In Abruzzo c’è un parco naturale “affacciato sul mare”: è il Parco Nazionale della Majella che con le montagne del Massiccio della Majella, i Monti Pizzi, il gruppo del Monte Porrana e la catena del Morrone è uno dei cuori verdi d’Italia che per la sua peculiare ricca biodiversità dal 2021 fa parte dei geoparchi mondiali dell’Unesco. Un riconoscimento a livello internazionale che rende merito a uno dei luoghi dalle molte caratteristiche uniche, tra cui quella della vicinanza al mare (30 km dal mare Adriatico) e la ripida ascesa fino ai 2793 metri della vetta più alta, il Monte Amaro, e con oltre 30 cime che superano i duemila metri. Il Parco della Majella si estende su un territorio di 74mila ettari di area protetta che raccolgono una fauna tra le più ricche del continente (tra cui i celebri lupo e orso marsicano, camosci, lontre, caprioli, cervi, 40 specie di mammiferi in tutto, 130 specie di uccelli, 2200 piante di cui 5 esclusive di questo parco), e contiene un terzo dell’intera flora italiana, ma anche tanta storia: un parco che si raccontata dal paleolitico con resti fossili, grotte e fiumi carsici con caverne di stalattiti e stalagmiti, gallerie e abbazie, eremi e luoghi di culto (il patrimonio geologico del Parco è profondamente legato a quello culturale e religioso: molte grotte sono di interesse archeologico e gli scoscesi versanti rocciosi delle sue montagne sono stati frequentati sin dal Medioevo dagli eremiti come luoghi di solitudine e ascetismo) che segnano il tempo della vita dell’uomo qui nel parco nei secoli. Il Parco racchiude al suo interno centri urbani culturalmente interessanti come Sulmona, Guardiagrele, Corfinio, Palena, Fara San Martino, Pratola Peligna, Pacentro, Pescocostanzo, Manoppello, Caramanico Terme, Popoli, Serramonacesca e Pretoro. Vediamo dieci imperdibili tappe di un viaggio sui monti della Majella.
All’interno del Parco, nel comune di Serramonacesca, in provincia di Pescara, c’è l’Abbazia benedettina di San Liberatore a Majella: splendida. È il più importante esempio di architettura romantica abruzzese, in pietra concia, con campanile in base quadrata, ha una struttura su tre navate attraversate da sette archi poggianti su pilastri e conclusi dalla tipica cornice benedettina, ognuna delle quali termina con un abside circolare. Il pavimento presenta un mosaico databile al Duecento, e negli absidi ci sono importanti cicli di affreschi. Attiguo c’è il monastero, uno dei più antichi d’Abruzzo, ma la datazione è incerta con due tradizioni differenti (una che riferisce della costruzione coeva a San Benedetto e una invece all’epoca di Carlo Magno) anche se sicuramente una comunità di monaci nell’884 era già presente quando fu compilato il Memoratorium dell’abate Bertario sui possessi di Montecassino nell’Abruzzo teatino. Crollata, ricostruita, restaurata nel corso dei secoli a causa di terremoti e incuria mantiene comunque intatto il fascino della sua storia ultramillenaria.
Isolato e collocato in un contesto ambientale meraviglioso ma climaticamente tanto difficile c’è un eremo che ha la chiesa praticamente incorporata e fusa con la roccia della montagna: stiamo parlando dell’eremo di Santo Spirito a Majella, nel comune di Roccamorice, nel cuore del Parco. A vederlo è da rimanere stupefatti: ci si domanda cosa abbia portato tanta convinzione e fede da voler costruire qualcosa qui un articolato complesso di edifici addossati, più che arroccati, alla parete di roccia del Massiccio del Morrone. La tecnica è tipica del luogo: gli eremi della Majella sfruttano i ripari naturali creatisi dalle rocce delle montagne per inserirsi e costruire o scavare nella roccia ulteriormente. La sua storia è legata a quella di papa Celestino V, Pietro da Morrone, definito il papa del “gran rifiuto”, che scelse questi luoghi proprio per isolarsi dopo tre mesi e mezzi di pontificato, rinunciando all’“Ufficio di Romano Pontefice”, come ha fatto Benedetto XVI nel 2013. Per la cronaca, qui ebbero dimora un altro futuro papa, Vittore III, il beato Roberto da Salle e Cola di Rienzo. Dopo mutamenti vari susseguitesi nei secoli in base all’evoluzione religiosa (da eremo divenne abbazia e poi monastero accorpando un altro monastero), troviamo oggi su un terrazzamento spianato della roccia la chiesa di epoca cinquecentesca (dopo ristrutturazioni varie che hanno soppiantato la struttura medievale) e l’eremo vero e proprio consistente di una stanza con crocifisso. È monumento nazionale italiano e per un mese ogni anno c’è l’indulgenza plenaria dei propri peccati (per la Chiesa Cattolica) per chi arriva fin qua.
Dall’Abbazia di San Liberatore si può prendere un sentiero e in trenta minuti ci troviamo immersi in una vegetazione di gran pregio costeggiando il fiume Alento. Tra cascatelle, salti, vortici, ponti di legno, rocce dalle forme e colori particolari plasmate dal tempo e dall’acqua, il percorso, di nessuna difficoltà tecnica particolare, sorprende passo dopo passo. La biodiversità si sprigiona in ogni direzione tra acque cristalline dove fare il bagno in mezzo alle trote e vegetazione ricca, piena di animali mai visti per un ragazzo di città. Qui troverete tre tombe scavate nella roccia: catacombe cristiane di cui non è certa la datazione ma si fanno risalire all’VIII-IX secolo. La forma da sarcofago sormontato da un arco è tipica delle catacombe cristiane dei ceti nobili. Tutta la zona ha indicazioni con cartelli, parapetti e corde cui aggrapparsi nel cammino.
In una cavità naturale della roccia non lontano dall’abbazia di San Liberatore, tra il secolo XI e il XIV venne costruito un eremo, l’eremo di Sant’Onofrio, che nel 1294 vedeva risiedervi Pietro da Morrone: il futuro papa Celestino V. Qui in quell’anno, dopo due anni di “sede vacante” a Roma per mancanza di accordo sul papa, due messi pontifici si arrampicarono per consegnargli la notizia dell’elezione al soglio di Pietro. Che, come si sa, Celestino V lascerà dopo cinque mesi. Siamo nel comune di Serramonacesca, in provincia di Pescara, ad una altitudine di 725 metri sul mare, un luogo del silenzio. Quella visibile oggi è la risultanza dell’opera di ingrandimento, ristrutturazione e modifiche anche importanti che ne fanno oggi un complesso su due livelli in stile romanico. Da dietro l’altare si accede a cunicoli dove un punto è denominato “Giaciglio di Sant’Onofrio”, dove si ritiene si riposasse il Santo, oggi legato al rito dello strofinamento su una pietra dalle supposte proprietà taumaturgiche.
Sul roccioso Colle Ciumina, nei pressi di Serramonacesca, da cui si dominano i passaggi della Val Pescara e i valichi della Majella, ci sono i resti di Castel Menardo: imponente fortificazione che sarebbe stata fatta costruire da Carlo Magno tra il XII e XIV, per delimitare e controllare i confini dei propri possedimenti e lì posizionata a difesa dell’Abbazia San Liberatore da eventuali attacchi saraceni. Luogo molto affascinante e spettacolare, ma del castello è rimasto poco per poter ipotizzare con chiarezza la formazione della struttura. Sicuramente aveva mura possenti, la pianta è triangolare con una struttura quadrangolare su di una delle estremità, con la presenza agli altri due vertici di due torri circolari. Forti sono i richiami alle fortificazioni cassinesi.
Il borgo di Roccamorice sorge su uno sperone roccioso con pareti scoscese che si erge tra i torrenti Capo La Vena a ovest e Fosso Pietraiata a est, ma il comune ha molti altri centri abitati per una estensione totale di circa 25 km quadrati. Il territorio è molto frastagliato e Roccamorice è famosa per la presenza di molti eremi ed è meta di turismo religioso. Qui gli eremi sono spettacolari opere di muratura adattate e incastonate alle insenature della roccia: dell’Eremo di Santo Spirito a Majella abbiamo già parlato, dell’Eremo di San Bartolomeo in Legio diremo più sotto. Del borgo in sé non si ha certezza di come e quando fu costruito ma si data intorno all’anno Mille, con presenza di case di epoca medievale, con i resti dell’antica fortificazione con una torre in pietra a vista. Molto visitata quella che doveva essere l’abitazione di Celestino V prima di ritirarsi sull’eremo di Santo Spirito. Il portale è in pietra ad arco ogivale del 1444. Caratteristiche di questo territorio sono le capanne a tholos: fatte di cumuli di pietra a secco che ricordano i Trulli pugliesi, erano opera dei pastori che nel togliere le pietre dai campi costruivano queste strutture dove ripararsi o proteggere fonti sorgive.
Con una storia plurisecolare (già nel XII secolo, nel Chronicon Casauriense, si parla di “acque putride”, cioè acque termali), Caramanico deve il suo sviluppo alle acque minerali, oligominerali e sulfuree delle terme che ne hanno determinato ricchezza e notorietà facendone un punto di riferimento per tutto il centro Italia come luogo vocato al riposo e alla cura fisica e delle vie respiratorie. Caramanico è un borgo medievale sui 650 metri di altitudine che si trova nella riserva naturale “Valle dell’Orfento”, istituita prima del Parco Naturale del Majella, ed è situato sulla confluenza dei fiumi Orta e Orfento, le cui valli caratterizzano l’intero territorio. Il principale edificio religioso e anche quello di maggior interesse artistico è la chiesa di Santa Maria Maggiore di caratteri romanico-gotici di cui troviamo documentazione già nel 1059. Molto interessante è il portone principale, in stile gotico, con ricche ornamentazioni scultoree: edicolette sovrapposte, figurazioni, pilastrini, colonnine ed artistici capitelli, fu realizzato da Giovanni da Lubecca e risale al 1476. La valle forgiata nel corso degli anni dal fiume è tra i punti più incontaminati dell’intera Majella e dal 1971 è stata oggetto di ripopolamento di animali come cervi e caprioli.
Il Massiccio del Morrone è separato dal gruppo della Majella dal Passo di San Leonardo e la sua vetta principale tocca i 2061 metri d’altitudine. Anche qui sono stati individuati due eremi dove il futuro Papa Celestino V, poi proclamato Santo, venne a pregare. E proprio al di sotto di uno di essi (nel territorio del comune di Sulmona) troviamo un grande santuario romano dedicato ad Ercole Curino (IV-III sec. a.C.), dio protettore di sorgenti ed acque salutari nonché dei mercanti (non a caso siamo sulla strada per andare al mare o per scendere in Puglia). Sito archeologico di grande importanza anche per la grandezza dispiegata per l’opera e per il ritrovamento del bronzetto di Ercole a riposo (esposto al Museo Archeologico Nazionale Villa Frigerj di Chieti) rinvenuto all’interno del sacello, oltre alla statua in marmo e a una colonnina con 12 versi graffiti, attribuiti a Ovidio (che era originario dell’antica Sulmo): è sicuramente uno dei più importanti luoghi di culto dell’epoca romana. Alla fine della guerra “sociale” tra Romani e popoli prima loro alleati, venne ingrandito e reso mastodontico e su più livelli con terrazze e scalinate. Si ipotizza che su un terrazzamento vi fossero 14 ambienti coperti con volta a botte e un enorme podio di 71 metri di lunghezza. Da questo terrazzamento si passa con una una scalinata a due rampe al terrazzo superiore, il più antico, al centro del quale si trova il sacello che conserva parte della ricca decorazione parietale. La grande scalinata a sud per la sua imponenza si ipotizza potesse fungere da ingresso monumentale. Il terrazzamento superiore era chiuso su tre lati da un portico colonnato. Sulla seconda rampa si conservano la fontana, che prendeva l’acqua da una sorgente posta più a monte, e il “donario”, blocco di pietra cavo al centro ed originariamente chiuso da un coperchio. L’altare ricoperto da lastre di bronzo e il piccolo sacello della divinità si trovavano al centro della terrazza superiore. Il pavimento è coperto da un mosaico policromo.
San Bartolomeo in Legio è un eremo tra i più famosi del Parco sia perché abitato da Celestino V sia perché è spettacolare la sua costruzione: costruito in un periodo anteriore al Mille (e successivamente restaurato proprio da Celestino V intorno al 1250) vi si giunge da una scala in pietra detta Scala Santa ed è completamente incastonato nella roccia, mimetizzandosi nella parete stessa che in quel punto aveva una rientranza e che con il muro dell’eremo invece sembra continuare dritta il percorso del costone roccioso, praticamente in verticale. È da vedere. L’interno è scavato nella montagna ed ha affreschi del XIII (come l’esterno) e contiene l’altare del Cinquecento e una nicchia contenente una statua lignea ottocentesca di San Bartolomeo. Inoltre qui si trova anche una piccola sorgente d’acqua che è chiamata l’acqua di San Bartolomeo a cui si attribuiscono proprietà taumaturgiche. All’esterno c’è una galleria e una vasca per l’acqua e ogni 25 di agosto molte persone arrivano qui proprio per l’acqua miracolosa portando in processione la statua del Santo fino alla Chiesa di Roccamorice per i festeggiamenti.
Guardiagrele è definita la “terrazza d’Abruzzo” per la sua posizione di affaccio su vallata e monti dalla cresta dove è arroccato, come da buon presidio militare longobardo dell’epoca (VII sec). Nel XV secolo (durante il Regno di Napoli) la fortificazione intera della città conterà 33 torrioni. Il borgo è famoso per la lavorazione dei metalli: qui per le strade si incontrano maestri di bottega che dal ferro al rame e all’oro hanno tradizioni secolari. L’artigianato raffinato e elegante della lavorazione dell’oro ne fecero un punto d’eccellenza per molto tempo (molti pezzi pregiati dell’oreficeria locale di stampo sacro sono conservati al Museo del Duomo). Il centro storico, che si snoda lungo le antiche mura ospita il complesso monumentale di San Francesco al cui interno, nella sacrestia, c’è una una fontana tardo-rinascimentale in pietra bianca di grande pregio e fattura. Da visitare il Museo Archeologico Filippo Ferrari che ospita i corredi funerari delle tombe sotto tumulo (IX secolo a.C.) e la statuetta in bronzo di “offerente” da Comino, espone i corredi protostorici (IX-III secolo a.C.) della necropoli di Còmino di Guardiagrele e una raccolta di materiali preistorici da siti del circondario. Qui è presente la più antica stele dell’area abruzzese: la “Stele di Guardiagrele”. Riproduce le fattezze di un guerriero del VII secolo a.C. Una curiosità: di Guardiagrele è originario Giorgio Aurispa, il protagonista del Trionfo della morte di Gabriele d’Annunzio, e il borgo ha un’importanza rilevante nel romanzo.
L'autore di questo articolo: Andrea Laratta
Giornalista. Amante della politica (militante), si interessa dei fenomeni generati dal turismo, dell’arte e della poesia. “Tutta la vita è teatro”.