Quando si trasferì in Italia, dopo la seconda guerra mondiale, l’architetto del paesaggio Russell Page (Tattershall, 1906 - Londra, 1985) trovò, nei giardini che ebbe modo di visitare, un paese antiquato e fuori moda. In un’epoca in cui la manodopera nei grandi giardini era eccessivamente costosa, era prevalsa la tendenza a creare giardini dal carattere romantico ottocentesco, arricchiti da piantagioni stagionali. Le conoscenze botaniche, inoltre, erano piuttosto limitate e le decisioni sulle piante da coltivare spettavano principalmente al giardiniere di casa, e così la figura del paesaggista era praticamente sconosciuta, rendendo ancor più significativo l’impatto che un giardiniere sofisticato e competente come Page avrebbe potuto avere in questo contesto. La sua presenza fu, quindi, fondamentale per coloro che potevano permettersi di realizzare giardini di altissimo livello.
Così Russell Page, grazie a una visione illuminata e fuori dagli schemi tradizionalmente imposti, creò a Moncalieri, alle porte di Torino, il parco della Vigna Barolo, nota anche come “Villa Silvio Pellico”, che si distingue oggi come uno dei giardini più rinomati a livello internazionale. È considerata una sintesi magistrale tra la tradizione italiana e la scuola anglosassone nell’arte dei giardini e la sua fama si deve non solo alla sua storica nobiltà, ma anche alla sua aura riservata che ne preserva una grazia intatta nel tempo. Tra il 1820 e il 1850, in Gran Bretagna, divenne popolare il cosiddetto “Italianate Style” che segnava un ritorno d’interesse verso l’architettura delle ville italiane del Cinquecento, con uno stile neorinascimentale che influenzò il gusto inglese, incluso quello nell’ arte dei giardini. Questo movimento culturale segnò anche la riscoperta del labirinto come elemento distintivo dei giardini all’italiana, dando vita a una serie di tracciati che oggi costituiscono il patrimonio storico del Regno Unito. Celebri esempi di questa tendenza, ricorda Ettore Selli nel suo libro Labirinti italiani, sono la Chevening House del 1820, Woburn Abbey del 1831, Shrubland Hall del 1848 e moltissimi altri. Questo stile venne poi ripreso nel celebre Capel Manor Maze del 1989, che incarnava tutti i principi di questa scuola di pensiero e contribuì al grande revival dell’età vittoriana, facendo della Gran Bretagna la culla mondiale dei labirinti.
Proprio nel secondo dopoguerra, Russell Page, che veniva definito il “Mozart dei giardini”, dedicò la sua maestria al giardino di Moncalieri, dove realizzò quella che egli stesso definì la sua opera più riuscita. Un amore così profondo, perfetto e infinito che lo descrisse con trasporto anche nel libro L’educazione di un giardiniere del 1962. La residenza, inizialmente di proprietà dei marchesi Falletti di Barolo, vide passare numerose personalità di spicco come Silvio Pellico, autore de Le mie prigioni, nel 1832, e da cui la villa deriva il nome. Pellico venne ospitato quando la villa era abitata da Julie Colbert, figlia del ministro delle finanze di Luigi XIV, che aveva sposato Carlo Tancredi Falletti di Barolo: fu lei ad assumere Silvio Pellico come segretario personale, e tradizione vuole che Le mie prigioni siano state scritte proprio in questo luogo. Alla scomparsa della marchesa Julie, la villa diventò un orfanotrofio gestito dalla Fondazione Barolo, dopodiché fu venduta al barone Milius (che la chiamò “Villa Silvio Pellico”), fece restaurare i giardini e per qualche tempo la abitò. In seguito, la villa tornò alla Fondazione Barolo, e poi fu nuovamente venduta a proprietari privati. Fu nel 1948 che una giovane ereditiera la acquistò decidendo di salvarla dal degrado, e di commissionare a Russell Page il rifacimento del giardino.
Nel 2007 fu acquisita da Raimonda Lanza di Trabia e suo marito Emanuele Gamna, a cui si deve il merito di aver preservato e raccontato la storia di questa dimora storica. Mentre si percorre il sinuoso viale, i segreti nascosti dal giardino si rivelano gradualmente, danzando. La vista è immediatamente catturata dalla maestosità della grande dalla chioma sospesa di un Fagus sylvatica pendula (faggio pendulo), dal profumo pungente i cui frutti sono sempre sparsi lungo il pendio.
Continuando il cammino, le “nuvole” di bosso descritte da Ettore Selli si diradano e tra i platani secolari, probabilmente donati da Napoleone, viene lentamente rivelato un panorama trionfale di due enormi cedri, recentemente dichiarati monumento nazionale e poco più in là un prato smeraldo. Varcato il cancello della villa, ci si trova davanti a un giardino di ispirazione rinascimentale con labirinti, scale, terrazzamenti, vasche con zampilli, ninfei, e siepi di bosso e tasso topiati. I due assi ideali creano un suggestivo quadro prospettico, in cui la vista si perde tra siepi e specchi d’acqua, aprendo la via al “Finto Labirinto”, un intreccio che, sebbene non percorribile, rappresenta secoli di arte dei giardini.
La soluzione immaginata da Page per Villa Silvio Pellico, scrivono Marina Schinz e Gabrielle van Zuylen nel loro libro The Gardens of Russell Page del 1991, “fu quella di costruire un nuovo giardino su una serie di livelli orizzontali, incorniciando ogni sezione con siepi di carpino e collegandole con piscine bordate di pietra. Con questo schema generale in mente, Page fece livellare il terreno, costruire i gradini e scavare le piscine prima ancora di capire cosa avrebbe fatto con la ripida sponda e come avrebbe collegato il giardino al livello superiore della proprietà. Alla fine progettò una doppia scala in tre rampe per collegare i due. Davanti alla villa fece realizzare un prato tagliato in due da un vialetto di mattoni. I bordi squadrati di rose sostenuti da camelie su entrambi i lati del sentiero servono come una silenziosa introduzione alla formalità neoclassica del giardino sottostante. Guardando verso il basso dal livello della casa, la vista lungo l’asse principale è la prima di due parterre rettangolari, ciascuno bordato di bosso e delineato con motivi a rombi. Gli spazi interni sono riempiti con santolina, tagliata leggermente più in alto del bosso. La seconda sezione contiene uno stagno riflettente quadrato, mentre la terza è composta da bosso e ghiaia bianca con motivo arabescato. Sentieri di mattoni rosa disposti a spina di pesce si uniscono a questi livelli”. Schinz e Van Zuylen individuavano una delle caratteristiche più interessanti del giardino nelle “estensioni ad asse trasversale”. A sinistra della vasca centrale quadrata, a cui si accede tramite una rampa di cinque gradini, si trova infatti un giardino sul canale leggermente rialzato, mentre a destra se ne trova un altro più basso e più piccolo. “Nessun altro giardino classico realizzato da Page in Europa”, hanno scritto le due studiose, “illustra meglio la sua straordinaria capacità di interpretare la natura di un sito rispetto a Villa Silvio Pellico. Il progetto dimostra la sua maestria nel trasformare un caso problematico, in questo caso la posizione collinare, in un vantaggio. Il giardino con i suoi alberi e arbusti verdi, gli spazi e le lavorazioni in pietra, e i cambiamenti di livello e prospettiva, offre un’oasi di calma e pace nonostante la sua vicinanza a una vivace città”.
Il labirinto, le sfingi e la statuaria allegorica sono mute testimonianze di un messaggio sussurrato tra rivelazione e stupore in cui le linee precise delle siepi di bosso creano un suggestivo specchio d’acqua rettangolare, mentre l’intricato labirinto si apre sulla città sottostante. Ai suoi lati altri due giardini d’acqua, ornati da eleganti statue in pietra neoclassica. La zona più formale è così circondata da un’atmosfera rilassata e informale, tipica dei parchi all’inglese, con boschetti frondosi, sentieri di bosso, maestose palme, lussureggianti felci, acanti e imponenti cedri del Libano. In questo angolo di romanticismo, una panca si adagia intorno al tronco di un faggio pendulo, mentre i rami del faggio più anziano ospitano una piccola casetta. Avvolto dalla storia e dalla malinconica bellezza dei suoi dintorni, questo ingarbugliato dedalo vegetale incanta gli occhi e l’anima dei visitatori .
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