Era il 3 luglio 1944 quando le truppe francesi entrarono a Siena da porta San Marco, poche ore dopo che i nazifascisti l’avevano lasciata: la città venne infatti liberata “dolcemente”, senza il fragore delle cannonate e delle mitragliatrici, poiché il comitato di Liberazione aveva preferito trovare un compromesso con i nazifascisti in ritirata tramite una Guardia civica che aveva assunto il compito di mantenere l’ordine. Fin dal 1943, Siena era diventata città ospedaliera e per questo si era quasi totalmente protetta dai bombardamenti dell’aviazione angloamericana e dalle distruzioni naziste. Le truppe francesi furono tuttavia accolte festosamente dai cittadini, con rintocchi di campana e le bandiere delle varie contrade che sventolavano libere in alto, nel cielo.
Si dice che il generale Joseph de Goislard De Monsabert, comandante delle truppe di Francia, rimase talmente affascinato dai tesori artistici di Siena, in particolare dall’arte gotica, che disse al reparto di artiglieria: “Tirate dove volete, ma io vi proibisco di tirare al di là del XVIII secolo”. Una frase che ancora oggi si vede incisa sulla lastra commemorativa all’ingresso di Porta San Marco, che testimonia appunto l’ordine del comandante di non distruggere quelle meraviglie.
Anche se quella senese è stata una liberazione senza cannoni, non sono mancate le violenze e i soprusi compiuti dai nazifascisti nei confronti degli ebrei e dei partigiani: cittadini ebrei vennero catturati dai fascisti locali e deportati, i partigiani vennero processati e subirono fucilazioni.
Fin dall’antichità gli ebrei furono costretti a una vita difficile: a Siena è documentata la loro presenza già dal XII secolo e dalla seconda metà del Cinquecento furono obbligati a vivere nel cosiddetto Ghetto, che corrispondeva all’area della contrada della Torre e che comprendeva i vicoli delle Scotte, del Luparello, della Manna, degli Archi e della Fortuna, a seguito dei provvedimenti restrittivi del granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici. Nonostante le limitazioni e il confinamento, la Comunità Ebraica senese si sviluppò, fino a superare i quattrocento membri. Risale al 1766 la Sinagoga, tuttora centro di culto della comunità ebraica locale; un percorso costituito da testi, immagini e documenti, che si trova nell’antico matroneo riservato alle donne, ripercorre gli eventi e le tappe più significative della presenza degli ebrei a Siena.
È certamente nel periodo dell’Olocausto che gli ebrei dovettero subire le più tragiche violenze.
Se volessimo ripercorre la storia di Siena dagli inizi del Novecento, i musei della Fondazione musei senesi, dalla Sinagoga alle Stanze della memoria, offrono molti spunti di riflessione sui temi della memoria, del fascismo e della Resistenza fino alla Liberazione.
Le Stanze della Memoria, inaugurate nel 2007 in occasione della Giornata della Memoria, che ricorre il 27 gennaio, è un itinerario museale di storia del Novecento senese allestito nella “Casermetta”, così chiamata dagli abitanti di Siena da quando nel 1943-1944 l’edificio divenne sede della polizia politica della Repubblica Sociale Italiana, dove si interrogavano e torturavano gli antifascisti arrestati e da dove partivano le spedizioni punitive contro i partigiani, intendono portare a riflettere su quella libertà e giustizia sociale conquistata dagli uomini e dalle donne protagonisti delle vicende di quell’epoca e soprattutto intendono raccontare per mai dimenticare uno dei periodi più drammatici della storia.
I visitatori percorreranno dunque i principali temi compresi tra il primo conflitto mondiale e la Liberazione del 3 luglio 1944: al primo piano si affrontano lo squadrismo e l’avvento del Fascismo, la dittatura e la costruzione del consenso, la repressione del dissenso, le leggi razziali; salendo al secondo piano si continua gli episodi salienti della seconda guerra mondiale e della lotta partigiana, per concludersi con la Liberazione. Il pubblico sarà accompagnato in ogni stanza da gigantografie, filmati, pannelli e voci narranti, e in particolare per quanto riguarda la lotta partigiana sono presenti video con testimonianze di alcuni dei protagonisti: è la Stanza della Memoria, dove su sei schermi sei personaggi a rotazione raccontano intensi frammenti di storie partigiane e di Resistenza. La sequenza video si conclude con la ricostruzione dell’eccidio di Montemaggio, quando diciannove partigiani vennero uccisi dalla Guardia Nazionale Repubblicana il 28 marzo 1944. Erano tutti giovani ragazzi che avevano tentato la fuga per unirsi ai gruppi partigiani della Brigata Garibaldi. Il ventesimo, Vittorio Meoni, riuscì a fuggire nel bosco e a mettersi in salvo nonostante le ferite riportate durante la fuga. Una bandiera rossa commemora i partigiani impegnati nella lotta di liberazione del territorio senese e sul pavimento dell’ultima stanza, quella della rinascita della vita sociale e politica, sono proiettate le immagini dei cittadini che festeggiano l’ingresso delle truppe francesi di quel 3 luglio.
La stanza più scenografica del percorso museale è quella della Tortura: completamente buia e illuminata solamente da due fasci di luce puntati su una sedia e una Arpia realizzata da Gianni Fanello con metallo, ossi e denti, il visitatore assiste qui ai racconti di coloro che vennero arrestati, interrogati e torturati alla Casermetta. Si conclude con la lettera di Adorno Borgianni, condannato a morte e fucilato nella Caserma Lamarmora di Siena.
Un’aula didattica precede le Stanze: la sala è dedicata a Fortunato Avanzati, detto Viro, comandante della Brigata Garibaldi Spartaco Lavagnini. È qui che i gruppi sostano all’inizio e alla fine del percorso di visita, ma è anche utilizzata per incontri, presentazioni di libri, proiezioni. Le immagini sono opere grafiche di Andrea Rauch e riassumono il percorso che si sviluppa all’interno delle Stanze: la Casa del Popolo incendiata, gli antifascisti senesi che partecipano alla guerra di Spagna, un gruppo di partigiani, Viro che tiene un discorso dopo della Liberazione.
Oltre alle Stanze della Memoria, la guerra e l’Olocausto e soprattutto le loro vittime sono ricordate a Siena anche da due pietre d’inciampo, che si trovano in via Fiorentina, all’altezza del civico 87. Ricordano Giacomo Augusto Hasdà ed Ermelinda Bella Segre, una coppia di ebrei che venne arrestata il 6 novembre 1943, imprigionata e otto giorni dopo uccisa nel campo di sterminio di Auschwitz.
Chiamate Stolpersteine in tedesco, le pietre d’inciampo sono piccoli blocchi di pietra rivestiti da targhe in ottone e murati a terra davanti alla porta della casa corrispondente all’ultima residenza di un deportato nei campi di sterminio nazisti. Sulla targa vi sono incisi infatti il nome, l’anno di nascita, il giorno e il luogo di deportazione e la data della morte. Il primo a ideare le pietre d’inciampo fu l’artista tedesco Gunter Demnig, che ne posò una a Colonia nel 1993. Un omaggio alle vittime della deportazione nei campi di sterminio nazisti.
Dal Ghetto alle Stanze, alle pietre d’inciampo: un itinerario attraverso i luoghi della memoria che raccontano la condizione della comunità ebraica a Siena, nonché uno spaccato di storia del Novecento.