Lungo l'ex ferrovia Capranica-Civitavecchia, tra siti archeologici e stazioni abbandonate


La ferrovia Capranica-Civitavecchia, dismessa negli anni Sessanta, è oggi un gettonato percorso di trekking che scorre tra vaste campagne, stazioni abbandonate, siti archeologici poco noti.

È il 4 giugno 1944 quando, a quattro mesi dallo sbarco di Anzio, iniziano ad arrivare a Roma gli Alleati per liberare la capitale dalla morsa nazista. Durante gli anni bui della seconda guerra mondiale, la ferrovia Capranica-Civitavecchia-Orte continuava imperterrita il suo operato, sebbene esso fosse limitato a un ridotto flusso di passeggeri e merci. Il conflitto coinvolse la ferrovia in azioni belliche da parte degli Alleati, mirate alla distruzione dei ponti al fine di ostacolare la ritirata delle truppe tedesche. Il ponte che attraversava il fiume Mignone subì un devastante bombardamento aereo che compromise una delle arcate in muratura, rendendo impossibile il transito dei treni fino al 1947. Dagli anni Cinquanta le ferrovie iniziarono a considerarla come un settore marginale, riducendo il numero di corse giornaliere e le attività di manutenzione. E così, nella notte dell’8 gennaio 1961, dopo tre giorni di incessanti piogge, una frana attraversò la tratta Civitavecchia-Capranica, causando la distruzione del terreno per dieci metri. Da qui, tante furono le proposte per un ripristino che non fu mai portato avanti.

Oggi, quel viaggio possiamo solo immaginarlo, oppure ripercorrerlo lungo un gettonatissimo percorso di trekking, da percorrere a piedi o su di una mountain bike, che corre sul tracciato della vecchi ferrovia e che per gli abitanti del posto è diventato una sorta di classico dell’escursionismo. Possiamo immaginare di salire su un treno stanco, che viaggia a fatica ed esplorare il mondo dal finestrino, ammirando ulivi secolari e scendendo di tanto in tanto. La ferrovia attraversava una delle zone più ricche dal punto di vista archeologico nell’intera regione del Lazio. Le testimonianze storiche più significative appartengono alla civiltà etrusca, ma si trovano anche tracce della vita durante l’era romana e medievale. Si scoprirà, per prima, la Scaglia: una necropoli etrusca risalente al VI-V secolo a.C. in cui le tombe semplici a una sola camera di sepoltura mostrano strutture modellate per ospitare letti e oggetti funerari.

Proseguendo per altri quindici chilometri arriveremmo a Palano - Ripa Maiale. L’area di Palano ha rivelato una ricca collezione di reperti risalenti al Paleolitico Medio, testimoniando la presenza di popolazioni antiche tra 200.000 e 35.000 anni fa. Questi reperti, conservati principalmente presso il Museo Civico di Allumiere, includono strumenti realizzati dalla scheggiatura di pietre di calcare siliceo e nei pressi di Ripa Maiale, si possono osservare ripari in grotta e sottoroccia che probabilmente furono adattati ed utilizzati da popolazioni arcaiche. Si aprirà poi, allo sguardo del viaggiatore, Cencelle. Una città, questa, di rilevante importanza, fondata da Papa Leone IV nell’853 per offrire rifugio agli abitanti fuggiti da Centumcellae dopo l’invasione saracena. Situata sulla sommità di una collina strategica, dominava la valle del Mignone fino al mare. Fu probabilmente un centro abitato anche in epoca romana. Nel 1200, contava circa 800 abitanti e si basava sull’agricoltura, l’allevamento e in minima parte sulla pesca. Tuttavia, la costruzione della ferrovia Civitavecchia - Capranica - Orte nel 1928 distrusse una delle sue chiese e lasciò segni delle sue torri e mura fortificate.

La stazione di Allumiere. Foto: Wikimedia/Trenus_M99
La stazione di Allumiere. Foto: Wikimedia/Trenus_M99
La stazione di Barbarano Romano. Foto: Paola Pittori
La stazione di Barbarano Romano. Foto: Paola Pittori
La stazione di Mole del Mignone. Foto: Wikimedia/Trenus_M99
La stazione di Mole del Mignone. Foto: Wikimedia/Trenus_M99
Il viadotto sul Mignone
Il viadotto sul Mignone
La stazione di Monteromano. Foto: Dino Michelini
La stazione di Monteromano. Foto: Dino Michelini

L’Italia preunitaria ebbe una storia ferroviaria caratterizzata da ritardi significativi rispetto alle nazioni industrializzate come Francia e Inghilterra. L’Inarrestabile rivoluzione industriale esercitava pressioni per una modernizzazione accelerata degli Stati, promuovendo l’adozione di strutture liberali e il progresso tecnologico. Tuttavia, la rete ferroviaria, un simbolo tangibile di questo progresso, rimase ampiamente limitata all’ex Regno Lombardo Veneto quando l’Unità d’Italia fu raggiunta. Uno sguardo attento al panorama politico ed economico dell’epoca rivela il contrasto tra gli ideali risorgimentali e le forze conservatrici, rappresentate in particolare dallo Stato pontificio e, in tale contesto, la ferrovia non solo simboleggiava il progresso tecnologico, ma incarnava anche gli ideali di unità nazionale e indipendenza, elementi chiave del movimento risorgimentale. Già nel 1846, proposte per l’instaurazione di una rete ferroviaria nello Stato ecclesiastico erano state presentate al Papa Gregorio XVI, con l’obiettivo di collegare importanti città come Roma e Civitavecchia. Tuttavia, queste proposte incontrarono l’ostilità del clero conservatore, che vedeva la modernizzazione come una minaccia alle proprie tradizioni e al proprio potere.

Le cose ebbero un mutamento significativo con l’ascesa al pontificato di Pio IX nel 1849. La sua volontà di esplorare nuove frontiere e abbracciare il cambiamento si manifestò quando accettò l’invito del re Ferdinando II di Borbone a sperimentare personalmente il treno sulla linea Napoli-Portici. Questo gesto simbolico non solo segnò un punto di svolta nelle relazioni tra la Chiesa e il progresso tecnologico, ma gettò anche le basi per un cambiamento significativo nell’atteggiamento verso la ferrovia come motore di modernizzazione. Il viaggio di Pio IX a bordo del treno e la sua visita alla fabbrica di locomotive a Pietrarsa rappresentarono un passo audace verso l’adozione della tecnologia ferroviaria e l’evento segnò l’inizio di un processo di lenta ma necessaria apertura mentale e di adattamento alle esigenze della modernità, aprendo la strada a nuove opportunità di connessione, sviluppo economico e trasformazione sociale. 

Fu in questo contesto, nel 1870, che nacque l’idea di costruire una linea trasversale che avrebbe dovuto collegare i porti di Civitavecchia e Ancona, passando per Terni. Il progetto che vide la sua effettiva nascita venne però presentato solamente nel 1907  da Valentino Peggion e Nicola Petrucci con l’aiuto dell’ingegnere Carlo Carega e la linea si sarebbe innestata su quella preesistente di Capranica- Ronciglione. I lavori di costruzione della Civitavecchia - Capranica - Orte iniziarono nel 1922 e fin da subito si presentarono infiniti problemi sull’accidentalità e qualità dei terreni da attraversare che portarono alla sua chiusura durante il secondo dopoguerra. 

Si notò fin dalla sua inaugurazione nel 1929, che questa non sarebbe stata una linea ferroviaria destinata alla grandezza e proprio a causa del terreno così sconnesso e argilloso si preferì gestire solamente il traffico locale di passeggeri e di merci, ma nel 1935, vista l’assenza di viaggiatori, si decisero di sopprimere i viaggi con la Prima Classe. Nel 1939, il flusso dei passeggeri si delineava principalmente come un tessuto di pendolarismo rurale, scaturito dalla necessità imprescindibile della ferrovia di attraversare e congiungere regioni isolate, dove la mancanza di strade era un fatto innegabile. Ci vollero ben 10 anni dopo l’avvio operativo della linea ferroviaria perché finalmente prendessero il via i lavori per dare forma al tanto agognato progetto di elettrificazione, già previsto nel piano alternativo del 1917. Tuttavia, la realizzazione di tali lavori si tradusse soltanto nella creazione di un’alta tensione elettrodotto che collegava Civitavecchia a Orte. Questo elettrodotto, ancor oggi, scorre parallelo e spesso a breve distanza dalla ferrovia, insieme alle strutture locali destinate ad accogliere le sottostazioni elettriche di Monteromano e Capranica. L’aspirazione a una moderna elettrificazione ferroviaria, purtroppo, si tradusse in una realtà limitata che non fece altro che evidenziare le sfide e le complessità connesse all’implementazione di un sistema di trasporto avanzato e sostenibile.

La necropoli della Scaglia. Foto: Gruppo Archeologico Romano
La necropoli della Scaglia. Foto: Gruppo Archeologico Romano
La città abbandonata di Cencelle. Foto: Sebastiano Maltese
La città abbandonata di Cencelle. Foto: Sebastiano Maltese
L'eremo della Trinità di Allumiere. Foto: Museo Civico di Allumiere
L’eremo della Trinità di Allumiere. Foto: Museo Civico di Allumiere
La chiesa di Santa Maria alla Farnesiana. Foto: Giorgio Clementi / Gruppo Archeologico Romano
La chiesa di Santa Maria alla Farnesiana. Foto: Giorgio Clementi / Gruppo Archeologico Romano
Luni sul Mignone. Foto: Robin Iversen Rönnlund
Luni sul Mignone. Foto: Robin Iversen Rönnlund

Seguendo le sue intricate trame storiche sarà ora più facile proseguire il viaggio e risalire su quel treno. Potremmo immaginare di scendere alla stazione di Allumiere dove, incastonato nei boschi, troveremmo un piccolo eremo. È il più antico santuario dei Monti della Tolfa, costruito su una precedente villa romana. La tradizione sostiene che Sant’Agostino soggiornò qui a lungo durante il periodo in cui compose la sua seconda Regola e iniziò a scrivere “De Trinitate”.

Poco più avanti si aprirà sul nostro percorso La Farnesiana, un borgo sviluppato attorno a un mulino ad acqua costruito nel Cinquecento nella valle del Campaccio. Insieme a una piccola chiesa, era abitato da religiosi che gestivano anche il mulino. Nel 1754, il borgo e il mulino furono abbandonati e successivamente divennero una fattoria per produrre grano e allevare bestiame per i minatori che lavoravano nelle vicine cave. La chiesa di Santa Maria della Farnesiana fu costruita nel 1836 e poi dedicata all’Immacolata Concezione nel 1877. Il borgo ha conservato il suo aspetto originale, ma la chiesa è ora in rovina e a rischio di crollo.

Bisognerà proseguire per altri lunghi chilometri, precisamente 23 dalla prima stazione di partenza, per trovarsi a Luni sul Mignone. Situato su una roccaforte tufacea che si affaccia sul fiume Mignone, questo sito ha testimonianze che risalgono al Neolitico e continuano fino all’età del bronzo. L’insediamento fu abbandonato intorno al 1300 a causa della peste. Luni è stato oggetto di scavi sistematici da parte dell’Istituto Svedese negli anni Sessanta e include reperti come una capanna scavata nel tufo e graffiti antichi su una grotta. Offre anche una straordinaria vista panoramica sulla valle del fiume Mignone. Più avanti scopriremmo, Blera, nata come città etrusca e divenuta un municipio romano che svolse un ruolo importantissimo tra la Tuscia Longobarda e Roma. Continuò ad avere rilevanza anche nel Medioevo, nonostante una leggera perdita d’importanza. Qui si erge, maestoso, il ponte romano del Diavolo, che attraversava la via Clodia sul fosso del Biedano. Un monumento, questo, risalente a 2500 anni fa e costruito in blocchi di peperino murati a secco ed è proprio per questa solidità millenaria che sembrerebbe essere stato costruito dal diavolo in persona.

Risalendo sul nostro vagone ormai amico, ci troveremmo ben presto a Barbarano Romano che presenta un abitato medievale racchiuso tra il fosso Biedano e un suo affluente e conserva l’aspetto urbano originale, mentre un’antica fortificazione protegge il suo lato non difeso. Qui il nostro viaggio, tra differenti storie e luoghi collegati grazie a questo tratto di ferrovia si conclude, l’esploratore potrà pensare di svolgerlo davvero, camminando lungo il sentiero.


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