C’è una famiglia che tra Ottocento e Novecento ha fatto di Palermo una delle capitali del jet set internazionale, meta abituale di teste coronate, capitani d’industria, artisti e architetti di fama invitati da quella che è stata una delle dinastie più importanti e potenti segnandone l’epoca: i Florio. Talmente in auge per quattro generazioni e caduti nel dimenticatoio in modo inversamente proporzionale oggi, fino a quando la penna di Stefania Auci non ne ha raccontato le vicende con un libro, un romanzo storico, uscito nel 2019 diventando un bestseller: I leoni di Sicilia ha finora venduto un milione di copie in 35 edizioni, già pubblicato negli Stati Uniti, in Olanda e in Spagna, in corso di traduzione in 31 Paesi. Disney+ ne ha prodotto una serie televisiva e altrettanto vuole fare Rai Fiction. E il seguito della saga familiare, L’inverno dei leoni, nel 2022 ha vinto il premio Bancarella.
Come in molti casi come questo, i luoghi dove sono ambientati i fatti di fenomeni editoriali o televisivi diventano meta turistica di ritorno (basti pensare al Commissario Montalbano o a Don Matteo, anche se in principio il pellegrinaggio ‘da televisione’ fu per il Mulino Bianco Barilla). Non per nulla Stefania Auci è stata portata dalla Regione Siciliana come testimonial del proprio stand alla Bit-Borsa del turismo internazionale di Milano del 2022 in quanto elemento di promozione territoriale dell’isola. Qui si tratta di storia vera e in questi anni a Palermo è nata una riscoperta dei palazzi e delle tracce lasciate dai Florio in città: dalle ville ai cantieri navali (all’epoca i più grandi del Mediterraneo), dal sanatorio poi diventato grande albergo di lusso allo stabilimento per la lavorazione del tonno a Favignana. Questi calabresi giunti a Palermo, infatti, per cambiare vita trovarono la fortuna grazie all’instancabile lavoro e inventiva che li ha fatti passare da commercianti di spezie (“pepe, citrino, chiodi di garofano, tormentilla, cannella… nomi esotici che acquistano sapore sulla lingua ed evocano immagini di sole e calore”, come scrive abilmente Auci nel libro) ad imprenditori con seimila dipendenti, armatori con una flotta di cento navi, inventori del tonno in scatola, promotori di una gara automobilistica per le strade della Sicilia (la Targa Florio che oggi ha anche un museo), far diventare il Marsala quel vino liquoroso che oggi è portandolo a diventare il vino della nobiltà europea, la ceramica, il commercio del tabacco e del cotone (la filanda di cotone si trovava in via Angiò, su due piani con giardino ed oggi ospita l’Istituto dei Ciechi “Florio”, voluto dallo stesso Ignazio Florio)...
Capi di stato, regnanti di Inghilterra, lo zar di tutte le Russie o il Kaiser tedesco scendevano fino a Palermo per essere ospiti dei Florio. Ed è così che la ricchezza va a braccetto con l’arte e da padroni di casa e mecenati si circonderanno del meglio che l’arte offriva. Fare quindi un giro per Palermo e nella Sicilia occidentale sulle loro tracce è senz’altro un itinerario alternativo e istruttivo di un pezzo di storia di Palermo e dell’isola. Ecco allora un itinerario in otto tappe imperdibili nella Sicilia dei Florio.
Arrivati a Palermo nel 1799: Via dei Materassai, nel mandamento di Castellammare, è dove tutto ebbe inizio. O meglio, qui apriranno il loro negozio all’ingrosso di aromi e spezie, dopo l’esperienza della bottega in piano di San Giacomo, che segnerà l’inizio imprenditoriale della famiglia. Strade strette, piccoli balconi con i panni stesi, vie lastricate in pietra, il tipico centro storico palermitano, diventa centro nevralgico del nuovo mondo: “...Cannella, pepe, cumino, anice, coriandolo, zafferano, sommacco, cassia. No, non servono solo per cucinare le spezie. Sono farmaci, sono cosmetici, sono veleni, sono profumi e memorie di terre lontane che in pochi hanno visto. Ricco è chi può acquistarle, ricco è chi riesce a venderle. Le spezie per la cucina – e ancor di più quelle per le cure mediche e per i profumi – sono cose per pochi eletti”. Così descrive bene nel libro Stefania Auci il loro commercio. Non è rimasto nulla del loro negozio e del loro palazzo, nessuna targa a ricordarli, niente nella vicina Piazzetta delle Dogane o nel Palazzo Chiaramonte Steri dove quotidianamente avranno fatto i loro affari. Ci si reca però qui per vedere i loro luoghi. Qui vicino la bellissima e ricchissima chiesa di San Domenico che ospita le sepolture dei siciliani illustri e al cui interno naturalmente c’è anche una lapide per Vincenzo Florio. Le statue, i monumenti funebri, i marmi lavorati con tarsie che ne fanno una decorazione eccezionale (marmi mischi), con alternanza di marmi colorati a quello bianco.
Nel borgo palermitano di pescatori all’Aranella (in via Discesa Tonnara n. 4) c’è l’antica tonnara dei Florio che nel tempo decisero di modificare e riconvertire dell’aspetto che vediamo oggi: la Palazzina dei Quattro Pizzi. All’edifico a un piano della fabbrica del tonno Vincenzo Florio affida all’architetto Carlo Giachery il compito di realizzare un’ala che fosse degna dimora della famiglia, e così andando a operare sulla parte terminale a oriente eresse una torre di stile neogotico (con influssi anglosassoni dovuti alle esperienze dei Florio nei loro viaggi in Europa) al cui termine aveva posto 4 torrette cuspidate, delle guglie, nei quattro spigoli. Da qui il nome riferito ai ‘pizzi’. Divenne dimora privata ma aperta al grande pubblico delle personalità europee che erano ospiti frequenti dei Florio, re senza corona della Sicilia dell’epoca. E così di passarono e vi soggiornarono, per esempio, i Borbone ma anche lo zar Nicola I che rimasto affascinato dall’edificio e dalle sue decorazioni interne volle un edificio come questo in Russia (poi distrutta con la Rivoluzione d’Ottobre). Lo splendore degli affreschi e delle decorazioni dei soffitti e delle volte a crociera (dalle crociate ai paladini di Francia, ai normanni realizzati da Salvatore Gregorietti – che ricordano la Sala Ruggero II a Palazzo dei Normanni – e Emilio Murdolo) era tale che i tedeschi durante la seconda guerra mondiale verniciarono tutto di nero per evitare di farsi notare all’interno dell’edificio dal quale controllavano il porto di Palermo.
Grazie a Vincenzo Florio, Palermo ospita un gioiello dello stile Liberty, uno dei primi in Italia. In viale Regina Margheria, immerso in un parco, commissionò all’architetto Ernesto Basile, rinomato in tutta la Sicilia e amico, un villino per poter andare a vivere da solo, ormai sedicenne. Finito di costruire nel 1902 divenne meta di feste e incontri tra gli affari e il tempo libero. Di qui passò il gotha della finanza internazionale e la migliore nobiltà europea con tanto di principi, re e regine. Il villino Florio dell’Olivuzza rappresenta un unicum architettonico dove l’eclettismo di Basile gestisce in un groviglio armonioso quello che doveva essere il crocevia della nuova borghesia colta e illuminata siciliana: tra stilemi barocchi e rinascimentali, capriate nordiche, portici, archi, vetrate policrome, scalinate, merlature, torrette cilindriche che richiamano alla mente i castelli francesi, colonne romaniche, elementi medievali si sprigionò la sua vena artistica contaminata dall’influenza dei viaggi dei Florio in Europa facendone un capolavoro assoluto della Belle Époque. Fu usato come pietra di paragone per architetti in tutto il continente. L’edificio è su tre piani divisi ognuno in base alla funzione: lo svago a piano terra, la rappresentanza al primo piano collegato all’esterno direttamente da una doppia scalinata curvilinea, e l’area privata. Su tutto domina il linguaggio floreale, dalla carta da parati al ferro battuto con le sue decorazioni ai legni. In questo che all’epoca era il polmone verde di Palermo venne a curarsi dalla tubercolosi la zarina Alexandra Fedorovna, moglie dello zar Nicola I nel 1845.
Villa Igea, sul lungomare di Palermo, nella zona Acquasanta non lontana dalla Tonnara, fu fatta costruire da Ignazio Florio ai primi del Novecento per essere un sanatorio ma ben presto prese la funzione che tutt’ora le appartiene: quella di un grande hotel di lusso. La mano è ancora una volta quella dell’architetto Ernesto Basile, il meglio che si potesse trovare all’epoca per estro ed eleganza e che aveva già costruito il Teatro Massimo di Palermo. Le 5 stelle delle classificazioni alberghiere in questo caso non bastano: una volta entrati infatti si rimane stupiti dallo sfarzo e dalle decorazioni di altissimo livello tutto in pieno Liberty, impressionanti i lampadari di Caraffa e i ferri battuti di Salvatore Martorella. Basile come collaboratori alla realizzazione di quello che dall’esterno sembra quasi un castello, chiamò Ettore de Maria Bergler e Vittorio Ducrot per le decorazioni pittoriche e per gli arredi. Il risultato sarà una struttura alberghiera (con attracco diretto al mare) che passerà di bocca in bocca per tutta Europa da cui venivano a soggiornarvi (e morirvi, come Costantino di Grecia) un elenco lunghissimo di personalità della cultura e della politica. Il Salone degli specchi con gli affreschi di Ettore De Maria Bergler è un luogo di memorabili feste immerso nell’apice del Liberty dove l’autore firma il suo capolavoro, dove pittura e arredi si compongono in modo complementare e armonioso. Tra i suoi ospiti citiamo Gabriele D’Annunzio, Giacomo Puccini, il Kaiser Guglielmo II, lo zar Nicola II, i re d’Inghilterra Giorgio V ed Edoardo VII, della regina Alessandra e della principessa Vittoria,il re del Siam Paramandra Maha Chulalongkam e la regina di Romania, l’Imperatrice Eugenia De Montijo e al Duca d’Orléans, uomini dell’economia come Nathaniel Rotschild, Vanderbilt a bordo del Varion, John Pierpont Morgan, la zarina Maria Feodorovna, e poi Grace Kelly e Ranieri di Monaco insieme a Maria Callas. Nel 1962 è la volta di Alain Delon, Burt Lancaster e Claudia Cardinale, Kirk Douglas, Sofia Loren, e Gloria Swanson, Greta Garbo, Paul Newman.
Lo stabilimento che tuttora è il più grande complesso cantieristico del Mediterraneo per la trasformazione e le riparazioni navali era stato voluto dai Florio proprio per supportare l’attività della loro storica acciaieria. I Florio arriveranno a contare una flotta di 99 navi e in questi cantieri nel 1925 venne allestita la nave reale “Savoia”.
A Ignazio Florio dobbiamo il tonno in scatola: fu lui infatti a ideare il sistema di cottura e conservazione sott’olio, anziché sotto sale, in una scatola di latta con apertura a chiave che rivoluzionò il commercio e gli rese molta ricchezza. Per non andare troppo per il sottile comprò direttamente due isole delle Egadi, Favignana e Formica, e acquisendo i diritti di pesca nel 1874 ne cominciò la lavorazione nello stabilimento a Favignana, adesso un museo nella più riuscita idea di archeologia industriale moderna, che all’epoca con i lavori di ristrutturazione voluti dai Florio divenne all’avanguardia e monumenatale al contempo. All’architetto Giuseppe Damiani Almeyda si deve il progetto del Palazzo sull’isola dove venivano a fare vacanza, in stile neo gotico i cui interni alla fine dell’800 furno adeguati allo stile Liberty. Palazzo Florio è vicino al porto e ospita oggi il Museo Florio, il Consiglio comunale, l’ufficio turistico e la biblioteca.
Come detto, il vino liquoroso più famoso al mondo deve le sue fortune a Vincenzo Florio che ne valorizzerà le peculiarità e indovinò la giusta commercializzazione. Le cantine sono un pezzo di storia dove si conservano ancora gli ambienti dell’Ottocento per tenere i vini (44.000 mq di superficie, ampi archi a sesto acuto e pietra di tufo, le botti in rovere rosso di Slavonia) e con le degustazioni e le visite guidate si può scoprire questo territorio della Sicilia occidentale, comprese le famose saline con il rinomato tramonto. La rivista Forbes calcola che “di tutti i turisti amanti del vino che approdano in Sicilia quasi la metà ha visitato Florio nel corso del 2019. Le cantine hanno infatti accolto quasi 50mila visitatori, rilevando un costante incremento nel numero di ospiti stranieri (+13%), soprattutto di lingua francese e concentrati nei mesi di ottobre e settembre. Nello stesso anno, il fatturato derivante dalle visite guidate, dagli eventi in cantina e il fatturato relativo al wine shop interno ha superato il milione di euro”.
Sul Foro Italico, facendosi una bella passeggiata sul lungomare, si può trovare la statua a Vincenzo Florio, figlio di Paolo e nipote del fratello di questi, Ignazio, uno dei due capostipiti della famiglia. L’opera, visibile vicino alla Porta dei Greci, fu realizzata nel 1875 da Vincenzo D’Amore. Vincenzo Florio, seguendo le orme del padre e dello zio arrivati da Bagnara Calabra, ereditò da loro il senso per gli affari, ma fece aumentare in modo considerevole le fortune della famiglia. L’opera che lo celebra fu realizzata sette anni dopo la sua scomparsa nel 1868. Un altro Ignazio Florio, figlio di Vincenzo, avrebbe ereditato le attività imprenditoriali del padre.
La Sicilia dei Florio: cosa vedere, 8 tappe |
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Andrea Laratta
Giornalista. Amante della politica (militante), si interessa dei fenomeni generati dal turismo, dell’arte e della poesia. “Tutta la vita è teatro”.