Le Ville Palladiane, l’insieme di sontuose residenze patrizie progettate alla metà del Cinquecento da Andrea Palladio (Andrea di Pietro della Gondola; Padova, 1508 – Maser, 1580), uno dei più grandi architetti del suo tempo, sono uno dei più fulgidi e coerenti esempi di architettura rinascimentale. Si trovano in Veneto, per lo più nelle tranquille campagne attorno a Vicenza (città dove, peraltro, sono presenti diversi palazzi progettati dallo stesso Palladio): basate su uno studio approfondito dell’architettura classica romana alla quale s’ispirano, e organizzate secondo un’attenta disposizione degli spazi, erano non soltanto luoghi di piacere, ma anche luoghi di lavoro, in grado di ospitare addirittura ambienti destinati alla produzione. Con le ville del Palladio nacque anche una cultura dell’abitare ispirata a quella degli antichi, come avrebbe scritto lo stesso architetto nei suoi Quattro libri dell’architettura, dove si legge che il gentiluomo trarrà grande utilità “dalle case di Villa, dove il resto del tempo si passerà in vedere, e ornare le sue possessioni, e con industria, e arte dell’Agricoltura accrescer le facilità, dove anche per l’esercizio, che nella Villa si suol fare a piedi, e a cavallo, il corpo più agevolmente conserverà la sua sanità, e robustezza, e dove finalmente l’animo stanco delle agitazioni della Città, prenderà molto restauro, e consolazione, e quietamente potrà attendere a gli studi delle lettere, e alla contemplazione; come per questo gli antichi Savi volevano spesso volte usare di ritirarsi in simili luoghi, ove visitati da’ virtuosi amici, e parenti loro, avendo case, giardini, fontane, e simili luoghi sollazzevoli, e sopra tutto la loro Virtù; potevano facilmente conseguir quella beata vita, che qua giù si può ottenere”. Le ville palladiane sono Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco, che nel proprio elenco ne include 24: abbiamo scelto le dieci imperdibili, quelle più rappresentative, scegliendole sulla base della loro originalità, dell’influenza che avrebbero avuto sugli sviluppi dell’architettura, dell’importanza all’interno della carriera del Palladio, della loro integrità rispetto al progetto originario. Ecco quali tappe dunque inserire nel proprio viaggio alla scoperta delle ville palladiane.
Commissionata dai fratelli Gerolamo, Pietro e Marcantonio Godi, Villa Godi venne progettata nel 1537, anche se i lavori iniziarono nel 1539 e si conclusero nel 1542 (con alcuni rimaneggiamenti successivi). È la prima opera certa di Andrea Palladio: è l’architetto stesso ad attribuirsi la paternità di quest’opera nei Quattro libri dell’architettura. Villa dall’impostazione simmetrica e con i volumi compatti e definiti, si presenta con una facciata austera, ingentilita però dalle tre arcate che definiscono la loggia centrale, e di effetto alla vista grazie all’arretramento della porzione centrale della facciata. L’interno venne affrescato tra gli anni Quaranta e Sessanta del Cinquecento da Gualtiero Padovano, Battista del Moro e Giovanni Battista Zelotti, ancora ottimamente conservati e in grado dunque di offrire, nel panorama delle ville palladiane, uno dei più completi connubi di architettura e pittura. Una curiosità: Villa Godi, nel 1954, fu scelta come set del film Senso di Luchino Visconti.
Fu realizzata per Giuseppe e Antonio Valmarana, esponenti di una delle più illustri famiglie vicentine. Si sono conservati alcuni disegni autografi del Palladio, che consentono di collocare Villa Valmarana di Vigardolo (nota anche come Villa Valmarana Bressan) tra le prime ville progettate dall’architetto padovano. La villa, che si presenta con una facciata a capanna piuttosto severa, è ispirata alle grandi terme dell’antica Roma, che il Palladio ebbe modo di conoscere nel corso del suo primo viaggio a Roma, nel 1541: le stanze sono infatti coperte da volte e la loggia ricorda quella dei complessi termali dell’antichità. Si tratta di una tappa importante nel percorso del Palladio, perché qui l’architetto, per la prima volta, ha l’occasione di mettere a punto i frutti del suo primo soggiorno romano. L’interno fu affrescato in più tempi: ci sono affreschi di scuola veronesiana, e altri settecenteschi attribuiti a Costantino Pasqualotto. Non in tutti gli ambienti, tuttavia, gli affreschi si sono conservati.
È incompleta rispetto al progetto palladiano, dal momento che manca il porticato dorico previsto assieme al corpo di fabbrica principale così come manca la seconda facciata (si vede infatti soltanto quella verso il fiume), ma Villa Pisani di Bagnolo, conosciuta anche come Villa Pisani Bonetti, è una delle più importanti ville del giovane Palladio, tanto da aprire la sezione sulle “Case di Villa” nei Quattro Libri dell’Architettura. Anche questa, come Villa Valmarana Bressan, è ispirata agli edifici dell’antichità classica, come si può facilmente osservare dalla facciata che ricorda quella di un tempio romano, affiancata da due ali che accoglievano i locali di servizio, dal momento che questa casa padronale accoglieva anche stalle e colombare. L’interno venne affrescato, e le pitture sono state attribuite a Francesco Torbido. Una cospicua mole di disegni del Palladio documenta con dovizia lo sviluppo del progetto.
Venne commissionata alla fine degli anni Quaranta del Cinquecento da Biagio Saraceno che chiese al Palladio di intervenire su un edificio rurale precedente, di proprietà della sua famiglia. L’architetto tuttavia si limitò a intervenire sul corpo principale, lasciando invece invariati gli edifici sul lato destro della corte, quattrocenteschi (la barchessa, ovvero il grande porticato destinato ad accogliere le attività produttive della villa, è invece ottocentesca). La villa rappresenta un ulteriore sviluppo dell’architettura palladiana: si tratta infatti di un volume puro (un parallelepipedo) in mattoni e intonaco, con una facciata che si apre in un’ariosa loggia sormontata da un timpano, a ricordare sempre i templi dell’antica Roma. La semplicità caratterizza anche la pianta: un salone a forma di T è attorniato da stanze legate a coppie.
Tra le ville palladiane, Villa Barbaro a Maser è forse una delle più spettacolari, oltre che una delle più visitate, anche perché al suo interno si conserva un famosissimo ciclo di affreschi che rappresenta uno dei capolavori di Paolo Veronese. Situata sui colli Asolani, venne commissionata al Palladio all’inizio degli anni Cinquanta dai fratelli Barbaro, che chiesero all’architetto di modificare un edificio preesistente: anche Villa Barbaro rappresenta una novità nelle architetture palladiane, perché mai prima di questo edificio il corpo padronale e le barchesse erano uniti in maniera armonica e compatta come avviene a Maser. La villa si presenta così con una ricca facciata sempre ispirata alle forme dei templi romani (ci sono anche quattro colonne ioniche a sorreggere il frontone, e le stesse finestre sono sovrastate da timpani triangolari e curvilinei), affiancata da barchesse a cinque arcate, che si chiudono con due colombaie, sormontate da due meridiane, quella a ovest per segnare le ore e le stagioni, e quella a est per indicare i mesi dello zodiaco.
Villa Chiericati venne iniziata da Palladio ma fu completata postuma nel 1584 da Domenico Groppino. Si tratta però di una villa importante nel percorso del Palladio: è infatti la prima villa in cui il corpo di fabbrica viene fatto precedere da un pronao identico a quello dei templi antichi, una soluzione che il Palladio adotterà poi per alcune delle ville più famose da lui progettate, come la Rotonda e la Malcontenta. Eseguita per Giovanni Chiericati, esponente di un’altra delle famiglie più in vista di Vicenza, fu progettata probabilmente nello stesso periodo del più famoso Palazzo Chiericati in centro a Vicenza, oggi sede della Pinacoteca Civica. Il Palladio modificò in corso d’opera il progetto per Villa Chiericati, soprattutto nella parte interna, e alla fine il cantiere si trascinò avanti molto a lungo, tanto che il committente scomparve (nel 1558) e, prima ancora che venisse completata, fu venduta a un altro nobile vicentino, Ludovico Porto, che la comperò nel 1574 e la fece ultimare dieci anni dopo.
È l’unica villa palladiana presente nel Polesine: venne commissionata nel 1554 dal patrizio veneziano Francesco Badoer, e nel 1556 risultava già abitata. Villa Badoer sorge su di un alto basamento perché costruita sopra un edificio precedente (il Palladio forse si ispirò a opere precedenti come la Villa medicea di Poggio a Caiano, progettata da Giuliano da Sangallo), e si presenta con un maestoso pronao con colonne ioniche che introduce all’edificio, cui si giunge percorrendo l’ampia e scenografica scalinata. Un’ulteriore particolarità di Villa Badoer sono le barchesse, che sono curvilinee, forse per suggerire un’idea di maggior accoglienza, e presentano colonne di ordine tuscanico (una delle due barchesse oggi ospita il Museo Archeologico Nazionale di Fratta Polesine). L’interno è affrescato con grottesche e scene mitologiche: autore è un non meglio identificato “Giallo Fiorentino” che ha suscitato dibattiti tra gli studiosi circa la sua reale identità.
Progettando Villa Emo, il Palladio si trovò di fronte alla sfida di contemperare le necessità di un signore che desiderava una residenza come luogo di piacere ma anche come luogo di intense attività agricole: così, a un corpo padronale dalle linee sobrie sono affiancate, in maniera armonica ed equilibrata, due lunghe barchesse rettilinee che partono dal basamento dominato dalla villa, cui si accede percorrendo una rampa di pietra (un unicum nelle ville palladiane, motivato da ragioni di carattere pratico: serviva infatti per facilitare il trasporto dei prodotti e delle merci che si producevano nelle pertinenze di Villa Emo). L’edificio è concluso sui lati da due alte colombare. Anche per Villa Emo il Palladio riprende l’idea del pronao collocato dinnanzi al corpo padronale. L’interno ospita invece uno dei più significativi cicli di affreschi di Giovanni Battista Zelotti, ispirato alle Metamorfosi di Ovidio ed eseguito attorno al 1565, l’anno in cui il committente della villa, Leonardo Emo, si sposò con Cornelia Grimani.
Edificata nel 1559 alla Malcontenta, località nei pressi di Mira da cui prende nome, Villa Foscari venne commissionata da Nicolò e Alvise Foscari, membri di una delle più potenti famiglie del patriziato veneziano, e per tale ragione decisamente appariscente, molto più rispetto alle altre ville che il Palladio aveva realizzato sino a quel momento (nonostante sia costruita con mattoni e intonaco e non abbia dunque rivestimenti in materiali di pregio). Situata su di un alto podio che intende creare un parallelo coi più spettacolari templi dell’antichità classica, ha la facciata principale (che, come per i palazzi di Venezia, è rivolta verso l’acqua, in questo caso verso il Naviglio del Brenta) preceduta da un grande pronao ionico, e si presenta come un edificio a tre piani, con una pianta simmetrica, suddivisa in due appartamenti, uno per ciascuno dei due committenti. La particolarità più evidente consiste nel fatto che l’accesso all’ingresso della villa è consentito, caso unico nelle ville palladiane, da due scaloni laterali. Particolarmente interessante la facciata posteriore, con finestre che corrispondono alla disposizione interna delle sale (si veda in particolare la grande finestra termale, cioè di forma semicircolare, tripartita).
Situata alle porte di Vicenza, Villa Capra, meglio nota come “La Rotonda”, è forse la più famosa villa progettata da Andrea Palladio, e di sicuro è quella che ha avuto più ascendente sulla storia dell’architettura, imitatissima da un numero sterminato di architetti. Venne commissionata dal conte Paolo Almerico nel 1565, e per la sua realizzazione il Palladio s’ispirò al Pantheon: la sua fonte è evidente quando s’ammira la cupola, utilizzata dall’architetto per la prima volta in un edificio destinato a uso abitativo. La Rotonda, a pianta centrale, è nota anche per le sue proporzioni simmetriche (è infatti un edificio quadrato che può essere inscritto in un cerchio, da cui il nome), e per le sue quattro facciate con ampia scalinata e loggia. Villa Capra rappresenta forse quanto di più vicino alle idee del Palladio, e la si può considerare come una sorta di modello della sua architettura ideale, ispirata dai suoi studi umanistici e dalle sue conoscenze dell’architettura antica e di quella del Rinascimento. Purtroppo, né lui né il committente riuscirono a veder finito il capolavoro, malgrado la villa fosse abitabile già nel 1569: il completamento fu infatti affidato al più talentuoso allievo del Palladio, Vincenzo Scamozzi, che terminò il lavoro nel 1585.
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