La Francia restituirà all’Italia tre preziose tavole di Andrea Mantegna sottratte da Napoleone poco dopo la firma del trattato di Campoformio? Difficile, ma se ne può discutere. Ieri Le Journal des Arts, una delle principali testate francesi dedicate all’arte, ha pubblicato un articolo a firma di Emmanuel Fessy in cui di fatto si dà il via al dibattito: si tratterebbe di far rientrare in Italia i tre scomparti della predella della Pala di San Zeno di Andrea Mantegna, capolavoro giovanile del grande artista dal quale prese il via il Rinascimento veronese, conservata nella chiesa di San Zeno a Verona. Durante le spoliazioni napoleoniche l’opera prese la via di Parigi: rientrò a Verona, ma i tre scomparti della predella (con la Preghiera nell’orto, la Crocifissione e la Resurrezione) rimasero in Francia, e oggi due di essi si trovano al Musée des Beaux-Arts di Tours, mentre il terzo, la Crocifissione, è conservato al Louvre. La predella che si vede oggi a Verona è una riproduzione.
“Al giorno d’oggi”, scrive Fessy, “vengono compiuti grandi sforzi per trovare i pannelli mancanti al fine di riportare un’opera al suo stato d’integrità, soddisfacendo i desideri dell’artista. La caccia è enorme e laboriosa perché la dispersione si è diffusa negli anni in Europa e nelle Americhe. Raramente ha successo. Eppure c’è un capolavoro del Rinascimento italiano che ha subito tale mutilazione e potrebbe essere ricomposto: la pala d’altare progettata dal giovane Andrea Mantegna per l’abbaazia benedettina di San Zeno a Verona”. Ricomporre il polittico smembrato, argomenta Fessy, sarebbe facile, a differenza di altri casi, ma sarebbe anche un traguardo politicamente ambizioso.
Nel 2009, il Musée des Beaux-Arts di Tours aveva organizzato una mostra che era stata definita “storica” e che aveva radunato i tre scomparti della predella della Pala di San Zeno: era la prima volta dal 1930 che il Louvre prestava infatti la Crocifissione. Tuttavia, scrive Fessy, “il vero evento sarebbe il ritorno della predella a Verona”. Oggi i musei attraversano un periodo di profondo ripensamento e di conseguenza, scrive ancora il giornalista, “non possono più ignorare i dibattiti sulle provenienze e sulle loro conseguenze. La pala di San Zeno è un caso unico, perché può essere ricostruita nella sua integrità e nel suo luogo di origine, l’abbazia per la quale l’aveva pensata Mantegna, dove aveva risolto la sfida del rapporto tra l’opera e la spazio”. Il “mantenimento in Francia della predella del Mantegna, peraltro frammentata, va dunque discusso oggi”, conclude Fessy. “Il Louvre e Tours perderebbero tre grandi opere di medio formato ma entrerebbero in una nuova fase della loro storia”.
La Francia in questo momento sta conducendo un importante lavoro sulle collezioni dei musei al fine di restituire le opere sottratte durante l’occupazione coloniale ai paesi d’origine. Una delle ultime restituzioni è quella dei 26 oggetti dei tesori del regno Danhomè prelevati dai francesi tra il 1890 e il 1894 durante la guerra di colonizzazione del Benin. Sull’Italia finora non si è mai discusso, anche perché per il nostro paese il discorso è ben diverso: all’epoca delle spoliazioni, Napoleone riuscì, per la prima volta nella storia, a far inserire nei trattati firmati con le potenze sconfitte la requisizione di oggetti d’arte a titolo di indennizzo di guerra. Dopo la Restaurazione, molti degli Stati occupati, dopo lunghe battaglie legali, riuscirono a far considerare nulle le clausole imposte da Napoleone consentendo dunque il rientro in Italia di molte opere (un capolavoro in tal senso fu compiuto da Antonio Canova, che in qualità di commissario pontificio per il recupero delle opere riuscì a far tornare a Roma moltissime delle opere confiscate). La strada insomma è lunga e tortuosa, però è interessante sottolineare come si comincia a discutere anche di restituzioni dalla Francia all’Italia.