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Le due donne nel quadro di Tiziano sono strettamente somiglianti a una coppia di personificazioni descritte e spiegate da Cesare Ripa sotto il titolo Felicità Eterna e Felicità Breve: la “Felicità Eterna” è una giovane e bellissima donna bionda di splendente bellezza, la cui nudità denota il suo disprezzo per le corruttibili cose terrene; una fiamma nella mano destra simboleggia l’Amore di Dio. La “Felicità Breve” è una “signora”, il cui abito giallo e bianco significa “soddisfazione”. È adorna di pietre preziose e tiene un vaso pieno d’oro e di gemme simbolo della vana ed effimera felicita.
Da questa descrizione apprendiamo che alla fine del sedicesimo secolo la giustapposizione tra una donna nuda che reca una fiamma [...] con una donna riccamente abbigliata veniva compresa come antitesi tra valori eterni e valori temporali. Pure, i termini del Ripa non definirebbero adeguatamente il contenuto del quadro di Tiziano. La “Felicità Eterna” e la “Felicità Breve” costituiscono un contrasto morale, o persino, teologico altrettanto inconciliabile quanto quello dipinto in due arazzi francesi del Musée des Arts Décoratifs, ove un signore temprato dalla fatica, dall’auto-mortificazione, dalla fede e della speranza e salvato per la grazia di Dio, fa da controparte ad una signora che resta impegnata negli interessi mondani e si associa al Cupido cieco. Il quadro di Tiziano, però, non è un documento di moralismo neomedievalistico, ma di umanesimo neoplatonico. Le sue figure non esprimono un contrasto tra bene e male, ma simboleggiano un unico principio secondo due modalità di esistenza e due gradi di perfezione. Il nudo di elevato sentire non disprezzo la creatura terrena il cui seggio consente a condividere, ma con un gentile e persuasivo sguardo sembra impartirle i segreti di un regno più alto; e nessuno può trascurare la somiglianza, più che fra sorelle, tra le due figure.
In realtà il titolo della composizione di Tiziano dovrebbe suonare: “Geminae Veneres”. Esso rappresenta le “Due Veneri Gemelle” nel senso di Ficino, e con tutte le implicazioni ficiniane. La figura nuda è la “Venere Celeste”, che simboleggia il principio della bellezza eterna ed universale, ma puramente intelligibile. La seconda è la “Venere Volgare”, e simboleggia la “forza generatrice” che crea le immagini periture ma visibili e tangibili della Bellezza sulla terra: umani e animali, fiori ed alberi, oro e gemme e opere ordite dall’arte o dal talento. Ambedue sono pertanto, secondo l’espressione ficiniana, “onorevoli e degne di lode, ciascuna a suo modo”.
Che Cupido sia posto tra due Veneri, benché alquanto più vicino a quella “terrestre” o “naturale” e che rimescoli l’acqua della fontana, può esprimere la credenza neoplatonica che l’Amore, principio del “miscuglio cosmico”, agisca da intermediario tra il cielo e la terra; e il fatto stesso che la fontana di Tiziano sia un sarcofago antico, originariamente destinato a serbare una salma ma ora convertito in polla di vita, non può che sottolineare l’idea di quanto Ficino aveva chiamato vis generandi.
A Tiziano non occorreva necessariamente spiegare il suo “Amor sacro e amor profano” mediante un dotto poema latino. Anche ignorandone il titolo corretto, “Geminae Veneres”, si può comprendere il quadro, ed è il dotto, piuttosto che l’osservatore ingenuo, a trovarne ardua l’interpretazione.
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Erwin Panofsky, Studi di iconologia (trad. it. Renato Pedio), Einaudi, Torino, 1975 [prima pubblicazione in lingua originale: Oxford University Press, 1939], pp. 205-211
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