Venosa, la città di Orazio. Venosa, crocevia di genti e di merci. Venosa, culla di una cultura millenaria e scrigno di preziosi tesori artistici e architettonici. In provincia di Potenza, al confine tra Basilicata e Puglia, su un altopiano compreso tra due valli e immerso in una vegetazione lussureggiante si trova un’autentica perla poco conosciuta dal turismo di massa. Le tracce dei primi insediamenti a Venosa risalgono addirittura al Neolitico, come testimoniato dal ritrovamento di un’antichissima necropoli a Notarchirico. Le fortune di Venosa iniziarono però in epoca romana, quando gli eserciti dell’Urbe la strapparono ai Sanniti. Da allora questo piccolo centro crebbe sempre più di dimensioni e importanza divenendo uno dei più importanti snodi per tutto il Sud dello stivale grazie al fatto di trovarsi proprio sulla via Appia. Nel 65 avanti Cristo a Venosa nacque tra l’altro uno dei più importanti poeti dell’antichità, Quinto Orazio Flacco. Con il passare dei secoli Venosa non ha mai perso d’importanza grazie alla propria posizione baricentrica per tutti i traffici in questo angolo d’Italia e per questo ha conosciuto diverse dominazioni che hanno lasciato ognuna dietro di sé importanti tracce del proprio passaggio in un susseguirsi di stili che rendono oggi una visita a Venosa un viaggio tra le pieghe del tempo e delle sue meraviglie. Ecco 10 cose da non perdere nel vostro viaggio a Venosa.
La visita alla scoperta di Venosa e del suo territorio non può che cominciare dal passeggiare per le strade del grande Parco Archeologico. Qui si trovano ancora perfettamente conservati i resti monumentali della colonia latina di Venusia, la cui fondazione si fa risalire addirittura al 291 avanti Cristo, e che fu al centro dei traffici di queste zone fino all’epoca medievale. Oggi all’interno del parco archeologico si possono ammirare ancora grandi opere realizzate dai romani, a cominciare dall’impianto termale costruito nel I secolo dopo Cristo e ristrutturato fino al III, ma anche le case tra le quali spicca uno splendida domus impreziosita da meravigliosi mosaici e un isolato delimitato da due assi viari basolati. Sullo sfondo di tutto il percorso archeologico si staglia poi maestosa la grande abbazia della Santissima Trinità, nella quale emergono chiare le diverse fasi costruttive, dalle origini romane, quando era una domus, passando di ristrutturazione in ristrutturazione fino all’epoca normanna. Giusto a pochi passi si trova poi il grande anfiteatro di forma ellittica e su tre diversi livelli.
Simbolo di Venosa è sicuramente il grande castello ducale del Balzo, costruito durante il periodo della dinastia aragonese. Si tratta di un maniero eretto nel XV secolo per volere del duca Pirro del Balzo e poi più volte modificato nel corso dei secoli di pari passo con il mutamento delle sue funzioni. Pensato originariamente come una fortezza difensiva, aveva pianta quadrata con una cinta muraria dello spessore di tre metri e torri cilindriche angolari, ma fu dall’inizio del Seicento che il suo profilo iniziò a ingentilirsi, quando divenne dimora signorile. Passato ai Ludovisi come bene del feudo, esso venne completamente abbandonato e la violenza delle scosse sismiche che ripetutamente si abbatterono nel corso di tutto il Seicento ne minarono la struttura e la funzionalità. Solo in una fase successiva il castello fu ricostruito con l’aggiunta di parti più adatte ai tempi, come l’elegante loggiato al piano nobile eretto per volere della famiglia Caracciolo nell’intento di riaffermare il potere signorile sulla città sempre più lontana dai fasti del glorioso passato. Attualmente, all’inizio del ponte di accesso, vi sono due teste di leone provenienti dalle rovine romane.
Un grande progetto, mai completamente realizzato: il complesso della Santissima Trinità di Venosa ha un fascino davvero particolare. La grandezza della sua architettura racconta l’importanza di questa città nel corso dei secoli, mentre le mura mai finite sono segno tangibile delle sue alterne fortune nel corso della storia. Questo grande complesso monumentale si trova all’estremo limite della città moderna e si compone di tre parti: la chiesa antica, fiancheggiata a destra da un corpo di fabbrica avanzato che costituiva un tempo il luogo riservato ad accogliere i pellegrini; la chiesa incompiuta, i cui muri perimetrali si sviluppano dietro la chiesa antica e in prosecuzione sul medesimo asse; e il Battistero, probabilmente una chiesa paleocristiana con due vasche battesimali, da questa separato da breve spazio. La chiesa antica si pensa sorga là dove si trovava un edificio paleocristiano a sua volta edificato sulle rovine di un tempio pagano dedicato al dio Imene, e la sua costruzione cominciò attorno al 900. Il l tempio incompiuto avrebbe invece avuto dimensioni grandiose, più di 2mila metri, ma non fu mai portato a termine a causa della crisi in cui precipitò il monastero benedettino subito dopo l’inizio dei lavori di ampliamento. Di fronte all’ingresso si notano i resti di un ampio muro curvilineo: è quanto oggi rimane del Battistero.
Come per molti altri edifici di Venosa, anche la Concattedrale di Sant’Andrea Apostolo non solo fa proprio lo stile e il gusto figli della lunghissima storia di questa terra, ma con questo ricco passato si fonde anche materialmente. La concattedrale di Sant’Andrea sorge infatti là dove si trovava l’antica chiesa parrocchiale di San Basilio, e in più lo stesso materiale utilizzato per la su costruzione fu preso dall’Anfiteatro Romano tanto che si possono notare ancora oggi inseriti nell’edificio iscrizioni latine e pietre funerarie. Per quanto riguarda l’impianto della chiesa, questo è costituito da tre navate modulari e da archi a sesto acuto e all’esterno di fa notare soprattutto per la sua austera imponenza. Semplice, ma al tempo stesso anche molto ricercato è invece l’interno della concattedrale dove spiccano alcuni monumenti degni di nota come quello dedicato a Maria Donata Orsini, moglie di Pirro del Balzo che si trova nella cripta. Tra le cappelle la più bella è invece probabilmente quella del Santissimo Sacramento con i due grandi affreschi su temi biblici.
La chiesa di San Filippo Neri, meglio conosciuta come chiesa del Purgatorio è sicuramente uno degli edifici più iconici di Venosa. Questo autentico gioiello seicentesco spicca nel centro storico della cittadina lucana per il suo profilo sobrio e il suo gusto barocco. La sua costruzione risale nel 1679 per volere dei ’Confratelli del Monte dei Morti’, i quali diedero anche il sostegno economico per la sua edificazione. Sul portale d’ingresso si trova un’incisione ove è scritta una frase del poeta Orazio, ’Pulvis et umbra’. Inconfondibile la facciata, tutta fregi, volute, nicchie e pinnacoli opera, si suppone, di un architetto romano, fatto venire a Venosa verso il 1680 dal Cardinale Giovanni Battista De Luca. Al suo interno vi sono un polittico del seicento di autore ignoto, raffigurante la creazione del mondo e tele di Carlo Maratta del XVIII secolo. Nell’interno si trovano belle colonne tortili ed un San Filippo che richiamo alla perfezione il gusto dell’intero edificio.
Il cittadino più celebre di Venosa è nato qui più di duemila anni fa. Quinto Orazio Flacco, o semplicemente Orazio, è stato uno dei poeti più celebri dell’antichità e a Venosa nacque e crebbe a partire dal 65 avanti Cristo. Oggi a Venosa si può ancora visitare un sito risalente a quell’epoca, da tutti conosciuto come la casa di Orazio. Si tratta di una struttura costituita da ambienti termali di una casa patrizia, composti da una sala rotonda che costituiva il calidario e di un attiguo vano rettangolare. La facciata mostra visibili tratti di strutture romane rivestiti di mattoni. La storia di Orazio a Venosa è legata agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza del poeta. Figlio di uno schiavo liberato, Orazio crebbe solo col padre che fu anche il suo primo maestro prima di cominciare a viaggiare per tutto il mondo antico stabilendosi a Roma, dove frequentò le migliori scuole di grammatica e retorica, ma passando anche da Atene, dove si appropriò della cultura più fine del tempo, allievo di celebri accademici, peripatetici, epicurei.
Anche nella duecentesca fontana angioina le tracce della grandezza passata di Venosa sono ben visibili. Questo importante monumento è d’altronde costituito da un lungo abbeveratoio addossato a un muro, alle cui estremità sono posti due leoni in pietra provenienti dalle rovine romane: il primo, pressoché integro, tiene sotto la zampa una testa di montone. Di origini antichissime è anche l’ara circolare sistemata nell’area antistante. Oltre che questi rimandi alla storia romana, tuttavia, la fontana angioina è un’importante testimonianza anche del periodo medievale. La fontana, non a caso, deve la sua origine al privilegio concesso alla città da re Carlo II d’Angiò nell’anno 1298, con il quale, tra le altre cose, veniva istituito un corpo di ispettori locali, incaricati oltre che della manutenzione della fontana, anche del controllo degli acquedotti che la alimentavano. Essa è situata nel luogo dal quale, fino al 1842, si accedeva alla città attraverso la porta cittadina detta appunto fontana.
A poco più di 500 metri dal centro di Venosa si trova una cittadella sotterranea dalle origini remote. Scavate nella collina della Maddalena, si possono visitare le cosiddette Catacombe ebraiche. Queste si articolano in vari nuclei all’interno di una fila di grotte scavate nel tufo che conservano loculi parietali e nel suolo. Al visitatore le catacombe si presentano come una rete di cunicoli sotterranei organizzati intorno a tre corridoi principali dai quali si diramano una serie di piccoli vani laterali. Le pareti dei corridoi laterali sono occupate da piccole nicchie e loculi o si aprono in grotte di dimensioni più ampie che ospitano più sepolcri. La scoperta di questo autentico tesoro archeologico risale alla metà dell’Ottocento, ma già allora le catacombe presentavano i chiari segni di saccheggio e di devastazione. In fondo alla galleria principale si possono comunque ancora oggi osservare numerose iscrizioni in lettere dipinte di rosso o graffite. Di queste, 15 sono in lingua greca, 11 in lingua greca con parole ebraiche, 7 in lingua latina, 6 in lingua latina con parole ebraiche, 4 in lingua ebraica, e altre 4 sono in frammenti.
L’area archeologica di Notarchirico si trova a una decina di chilometri da Venosa ed è una delle più importanti aree di scavo paleolitiche dell’Italia meridionale. Nella parte attualmente visitabile si possono osservare da vicino nove livelli riferibili a un periodo compreso tra 600mila e 200mila anni fa anche se è soprattutto l’area risalente al Paleolitico Inferiore, datato circa a 359mila anni fa, a fare di Notarchirico uno dei siti europei sul Pleistocene Medio meglio conservati e ricchi di materiali. Dal1979 a oggi sono stati portati alla luce diversi strati abitativi molto estesi e con la presenza di manufatti associati a resti di specie animali attualmente estinti. Di particolare rilevanza un cranio di Elefante, ma anche i resti di Bovidi e Cervidi insieme a più rari reperti di rinoceronte, lepre, tartaruga e qualche uccello. Sono stati rinvenuti inoltre anche strumenti su scheggia e su ciottolo. Il percorso oggi viene illustrato da una serie di pannelli che aiutano il visitatore a comprendere la complessa sequenza stratigrafica dello scavo.
Il simbolo della Venosa romana è senza dubbio il grande anfiteatro la cui costruzione risale all’epoca repubblicana per poi essere ristrutturato anche nei secoli successivi. Centro della vita sociale della Venosa dell’epoca, l’anfiteatro aveva una forma ellittica e si ritiene potesse arrivare ad ospitare fino a 10mila spettatori. I suoi resti sono ancora oggi visitabili all’interno della grande area archeologica di Venosa, ma in realtà pezzi dell’anfiteatro romano possono essere osservati anche semplicemente passeggiando per le strade della cittadine. Con il declino della Venusia romana, l’anfiteatro conobbe una sorte simile a tanti imponenti edifici dell’antichità: fu letteralmente smontato pezzo per pezzo e i materiali sottratti furono utilizzati per qualificare l’ambiente urbano della città. In particolare alcuni leoni in pietra che attualmente troviamo all’interno dell’abitato, provengono infatti, dalle rovine dell’anfiteatro al pari di tante altre pietre che sono state utilizzate per costruire la Venosa dei secoli successivi.
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