Selinunte è un pezzo di antica Grecia nel cuore della Sicilia occidentale. Selinunte si trova nel territorio comunale di Castelvetrano, un piccolo borgo della provincia di Trapani che offre ai suoi visitatori non solo spiagge bianche e acque cristalline, ma anche tanti luoghi dove vedere da vicino le importanti tracce del passato. Il più celebre è sicuramente il grande parco archeologico di Selinunte, Cave di Cusa e Pantelleria. In questa che è una delle aree archeologiche più vaste d’Europa si può letteralmente passeggiare tra la storia. Le origini della città di Selinunte vengono fatte risalire verso la metà del VII secolo avanti Cristo per mano dei coloni di Megara Hyblaea. I selinuntini occuparono i punti strategici della futura area urbana e definirono i limiti di vaste zone agricole da sfruttare. Agli inizi del VI secolo avanti Cristo l’impianto urbano fu realizzato in modo rigoroso attraverso la costruzione del sistema viario che ancora oggi si può osservare. Nel 409 avanti Cristo la città fu distrutta dai cartaginesi e rimase poi nelle loro mani fino alla conquista dei romani un secolo e mezzo dopo. L’area archeologica oggi si presenta come un’autentica miniera di reperti con i suoi spettacolari templi, ma anche con quello che rimane dei vecchi quartieri osservando i quali si può facilmente immaginare quale fosse la vita a Selinunte al momento del suo massimo splendore. Ecco undici tappe da non perdere nella vostra visita a Selinunte.
L’Acropoli è sicuramente il gioiello più splendente di Selinunte. La sua costruzione risale alle origini della città, nel VI secolo avanti Cristo. Il disegno dell’Acropoli ha una forma trapezoidale con, nella parte settentrionale, un grande muraglione a gradini circondato da mura formate da cortine in blocchi squadrati con un riempimento di pietrame e scandite da 5 torri e 4 porte. A nord, l’Acropoli presenta delle fortificazioni databili all’inizio del IV secolo avanti Cristo, mentre all’altezza dell’ingresso principale si trova la cosiddetta Torre di Polluce che fu costruita nel XVI secolo contro i corsari. I primi templi costruiti sull’Acropoli, quelli P ed R, risalgono alla prima metà del VI secolo avanti Cristo, ma già verso la metà del secolo l’edificio principale del santuario divenne il tempio C con il suo grande altare. Si aggiunsero poi i templi D, A e O. Successivamente, a partire dal IV secolo avanti Cristo, le aree sacre furono occupate da abitazioni puniche e nel pronao del tempio A sorse un santuario cartaginese. Prima dell’abbandono della città, a sud-est del tempio C, fu costruito il piccolo tempio B, noto per la policromia dei suoi elementi architettonici.
Secondo le ricostruzioni degli archeologi il tempio A, costruito intorno alla metà del V secolo avanti Cristo, fu certamente quello più armonioso e raffinato della città. Di dimensioni contenute, ha colonne che circondano la cella in perfetta simmetria, mentre la parte terminale della cornice, la sima, era decorata di prezioso marmo greco insulare e coronava l’alzato ben proporzionato. Nella cella l’ingresso con le due colonne viene compensato ad ovest dall’analogo opistodomo. Il vano per la statua di culto è invece separato dalla cella. Elementi assai elaborati sono le due scale a chiocciola collocate nella parete d’ingresso alla cella: si tratta probabilmente del primo esempio di scala a chiocciola nella storia dell’architettura. Il grande altare infine riprendeva in piccolo le forme del tempio periptero con la sua mensa che era delimitata da un colonnato con trabeazione dorica e due frontoni che fungevano da guance. Solo il lato rivolto verso il tempio era interrotto da una larga scalinata, essenziale per le funzioni di culto.
Oggetto di importanti lavori di restauro a partire dagli anni Venti del XX secolo, il Tempio C è sicuramente oggi uno degli angoli di Selinunte più conosciuti e immortalati. Il tempio C, conosciuto anche come Apollonion, fu costruito intorno alla metà del VI secolo avanti Cristo, con dimensioni imponenti e una seconda fila di colonne sul fronte. Il lato principale, a est, dove era collocato l’ingresso del tempio, ospitava nel frontone la celebre testa di Gorgone in terracotta dipinta, mentre nel fregio erano collocati i rilievi figurati delle metope, oggi conservati a Palermo, che raffigurano alcuni famosi episodi della mitologia greca come la Quadriga del Sole, Perseo che uccide Medusa ed Eracle vincitore sui Cecropi. Il colonnato Nord fu rialzato tra il 1925 e il 1927 e, negli ultimi anni, è stato oggetto di diversi interventi di restauri. Qui, superata la monumentale scalinata di accesso, si entra in uno spazioso portico diviso al centro da quattro colonne. Al centro della cella si trovava una mensa per sacrifici e offerte, mentre la statua di culto era inserita nel vano di fondo.
Il Tempio D risale all’ultimo quarto del VI secolo avanti Cristo e si trova subito a nord del grande Tempio C. Qui L’estensione in lunghezza si riduce con la disposizione di solo 13 colonne sui lati lunghi, mentre il secondo colonnato del lato est, caratteristico dell’età arcaica, viene abolito e sembra fondersi con la fronte della cella. Il Tempio D era dedicato ad Atena e il grande altare esterno, non in asse col tempio, ma posto obliquamente fa supporre che l’attuale Tempio D occupi il luogo di uno precedente. In generale gli studiosi ritengono il Tempio D più progredito del Tempio C sebbene anche in questi edifici sia evidente ancora una certa incertezza nelle misure. Come già il Tempio C, anche il D mostra nel pavimento del peristilio e della cella molte cavità circolari o quadrate di cui si ignora la funzione. L’edificio nel suo insieme sembra rappresentare una forma più evoluta del tempio periptero di età arcaica e getta le basi per le forme dell’età classica
Conosciuto anche come Heraion, i suoi resti furono portati alla luce nel 1823 da due archeologi britannici, Samuel Angele e William Harris, che provarono invano a portare le metope scolpite del tempio al British Museum. I templi dorici del santuario suburbano della Collina Orientale, d’altronde, possono essere considerati gli edifici di culto più prestigiosi della città e rappresentavano la magnificenza e il potere della colonia megarese a tutti coloro che navigavano lungo questo tratto di costa siciliana. Al momento del ritrovamento le architetture del santuario erano in completa rovina e l’unica parte ancora in piedi era una porzione di muro della cella. Si rimase in questo stato fino agli anni Cinquanta del XX secolo, quando il tempio fu quasi interamente ricostruito con un’imponente operazione che ha portato il santuario all’attuale aspetto. Il tempio E presentava ricche finiture policrome, in parte conservate, che caratterizzavano l’architettura del tempio. Nella cella, sul fregio dei lati brevi, erano collocate le metope scolpite, realizzate in calcare con elementi in marmo. Delle dodici totali, ne sono rimaste solo cinque conservate al museo Salinas di Palermo.
Molto interessante è anche il Tempio F, un edificio di età arcaica matura che secondo gli studiosi potrebbe essere stato dedicato ad Atena, Eracle o Dioniso. Quello che è certo è che anche questo angolo di acropoli conserva un fascino unico, in grado di rapire il visitatore con gli echi del passato. È da qui che provengono due splendidi frammenti di metope che rappresentano episodi della gigantomachia e che sono, come tanti altri reperti portati alla luce nell’area archeologica di Selinunte, conservati al Museo Salinas di Palermo. Sulla base delle ricostruzioni e degli studi condotti su tutta l’area i ricercatori pensano che nel tempio F si provò ad inserire lo schema stretto e lungo della pianta tradizionale, in un rettangolo dalle proporzioni meno allungate, soluzione che determinò un’irregolarità tra fila interna di colonne del lato est e la fronte della cella. In seguito, lo spazio tra le colonne della peristasi fu chiuso con delle transenne, alte più di un uomo. Forse una misura di sicurezza per ottenere maggiore segretezza nello svolgimento dei culti.
Il gitante di Selinunte: il Tempio G, conosciuto anche come Olympieion, è uno dei più grandi santuari dorici del mondo greco. Deve la denominazione di Olympieion all’importante iscrizione, più nota come Tavola Selinuntina, ritrovata nel 1871 nell’opistodomo del tempio e oggi conservata al Museo Archeologico Salinas di Palermo. Questo tempio misurava come un campo da calcio: era largo 50 metri e lungo 110 con otto colonne sui lati brevi e diciassette sui fianchi. Due file di colonne dividevano la cella in tre navate culminanti in un piccolo tempietto dove era custodita la statua di culto. Oggi, dalle immense rovine dell’edificio emerge la colossale colonna detta “Fuso della Vecchia”. Le forme architettoniche molto differenziate del tempio, specie dei capitelli fanno intuire il lungo periodo di costruzione dell’edificio che si stima abbracci un arco di circa settantacinque anni. Anche se molti dettagli non furono mai portati a termine, il tempio sembra essere stato in uso almeno a partire dalla metà del V secolo avanti Cristo anche se i ricercatori ancora sono dubbiosi sulla destinazione di circa sessanta grandi rocchi di colonna previsti per il tempio, ma rimasti nelle Cave di Cusa.
Uno dei luoghi dotati di maggior fascino dell’intera area archeologica di Selinunte è sicuramente l’esteso santuario della Malophoros di Contrada Gàggera. Questo delimita, insieme al tempio M e al megaron di Hera a Sud, il limite occidentale della città oltre il fiume Modione. Lo spazio interno del santuario era diviso in due grandi aree sacre. All’area più grande e importante, definita su tre lati da alti muri di recinzione, si accedeva attraverso un ingresso monumentale. A nord d si estendeva invece un portico e a sud un recinto sacro. Il megaron di Malophoros era suddiviso all’interno in tre vani mentre l’altare a cassa custodiva molti degli ex voto arcaici. Una canaletta per l’acqua, collegata alla fonte Gàggera, attraversava da Nord a Sud l’intero santuario, anche oltre i muri di cinta. C’era poi un’area dedicata a Zeus Meilichios dove ancora oggi sono conservati i resti di due portici.
Sono diverse le necropoli che si trovano all’interno dell’area archeologica di Selinunte. La più importante era all’interno dell’Acropoli, sul Pianoro di Manuzza, un’altra è stata invece individuata a nord dei templi della collina orientale nella cosiddetta contrada Buffa e a queste se ne aggiungono una terza nella zona della contrada Galera Bagliazzo ed una quarta ad ovest del fiume Modione più avanti del santuario della Malaphóros, nella contrada Manicalunga Timpone. In tutte queste sono state ritrovate numerosissime tombe da cui provengono migliaia di oggetti, soprattutto vasi e statuette di terracotta, che servivano per proteggere ed accompagnare il defunto nel suo viaggio nell’aldilà. Interessante è in particolar modo quanto è stato trovato sul pianoro di Manuzza, una larga area nella quale l’impianto urbanistico del 580 avanti Cristo di tipo ortogonale costituisce uno degli esempi più interessanti di pianificazione coloniale di età arcaica.
A circa 11 chilometri dall’area archeologica di Selinunte si trovano, materialmente, le origini della città. Le Cave di Cusa furono il principale luogo di estrazione delle pietre utilizzate per la costruzione degli edifici e dei templi di Selinunte. La roccia delle Cave di Cusa, molto compatta, fu utilizzata a partire dalla prima metà del VI secolo avanti Cristo per poi essere abbandonata quando l’attività estrattiva era ancora in pieno svolgimento, come dimostrano i rocchi di colonna in corso di formazione o già estratti per la costruzione del Tempio G, ai tempi dell’avanzata dell’esercito di Annibale nel 409 avanti Cristo. Oggi il loro aspetto è caratterizzato da una lunga parete rocciosa di estrazione alta circa 8 metri che si può seguire per circa 1.700, mentre il nome attuale e fa riferimento al barone Cusa, vecchio proprietario dell’area. Nel XVI secolo erano, invece, note con il nome arabo di Ramuxara. I Selinuntini ricavarono la pietra da costruzione anche da altre cave. Alcune di esse, come quelle localizzate lungo i pendii di Manuzza, si trovano all’interno della città, altre, come le Cave Barone, si trovano a circa 4 chilometri a Nord di Selinunte. Più lontane sono quelle di Misilbesi presso Menfi, sfruttate soprattutto per opere di scultura. Dalle Cave di Cusa i pezzi I pezzi venivano trasportati lungo una strada rocciosa larga dai nove ai dieci metri oggi non più visibile.
La collina di Manuzza fu l’area su cui alcuni dei primi coloni si stanziarono. La linearità del territorio e la sua vastità indussero i coloni a scegliere quale sede dell’insediamento quest’area a ridosso dell’Acropoli, alla quale era adeguatamente collegata. Quegli stessi coloni divisero la zona in fasce mentre il confine concreto tra spazio urbano, necropoli e campagna fu fissato successivamente con la costruzione delle mura di difesa. Fin dalle origini, tuttavia, l’assetto urbano del pianoro si caratterizzava come un corpo che legava l’Acropoli con i borghi ai suoi lati e la collina orientale. Con lo sviluppo delle costruzioni monumentali e delle grandi architetture religiose, il paesaggio subì una radicale trasformazione: da un abitato a carattere rurale si passò ad un articolato paesaggio urbano. Al centro della città, tra i quartieri meridionale e settentrionale, fu risparmiata un’estesa area destinata alla costruzione dell’agorà, una grande piazza riservata alla vita pubblica della città. Tutte le grandi strade principali confluivano nella piazza e quasi al suo centro fu realizzato un monumento funerario dedicato al fondatore della città.