Castel di Lucio è un piccolo centro di poco più di mille abitanti, situato a 753 metri sul livello del mare, immerso tra i boschi dei Monti Nebrodi, a poca distanza dalla costa settentrionale della Sicilia. Il capoluogo, Messina, dista da qui più di due ore di viaggio: Castel di Lucio è il Comune più lontano della provincia. Eppure, da alcuni anni il suo nome risuona tra gli amanti dell’arte contemporanea: è qui, che nel 1986, l’imprenditore Antonio Presti (Messina, 1957) ha dato vita a uno dei parchi d’arte contemporanea più visionari d’Italia, la Fiumara d’Arte. Tutto ha inizio nel 1982, quando Presti, allora giovanissimo mecenate, appena venticinquenne, ereditò dal padre l’azienda di famiglia e, in memoria del genitore, commissionò a Pietro Consagra (Mazara del Vallo, 1920 – Milano, 2005) la realizzazione di una grande scultura all’aperto, La materia poteva non esserci, da collocare nel greto (“fiumara”, da queste parti) del fiume Tusa.
L’opera venne completata nel 1986, e una volta terminata Presti ebbe l’idea di farne realizzare altre per dar seguito a un parco d’arte contemporanea all’aperto: tra interventi di Land Art e sculture installate nel paesaggio, nasceva così la Fiumara d’Arte. Che oggi conta opere di molti dei principali esponenti dell’arte ambientale: la grande finestra sul mare del Monumento a un poeta morto di Tano Festa (1989), l’enorme piramide del 38° Parallelo di Mauro Staccioli (2010), la sotterranea Stanza di barca d’oro di Hidetoshi Nagasawa (1989), che è stata fotografata solo all’inaugurazione e non potrà essere aperta fino al giorno del suo centesimo compleanno. L’opera però più famosa, più fotografata e forse più cercata di questo straordinaria collezione d’arte contemporanea open air è il Labirinto di Arianna di Italo Lanfredini (Sabbioneta, 1948), opera realizzata tra il 1988 e il 1989, e inaugurata nel 1990.
L’ipnotico dedalo dell’artista mantovano è subito diventato un classico della Land Art italiana, spesso citato assieme al Grande Cretto di Gibellina di Alberto Burri (altro celeberrimo simbolo dell’arte ambientale in Sicilia), o alla Montagna di sale di Mimmo Paladino situata sempre a Gibellina, o ancora alle opere del succitato Mauro Staccioli che punteggiano le colline attorno a Volterra. È un’opera realizzata in cemento dipinto coi colori della terracotta, per richiamare uno dei materiali tipici della pratica di Lanfredini, e installata sulla cima di una collina, accessibile tutti i giorni dell’anno, a qualunque ora del giorno e della notte, senza biglietti d’ingresso. Si arriva e si entra.
L’andamento e la forma, con le pareti alte due metri che garantiscono dunque un pieno coinvolgimento di chi lo percorre, sono del tutto insoliti per un dedalo: il Labirinto di Arianna è infatti una spirale che si sviluppa in modo irregolare. Proprio come un filo, quello che Arianna diede a Teseo per non perdersi nel labirinto del Minotauro. Uno stretto arco ogivale, simbolo della Madre Terra in quanto ricorda inequivocabilmente un organo genitale femminile, segna l’ingresso nel labirinto, che si sviluppa in volute sinuose fino al centro, seguendo un percorso obbligato, dove è impossibile perdersi, perché non ci sono vicoli ciechi, non ci sono trabocchetti, non ci sono passaggi che riportano sui propri passi. C’è, semmai, l’invito a viaggiare fino al centro, fino al piccolo ulivo che simboleggia la saggezza e la conoscenza, poiché nella cultura greca era albero sacro della dea Atena, divinità associata alla sapienza. Il tutto seguendo un percorso unico, se lo si valuta sul mero piano fisico: in realtà, ogni visitatore che entra nel dedalo ha i suoi ritmi, alza lo sguardo oppure lo abbassa, si ferma a ragionare, con la conseguenza che i percorsi diventano infiniti. Anche quella che Lanfredini suggerisce col suo labirinto è, infatti, un’esplorazione.
C’è, alla base del Labirinto di Arianna, l’idea che un labirinto non sia soltanto un percorso che avviene in un dato luogo, ma anche un percorso interiore. In un labirinto si tende a pensare, fosse anche solo per cercare di capire come trovare l’uscita. E, non trovandola, capita di doversi fermare a riflettere. La mente, a quel punto, comincia a viaggiare. Ecco allora che il labirinto di Lanfredini vuole porsi, nello specifico, come un’esplorazione delle profondità del proprio io, un viaggio alla ricerca delle origini dell’esistenza, tema portante della ricerca dell’artista negli anni Ottanta.
In quel periodo, specialmente con le sue opere in terracotta, Lanfredini stava sviluppando le sue idee attorno all’unione di uomo e donna, ragion per cui spesso i suoi lavori assumevano forme falliche unite a sembianze vaginali, oppure ricorreva nella produzione di quegli anni il motivo dei cerchi concentrici, simbolo archetipico del ciclo della vita. Queste suggestioni contribuirono a far nascere il Labirinto di Arianna. Fu il critico Giorgio Di Genova a suggerire il nome di Lanfredini, scegliendo proprio il bozzetto del labirinto, alla commissione internazionale che stava valutando gli artisti cui assegnare un nuovo progetto per la Fiumara d’Arte. Di Genova avrebbe poi ricordato in maniera concisa ma eloquente i motivi della sua scelta: “attraversare la soglia vaginale, percorrere il labirinto di Arianna fino al centro, in cui era una piccola caverna con acqua e un ramo verde, e risalire per uscire dalla medesima soglia, era un’esperienza psicologica alquanto perturbante dell’io”. E lo stesso Lanfredini avrebbe fornito una descrizione della sua opera in questo senso. Riferendosi al luogo, silenzioso e incontaminato, dov’era sorto il Labirinto di Arianna, l’artista scriveva: “È in questo subliminale scenario, ed anche per la preziosa sensibilità e rara intelligenza di Presti, che si concretizza la mia idea. È in cima a questo grande ricettacolo luogo delle ‘trasformazioni fecondatrici’ che diparte il viaggio oltre la ‘Soglia’, verso l’ignoto , verso un antico-nuovo simbolo archetipo, verso un sotterraneo mistero. In un grembo dove perdersi e ritrovarsi. Non un’operazione di scultura ‘cosmetica’ sul territorio ma un microcosmo nel macrocosmo, viscera nelle viscere. Una memoria, una traccia che affonda e si fonda nel paesaggio con la consapevolezza di, come dice Calvino, ‘non aspettarsi di raggiungere un al di là ma un al di qua’... Noi stessi”.
Per queste ragioni il Labirinto di Arianna, con le sue forme sinuose che accolgono il visitatore così come una madre accoglie nel suo grembo il bambino, coi suoi rimandi alle culture antiche che hanno modellato la terra di Sicilia, richiama il tema della maternità. Per questi motivi il labirinto, il luogo silenzioso in cui è immerso, il suo dialogo continuo e fecondo con l’ambiente circostante sono connotati da un forte senso di solennità, quasi spirituale. Per questo, quando si terminerà il percorso, sembrerà di aver intrapreso un viaggio verso una purezza primigenia, un viaggio verso le proprie origini, un viaggio dentro di sé.
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER