Vicino Viterbo, a un’ora da Roma, fino a 90 mila anni fa c’era un vulcano attivo che concludendo le sue attività e crollando su se stesso ha formato un cratere che poi è diventato un lago, circondato da boschi secolari, creando un ambiente protetto e di incontaminata bellezza naturale: è il Lago di Vico. Il bacino del lago di Vico, i monti Cimini e le loro pendici sono state protette dalla Riserva nei primi anni Ottanta e questo ha evitato la corsa alla costruzione edilizia in un posto effettivamente da favola, con lo specchio d’acqua, balneabile, a circa 500 metri di altezza alle cui rive presenta canneti e zone umide, aree pianeggianti con prati e pascoli fino a essere sovrastato dalle montagne tutt’attorno che toccano i 965 con il monte Fogliano e gli 851 del monte Venere. Il lago si estende per circa 12 km quadrati, con un perimetro di 18 km ed una profondità di 50 metri e l’acqua è molto pulita. Oltre quindi che per gli sport acquatici il posto è meta ideale per escursioni in bici o trekking grazie ai molti sentieri presenti (molto ben segnalati dal Cai), compreso uno per non vedenti. Non poteva mancare il riferimento mitologico che attribuisce la formazione del lago ad Ercole che sfidò in una prova di forza i poveri contadini della vallata: conficcò con forza la sua clava nel terreno e quando la estrasse sgorgò tanta acqua da creare il lago. Ecco qui dieci tappe tra natura, storia e arte che non possono mancare durante un soggiorno sul lago di Vico.
La Riserva Naturale Regionale Lago di Vico ha un’estensione di 4.109 ettari (nei comuni di Caprarola e Ronciglione) e comprende l’intera conca lacustre, nonché la cinta montuosa che la circonda, e grazie all’integrità ambientale di tutto il comprensorio che una ricca bio diversità vegetale e animale. Il patrimonio boscoso è fatto di faggi, aceri, querce, noccioleti e castagneti tipici della zona, con storia secolare. In autunno i versanti di questi monti esprimono una serie di colori che sono lo spettacolo della natura che si ripete sempre diverso e altamente suggestivo. La grande quantità di specie di uccelli sia stanziali che migratori presenti nella zona attira gli appassionati del birdwatching e lo svasso è il simbolo della riserva. Ci sono inoltre molti rapaci notturni e diurni, anatre e folaghe che qui ci svernano, gufi, tassi, faine, cinghiali, moscardini, ghiri, quercini, ululoni e testuggini palustri.
Ronciglione è un borgo arroccato sulle colline meridionali dei monti Cimini ed è tra i più importanti centri storici della Tuscia che fa passare il visitatore dal Medioevo al Rinascimento al Barocco. Nasce nell’alto Medioevo quando i Prefetti di Vico la edificarono nel 1045 come presidio sulle vie del commerci: da qui infatti passava una via alternativa alla Via Cassia detta “via Ciminia”. Posizione strategica che portò fortuna e ricchezza a Ronciglione tra XII e XVI secolo per poi lasciare il passo alla famiglia Farnese nel secolo XVI che fece ulteriormente sviluppare e fiorire il borgo. I duchi Farnese infatti la trasformarono e l’espansione urbanistica andò di pari passo con la cura architettonica e artistica. La Fontana Grande, Porta romana, la Chiesa della Pace, il Palazzo della zecca ne sono un esempio. Il Duomo del 1671 è in stile barocco, a tre navate dove quella centrale è divisa da quelle laterali da quattro pilastri ed è sovrastata da una cupola di pietra molto lavorata. C’è un altare in marmi policromi con una pala di Giuseppe Ghezzi raffigurante la Madonna del Rosario, e poi ancora un trittico quattrocentesco di un pittore viterbese, una tela dell’Assunzione, una statua lignea di san Bartolomeo, patrono di Ronciglione.
Elemento centrale e identificante di Caprarola è il Palazzo Farnese, maestoso, costruito nel Cinquecento su disegno prima di Antonio da Sangallo il Giovane e quindi del Vignola con pianta pentagonale dotata di cortile circolare. È un imponente palazzo-fortezza posto su un rialzo da dove domina il borgo, per arrivarci occorre salire delle rampe di scale a tenaglia con diverse rampe e alla metà del percorso c’è un terrazzamento che dà sulla via principale. All’interno invece c’è una scala a chiocciola di forma elicoidale detta “Scala Regia”, sorretta da ben trenta colonne, con le pareti riccamente decorate con affreschi di Antonio Tempesta. La scala culmina con una cupola affrescata con al centro lo stemma della Famiglia. Un gioiello architettonico e artistico. Al primo piano sono da visitare le sale del Mappamondo, degli Angeli e dei Fasti Farnesiani tutte affrescate. All’esterno da ammirare i giardini all’italiana che si estendono fino al bosco, con fontane e giochi d’acqua, statue e sculture.
La Faggeta sul versante settentrionale del Monte Venere viene chiamata “depressa” in quanto questi faggi sono cresciuti a una altitudine molto più bassa (anche 500 metri) rispetto a quella tipica (tra gli 800 e 1800 metri), ma l’accezione negativa del termine stona con le sensazioni di tranquillità e bellezza che qui si possono vivere. Sopratutto d’autunno quando i colori che cambiano creano uno scenario inedito per chi vive in città. Ancora selvaggia, incontaminata nella sua storia secolare è un rifugio da scoprire con i percorsi e sentieri del Cai per escursioni e passeggiate anche di non troppa difficoltà. Inizialmente il Monte Venere era un isola all’interno del lago fino a quando gli Etruschi con opere idrauliche e canali non ne abbassarono il livello dell’acqua per poter coltivare.
Sui Monti Cimini, a 561 metri di altezza c’è questo borgo medievale cresciuto attorno all’abbazia cistercense dedicata a San Martino, appunto, consacrata nel 1225, che amministrativamente oggi è parte del comune di Viterbo. Nel Seicento però, ebbe gloria e indipendenza diventando un principato grazie a Olimpia Pamphilij Maidalchini che si fece nominare principessa dal cognato papa Innocenzo X. A Donna Olimpia si deve lo sviluppo economico ma ancor prima quello urbanistico-architettonico e culturale dato che volle dotare il proprio “regno” di quanto si confaceva a tale rango. Vennero chiamati architetti e artisti di primo ordine come Bernini, Borromini, Marcantonio de Rossi che misero mano a tutto, compresa la grande abbazia. Vi furono aggiunte due torri campanarie contrafforti ai lati della facciata progettate da Borromini e gran parte del complesso fu ristrutturato o vi fu costruito sopra. Olimpia Pamphilij (la cui famiglia ha il palazzo a Roma in Piazza Navona) fece infatti realizzare la propria dimora, il Palazzo Dora Pamphilij, fagocitando l’ex convento, privo ormai di vocazioni da secoli, e l’Abbazia venne prosciolta dalle autorità ecclesiastiche quando venne istituito il principato. Ti tale grandiosa struttura in stile gotico con tre navate con archi a crociera permane anche la grande polifora nel mezzo della facciata e nel transetto è conservato un busto in oro e argento. Il Palazzo è sontuoso e signorile è noto per la sala Aldobrandini al piano rialzato e per la Sala Olimpia al primo piano. Il borgo ha una forma semi ellittica essendo delimitato da una cinta muraria addosso alla quale vennero costruite case tutte uguali, per i ceti popolari, tipo villette a schiera diremmo oggi, con due sole porte d’ingresso, una verso Viterbo e verso Roma.
Vi ricordate la storia di Ercole e della sua clava? Ecco, il punto dell’incredibile colpo sul terreno sarebbe quella che oggi è chiamata Grotta del Diavolo e si trova alla cima del Monte Venere e altro non sarebbe che la bocca eruttiva del vulcano Vicano che crollando su se stesso ha formato il cratere rappresentato dall’anello montuoso dei Cimini e il Monte Venere, che sarebbe il cono di cima del vulcano. Per raggiungere la Grotta occorre attraversare la faggeta fino alla fine seguendo un percorso ben segnalato dal Cai (50 minuti di media difficoltà) e una volta sul posto (a 851 metri di altezza) il Diavolo tentatore vorrebbe farvi entrare ma vi consigliamo di farlo solo se si ha la preparazione adatta e i giusti strumenti di sicurezza. La bocca della Grotta è larga 5 metri e al suo interno c’è un grande spazio da cui poi si sviluppano cunicoli e diramazioni.
Nel territorio del comune di Fabrica di Roma si trova il sito Archeologico di Falerii Novi, ma di questo parleremo in seguito. In questo borgo sono diversi i punti da vedere a partire dal Palazzo Farnese che domina l’abitato e la torre da 40 metri di altezza e i muri spessi due metri della ‘Rocca’, Palazzo Palazzo Cencelli, dove ha sede adesso il Comune, la riccamente decorata Chiesa Santa Maria della Pietà, costruita tra il tardo Quattrocento e il Cinquecento. La storia è strettamente legata alla nobiltà romana e alla storia dei papi: le loro vicissitudini e i passaggi di potere hanno influenzato lo sviluppo di Fabrica. Tra i personaggi importanti che passarono a Fabrica ci sono Giulio II della Rovere (che durante il pontificato veniva spesso a soggiornarvi per incontrare il cugino), Benedetto XIII, il cardinale Giovanni Battista Pallavicini, la regina Cristina di Svezia.
Qui abbiamo testimonianza dell’antico popolo Falasco che sconfitto dai Romani fu costretto a lasciare Falerii, da essi distrutta, per insediarsi da ‘deportati’ più in pianura: Falerii Novi, quindi. C’erano fortificazioni di notevole importanza come una cinta muraria dal perimetro di 2 km e ben 50 torri. Alla città si accedeva da nove porte tra le quali la Porta Giove è di grande interesse: la testa raffigurante il padre di tutti gli dei infatti funge da chiave di volta e rappresenta uno di primi utilizzi dell’arco in Etruria. I molti reperti trovati sono conservati al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Di grande importanza anche la chiesa romanica di Santa Maria di Falerii a 5 absidi per tre navate, del XII secolo. Attiguo il convento cistercense.
Soriano del Cimino, alle pendici degli omonimi monti, è oggi un borgo cresciuto intorno al castello fatto costruire da papa Niccolò III della potente famiglia Orsini per adibirla a residenza estiva. Fitta e rigogliosa è infatti la vegetazione e i boschi circostanti con castagni in preponderanza. In epoca recente invece è stato adibito a carcere fino al 1989. Sviluppatosi in epoca rinascimentale con quartieri di grande eleganza e stile, è da visitare Palazzo Albani Chigi dell’architetto Ottaviano Schiratti, la Chiesa di San Nicola di Bari costruita in stile neoclassico, la Fontana Papacqua e la Fontana Tonda (o Fontana Vecchia). Da segnalare Porta Romana, fatta costruire principe Carlo Albani nel XVIII che è una copia della più celebre Pota Pia.
La Necropoli di San Giuliano si trova nel Parco Regionale Marturanum, lungo l’antica Clodia, sorge sui fianchi di una rupe tufacea occupata da un insediamento stabile già durante l’età del Bronzo e presenta una importante varietà di tombe etrusche che attraversano cinque secoli di storia, e non c’è altra necropoli etrusca conosciuta con una tale ricchezza di varietà: a tumulo, a palazzina, a portico, ipogee, a fossa a nicchia o a dado. Le tombe sono prevalentemente di età arcaica ma ci sono anche del Vll sec. a.C. e di età ellenistica. Tra le più importanti la Cuccumella del Caiolo, il tumulo del Caiolo, la tomba dei ’Letti’, le tombe a Portico, le ’Palazzine’, la tomba Costa, le tombe Thansinas, i due tumuli di Valle Cappellana, il gruppo di tombe arcaiche in loc. ’Chiuse Vallerani’, l’imponnte tomba della Regina (V sec. a.C.) a semidado con una facciata monumentale alta circa 10 metri e la Tomba del Cervo, infine, presenta una meravigliosa scultura a bassorilievo che le dà il nome: un cervo attaccato da un lupo, oggi simbolo del Parco.
L'autore di questo articolo: Andrea Laratta
Giornalista. Amante della politica (militante), si interessa dei fenomeni generati dal turismo, dell’arte e della poesia. “Tutta la vita è teatro”.