritshuis)

Anche per questo suo essere inusuale viene spontaneo domandarsi se quella ragazza è una persona che Vermeer conosceva o con cui aveva rapporti di qualsiasi sorta, o se si tratta invece di un volto idealizzato. Uno dei primi studiosi a porsi il problema fu Pieter Swillens, storico dell’arte olandese che, nel 1950, pubblicò la prima monografia completa su Johannes Vermeer. Fu proprio in quella pubblicazione che Swillens offrì la sua interpretazione del soggetto del dipinto. Nel suo importante lavoro, lo storico innanzitutto smentisce alcune ipotesi secondo lui infondate, vale a dire quelle che volevano che la Ragazza con l’orecchino di perla raffigurasse una figlia di Vermeer: non ci sarebbero prove sufficienti, e inoltre non ci sono rimasti ritratti delle figlie del pittore. Fatta questa premessa, Swillens asserisce che la principale caratteristica di un ritratto (e, aggiungiamo noi, di quelli prodotti durante il Seicento in Olanda) è la fedele somiglianza al soggetto da raffigurare: pur non potendo, per forza di cose, giudicare quanto la Ragazza con l’orecchino di perla fosse somigliante al soggetto originale, lo studioso affermava che nel dipinto ci sono elementi che possono portare a considerarla un ritratto, primo tra tutti il fatto che Vermeer non avrebbe avuto alcun intento di realizzare un’opera puramente estetica. Questo perché, secondo Swillens, il volto della ragazza non presenterebbe tratti tali da far pensare a una bellezza idealizzata. Due delle chiavi di lettura sarebbe il movimento e l’espressione: un movimento naturale, tutt’altro che estetizzante, e un’espressione, con gli occhi che seguono il pittore e la bocca leggermente aperta, che dimostrerebbe vivo interesse: questi sarebbero quindi indizi del fatto che la ragazza potrebbe essere, appunto, una ragazza vera.

Le teorie di Swillens furono però completamente confutate alcuni anni più tardi. Lo statunitense Arthur Wheelock, specialista di pittura olandese del Seicento, nella sua monografia Jan Vermeer del 1981, sostiene che la Ragazza sarebbe uno studio idealizzato: l’esatto contrario di quanto affermato da Swillens. Questa teoria sarebbe poi stata seguita da diversi altri studiosi. Come Walter Liedtke, che accoglieva l’ipotesi nella sua opera Vermeer and the Delft School del 2001, ma al contempo rigettava la possibilità, ritenuta plausibile da Wheelock, che Vermeer si ispirasse a correnti classiciste. O come John Montias, che nel suo libro Vermeer and his milieu del 1991, sosteneva anche che, prendendo per buona l’ipotesi della datazione al 1665, sarebbe stato molto difficile pensare che una delle due figlie avesse posato per il dipinto dato che, all’epoca, la più grande aveva appena dodici anni.

Ma quali sono le ragioni che farebbero pensare a un ritratto idealizzato? Alcune di queste sono da cercare in certi elementi del dipinto. Come il turbante indossato dalla ragazza: si trattava di un copricapo molto costoso e che veniva importato dalla Turchia, che non faceva parte del vestiario abituale di una ragazza olandese del Seicento. Potremmo fare lo stesso tipo di ragionamento per la perla, altro accessorio lussuoso. E consideriamo poi che la cromia del turbante è un blu oltremare, un colore che al tempo di Vermeer si otteneva dai lapislazzuli, e aveva costi molto impegnativi. Sono dunque indizi che ci portano a pensare che l’opera sia stata commissionata da un cliente benestante.

Ci sono anche altre ragioni importanti. In un inventario, risalente al 1664, dei beni posseduti da un certo Johan Larson, scultore attivo all’Aia, si faceva menzione di een tronie van Vermeer, ovvero “un tronie di Vermeer”. La parola tronie, letteralmente “faccia” o “volto” nell’olandese del XVII secolo, indicava un particolare genere pittorico, che non ha un termine equivalente in italiano. Un tronie era un dipinto che raffigurava un volto umano e aveva lo scopo di studiare espressioni, pose, movimenti, sguardi, fisionomie, oppure serviva anche per raffigurare soggetti comuni, come soldati, giovani popolane, zingari, e così via. Spesso i tronie erano anche espressione di un particolare status acquisito, e venivano commissionati per esplicitare in qualche modo la posizione sociale del committente: un certo tipo di abbigliamento, un gioiello particolare, un oggetto di lusso diventavano status symbol da mostrare anche nei dipinti. Nell’Olanda del Seicento, il genere del tronie ebbe una grande diffusione e un mercato molto fiorente: questi quadri molto spesso non venivano neppure realizzati su commissione, ma venivano più semplicemente dipinti e venduti sul mercato.

Non sappiamo se il dipinto citato nell’inventario del 1664 sia effettivamente la Ragazza con l’orecchino di perla perché non abbiamo maggiori informazioni a tal proposito, ma possiamo dire che oggi molta della critica è concorde nel ritenere che il più celebre dipinto realizzato da Johannes Vermeer sia nient’altro che un tronie. C’è da dire che spesso, per i tronie, posavano modelli veri. E nessuno può sapere se la Ragazza con l’orecchio di perla è un mero frutto dell’immaginazione di Vermeer, oppure se ci fu effettivamente una ragazza che posò per lui. Forse è anche per questa impossibilità nel riuscire a stabilire chi è veramente quella ragazza, che il dipinto è diventato così affascinante.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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