Quasi al confine con la Svizzera, tra il lembo superiore del Lago Maggiore e il fiume Toce, su un dolce altopiano intorno agli 800 metri di quota si sviluppa la Val Vigezzo, anche detta la Valle dei Pittori. Siamo in Piemonte, al cospetto delle Alpi Ticinesi e del Verbano, punto d’accesso al Parco Nazionale della Val Grande, l’area incontaminata più vasta d’Italia, e la Val Vigezzo è una delle valli che si diramano dalla Val d’Ossola con la particolarità di non avere un unico corso d’acqua che l’attraversi dall’inizio alla fine: ci sono invece ben due torrenti (Melezzo e Melezza) che scorrono in sensi opposti generando quell’altopiano su cui sorgono i principali centri abitati, attorniato da una corona di alte cime, tra cui la Pioda di Crana, il Pizzo la Scheggia e la vicina catena del Monte Rosa che rendono la vista del panorama dal basso di grande imponenza. La ricchezza di fauna e vegetazione che con i suoi colori nelle varie stagioni dell’anno regala atmosfere di grande intimità e abbandono che incantò molti artisti che qui vi stazionarono e la usarono per dipingere le loro opere (stile fortemente legato all’arte romanica). Per questo è detta anche la Valle dei Pittori: Giuseppe Mattia Borgnis, Lorenzo Peretti, Enrico Cavalli, Giovanni Battista Ciolina, Carlo Fornara, Maurizio Borgnis sono questi artisti. Alla Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini di Santa Maria Maggiore sono conservate le loro opere. I comuni della Valle sono 7: Craveggia, Druogno, Malesco, Re, Toceno, Villette e Santa Maria Maggiore. In valle sono presenti 15 percorsi ciclopedonali, ma d’inverno è la neve e ciò ad essa correlato a far ruotare la valle. È il luogo per una vacanza serena: ecco dieci luoghi da non perdere durante il proprio soggiorno.
Santa Maria Maggiore è il centro più importante della valle, dai tempi dei romani, e ne è considerata la capitale politica e religiosa visto che fu la sede del Mandamento da cui il Pretore di Valle esercitava la propria giurisdizione, e della Chiesa matrice, da cui si staccarono le parrocchie di tutti i paesi. A Santa Maria Maggiore c’è una chiesa, quella di Santa Maria Assunta, fondata nel IV secolo e viene considerata la più bella della Val d’Ossola. Santa Maria Maggiore è inoltre punto di riferimento turistico grazie ai suoi impianti sportivi e di risalita e i servizi (qui è stato infatti collocato il punto informazioni Centro Visite del Parco Nazionale Val Grande) e con i negozi dei vicoli del borgo che hanno visto proliferare le vetrine di boutique di alta moda. A differenza degli anni in cui da qui si emigrava soltanto per andare a cercare lavoro altrove, adesso ci si viene a vivere bene. È considerato uno dei borghi più belli d’Italia e ha ottenuto la “Bandiera Arancione” da parte del Touring Club Italiano ed è dunque una rinomata meta turistica molto conosciuta ad esempio per i mercatini di Natale e per il raduno internazionale di spazzacamini (che hanno anche un museo dedicato) che si svolge in settembre.
La storia di Santa Maria Maggiore, come quella di tutta la valle, è fatta di emigrazione: in molti in cerca di un lavoro lasciavano tutto per andare in Olanda, Svizzera, Svezia e Germania a fare gli spazzacamini. Per non far andare perso questo importante pezzo di vita dei vigezzini è stato aperto nel 1983 il Museo dello Spazzacamino. Si trova in quella che era una rimessa di carrozze a Villa Antonia, il Municipio di oggi. Anima del progetto e gestore del museo è l’Associazione Nazionale Spazzacamini, promotrice circa 40 anni fa anche del Raduno annuale dello Spazzacamino che vuole richiamare quanti, figli, nipoti e artisti (in mille ogni anno da tutto il mondo) se ne andarono per cimentarsi in questo mestiere. Oggetti, attrezzi, abiti ormai desueti, opere pittoriche: è questo quello che raccoglie il museo insieme a un moderno percorso interattivo e multi-sensoriale che permette di rivivere un’esperienza da “spazzacamino”: ci si infila un elmetto con cuffie e occhiali e si vive un’esperienza non più presente. Il luogo più particolare da visitare in tutta la Val d’Ossola, visitato ogni anno da oltre 10mila persone.
Altra suggestiva e unica meta da visitare di Santa Maria maggiore è la Casa del Profumo Feminis-Farina. È un museo nato nel 2018 che rende onore a Giovanni Maria Farina e Giovanni Paolo Feminis, che sono considerati i padri della profumeria moderna. Nel Seicento Paolo Femenis emigrò in Germania e inventò l’Acqua di Colonia, dal nome della città dove risiedeva, ma con iniziali scopi medicamentosi viste le sue proprietà lenitive, e all’epoca la chiamò “l’Aqua Mirabilis”. Ma dopo l’incrocio con un concittadino di Santa Maria che era emigrato a Maastricht, in Olanda, per fare il mercante, Giovanni Maria Farina, l’Acqua di Colonia divenne un prodotto di lusso, internazionalmente conosciuto, grazie alla sua attività di commercializzazione che Farina mise in atto alla morte di Feminis nel 1736, cambiando il nome in Acqua di Colonia. “Il mio profumo”, scriveva Farina, “è come un mattino italiano di primavera dopo la pioggia: ricorda le arance, i limoni, i pompelmi, i bergamotti, i cedri, i fiori e le erbe aromatiche della mia terra”. Il Museo, in piazza Risorgimento, è anche un importante centro di studio per la realizzazione di nuove fragranze ed è una raccolta di testimonianze che guidano il visitatore alla scoperta dell’emigrazione degli abitanti della Valle e della storia dell’Acqua di Colonia che inizia da una serra ospitata nel Giardino degli aromi (dedicato alle essenze che componevano l’Aqua Mirabilis). Una tipica storia italiana tra genialità e pragmatismo che tra aneddoti e profumi ne fa un luogo piacevole da scoprire.
Prima che il torrente Loana si getti nel fiume Melezzo, nei pressi del borgo di Malesco, si formano degli splendidi getti d’acqua, tre salti consecutivi, che prendono il nome di “Cascate dei Camini”. Il Camino, insieme allo Spazzacamino, è un po’ il simbolo moderno di questa valle. L’alta quota rende l’acqua bella fresca e d’estate è il luogo adatto per un po’ di refrigerio. D’inverno la cascata diventa una grande lastra di ghiaccio. Si può raggiungere da Malesco e da Santa Maria, a piedi e in bici, passando anche per un ponte sospeso sul torrente Loana.
Nel solco della tradizione di emigrazione e spazzacamini il paese di Malesco tributa a questa figura una statua in bronzo nella piazza principale. Fu eretta nel 1983 e raffigura Fausto Cappini, morto ad appena 13 anni per aver toccato i fili elettrici dell’alta tensione sporgendosi da un camino al termine della pulitura. In questo comune è stato anche creato un Museo per raccontare la storia della Valle dalla preistoria al Novecento: l’Ecomuseo Regionale ed Leuzerie e di Scherpelit, cioè della Pietra Ollare (Leuzerie nel dialetto maleschese) e degli Scalpellini. La ricchezza di questo territorio è stata proprio la pietra (dalle cave di marmo alla pietra ollare alle rocce delle cascate che definiscono il profilo di questo territorio) e attraverso la sua storia si coglie il modo di raccontare questa vallata e questa comunità. In particolare la pietra ollare si trova in abbondanza e per le sue peculiarità ne viene fatto largo uso da sempre, a partire dalla realizzazione di camini, stufe e leviz, cioè “pentole” usate per scaldare il cibo fin dai tempi di insediamento celtico e romano. E molti sono i reperti di epoca romana trovati nelle tombe, suppellettili vari, e lungo un lastricato di un’antica via.
Il 29 aprile del 1494 un uomo lanciò una pietra contro l’immagine affrescata della Madonna nella chiesa di San Maurizio, e l’immagine cominciò a sanguinare per tre settimane e molti malati e infermi subirono guarigioni e miracoli facendosi bagnare dal sangue. Questo evento miracoloso fece diventare quel luogo un Santuario e fece di Re un centro devozionale meta di pellegrinaggi. Ma per avere un tempio degno del miracolo che potesse contenere il flusso di pellegrini che vi arrivavano anche dalla Svizzera occorse il 1606 per ingrandire la struttura (in stile corinzio a una sola navata) e poi il 1922 per la realizzazione del Santuario. Monumentale e maestoso con 51 metri di altezza, è un edificio di culto tra i più importanti del Piemonte. Numerosi nel tempo gli ex voto che vennero poi collocati nel Museo del Santuario, posto sopra la sacrestia, che raccoglie quelli più di valore dal punto di vista storico artistico: oltre a tavolette, ricami e pitture c’è anche un quadro con un cuore d’oro. Si tratta di un voto alla Vergine che risale al 1898, da parte dei genitori dei bambini colpiti da una gravissima epidemia di difterite. L’affresco originale è conservato all’interno della parte più antica del Santuario, struttura imponente attorno a cui si è sviluppato il paese di Re. L’immagine della Madonna di Re è una Madonna del latte, raffigurata con uno stile romanico bizantineggiante tipico degli anni a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. L’affresco vede la Madonna seduta su un trono con Gesù Bambino sulle ginocchia, nella mano destra tre rose, il “fiore delle vergini” e il simbolo del Rosario. Un cartiglio in basso spiega il significato teologico della missione di Maria: “In gremio Matris sedet sapientia Patris” (“In grembo alla Madre stà la sapienza del Padre”). L’autore è sconosciuto.
Craveggia è un po’ la perla della Val Vigezzo sia per lo stile architettonico degli edifici, tra vicoli e tetti di pietra pieni di camini, sia per la presenza di un vero Tesoro. Comune di meno di 800 abitanti, è un borgo molto signorile e con eleganti palazzi decorati o affrescati esteriormente, con tre chiese e un bel battistero. In una frazione è nato Carlo Fornara, esponente di primo piano del divisionismo di fama internazionale. Da qui, e per la precisione da Prestinone di Craveggia, parte una cabinovia ad 8 posti a 825 metri di altitudine per raggiungere raggiunge la stazione Piana di Vigezzo a 1726 metri. Oltre che sciare con piste per tutti i gusti e difficoltà, si può fare anche parapendio potendo osservare il contesto dal cielo con una esperienza unica. Molti gli itinerari che partono da qui per bici o trekking.
Sembrerà incredibile ma in questo paesino delle Alpi c’è un vero Tesoro di inestimabile valore economico, storico e religioso: si sta parlando infatti – per dirne alcuni – di oggetti come il manto funebre di Luigi XIV, decorato con oro e argento e ornato con dei preziosi di gobelins e il piviale ricavato dal manto nuziale di Maria Antonietta, la Regina di Francia. È il Tesoro di Craveggia, conservato nella Chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Giacomo e Cristoforo che ha accumulato dal Cinquecento oggetti di varia natura. Ci sono ad esempio dei dipinti su tavole di rame attribuiti al fiammingo Pauwels Franck e provenienti dalla Cappella Reale di Versailles con degli episodi della Vita di Gesù; un ostensorio d’oro vermeil, alto 85 centimetri e tempestato di gemme; pianete liturgiche in sete antiche ricamate con oro e argento, il “pugnale” e la “Corona” della Madonna Addolorata con inscritti i Sette Misteri, ambedue in argento dorato e gemme; una pianeta intessuta d’oro; un Crocefisso del Trecento con i Quattro Evangelisti scolpiti a sbalzo; una croce astile in argento guarnita di dieci ametiste; la raggiera del “Gesù Bambino” in argento dorato, con topazio centrale e quattro rubini; un gruppo di statuine da presepio, scolpite da artigiani locali del Settecento, con costumi e stoffe d’epoca; un antico drappo con fiori dipinti a mano su seta, cinto da due lanterne in argento; calici, pissidi e croci decorati con pietre preziose, paramenti e oggetti sacri. Il tesoro è tutto frutto di donazioni e atti di devozione.
Il Parco Nazionale della Val Grande è l’unica area naturale europea che conserva integralmente originali caratteristiche ambientali e come la descriveva Teresio Valsesia, giornalista e scrittore, “Non è solo un caleidoscopio della natura, ma un eccezionale museo all’aperto di cultura alpina”. È l’area più incontaminata d’Italia, con i suoi 15mila ettari di estensione. È accessibile solo attraverso valichi e sentieri percorribili in bella stagione in compagnia di una guida. Un punto di partenza per le escursioni è sul versante est del Monte Rosa, la seconda montagna delle Alpi. Il suo essere così inaccessibile è la forza del suo habitat: parliamo di spazi sconfinati lasciati selvaggi, abbandonati dall’uomo al suo corso naturale, alla proliferazione della biodiversità, senza strade o insediamenti dell’uomo neppure stagionali. Qui i padroni sono la flora e la fauna e l’armonia con il silenzio regala sensazioni ormai scomparse dalle città.
Con una cabinovia si arriva alla stazione sciistica della Piana di Vegezzo a 1726 metri di altitudine: qui il panorama spazia dal Monte Rose alle cime della Val Grande. Questa è una delle opportunità che offre la Piana di Vigezzo, in uno scenario prealpino con grandi pinete e praterie con le montagne da fare da cornice. Oltre 20 km di piste da sci e molti servizi per gli amanti dell’inverno. Passa di qui anche la lunga Ciclovia del Toce: il percorso parte dalla foce del Toce per poi attraversare l’intera piana del fiume tra Bassa e Alta Ossola sino ad arrivare a Domodossola. Con il circuito “Vigezzo in bici”, anche la Val Vigezzo ben si presta ad essere percorsa in piano dalle famiglie, grazie ad un’altitudine costante di circa 800 metri. Per grandi e piccini c’è anche la Ferrovia Vigezzina-Centovalli: un trenino bianco e blu con i binari immersi nella natura da un paese all’altro (fino a Locarno in Svizzera) attraversando boschi, ponti e gallerie: solo la scoperta lenta di un viaggio eco-sostenibile di queste montagne bellissime.
L'autore di questo articolo: Andrea Laratta
Giornalista. Amante della politica (militante), si interessa dei fenomeni generati dal turismo, dell’arte e della poesia. “Tutta la vita è teatro”.