L’importanza del camminare ha delle valenze archetipe, che assumono funzioni pratiche, liturgiche e spirituali in numerose religioni, e quella cattolica non fa eccezione. Non sono certo rari i personaggi, gran parte dei quali divenuti santi, che hanno fondato la loro pratica religiosa sul pellegrinaggio, continuamente in cammino con il duplice scopo di intraprendere un percorso che da un lato li avvicinasse a Dio e dall’altro gli permettesse di diffonderne la parola, come opera di evangelizzazione. Ancora oggi, i loro itinerari vengono battuti da numerose persone, sia a scopo di pellegrinaggio religioso che laico. Sicuramente il cammino di San Francesco è tra i più interessanti: in ogni luogo dove il patrono d’Italia si è fermato sono germogliati conventi, chiese, cappelle, santuari, croci, che lo rendono ancora oggi uno degli itinerari più affascinanti da percorrere.
Negli ultimi anni sono numerose le iniziative sorte per valorizzare questo patrimonio e metterlo a sistema in un percorso, e il tratto che si snoda in Toscana, tra splendidi monumenti e paesaggi incantati è tra i più significativi, in particolar modo la Valtiberina in provincia d’Arezzo mantiene la memoria di numerosi e splendidi luoghi legati alla vita di San Francesco, tra spiritualità e arte.
Benché si ponga al di fuori del confine della Valtiberina, sebbene solamente per pochi chilometri, Chiusi della Verna in Casentino ospita uno dei luoghi più importanti legati alla storia di san Francesco, da cui infatti poi si irradiano tutte le varianti del cammino dedicato al Santo. Qui “nel crudo sasso intra Tevero e Arno/da Cristo prese l’ultimo sigillo/che le sue membra due anni portarno”, scriveva Dante, alludendo al fatto che sul monte il Serafico d’Assisi ricevette le stigmate. Francesco ricevette in dono questo “monte divotissimo” da un fedele nel 1213, e volle che vi venisse costruita una prima chiesetta, che allora doveva avere le stesse misure della Porziuncola d’Assisi, ma che con il tempo venne notevolmente ampliata dal convento e da altri luoghi sacri.
Oggi vi si può giungere in macchina o percorrendo lo stesso cammino, di struggente bellezza, tra la roccia e il bosco che aveva percorso Francesco. “Altro monte non c’è più Santo in tutto il mondo”, si legge sull’arco che da accesso al complesso, che si compone della Cappella di Santa Maria, la prima originale chiesa, la Basilica Maggiore e la Cappella delle Stimmate, preceduta da un corridoio dove in diciotto riquadri furono illustrate da Baccio Maria Bacci alcuni episodi della vita del Poverello d’Assisi. Il santuario, che contiene anche numerose reliquie legate al Santo, oltre a dominare un paesaggio che si stende all’infinito, è impreziosito da superbe opere in ceramica di Andrea della Robbia e della sua bottega che illuminano le sobrie architetture.
Rientrando in Valtiberina, uno dei primi luoghi di Francesco che si incontra è nei pressi di Caprese Michelangelo, il paese che lega il suo nome a uno dei più importanti artisti della storia, dove si trova l’Eremo della Casella, in cui un’antica tradizione vuole che il Santo si fermò nel viaggio di ritorno per Assisi per officiare un rito e per osservare un’ultima volta il monte della Verna, cosciente che non lo avrebbe più rivisto: “Addio, monte di Dio, monte Santo, mons coagulatus, mons pinguis, mons in quo beneplacitum est Deo habitare! Addio monte Alvernia; Dio Padre, Dio Figliolo, Dio Spirito Santo ti benedica! Restati in pace, che più non ci vedremo”.
Questa piccola cappella in pietra a vista, che mantiene un aspetto umile e dimesso, venne fatta costruire nel punto in cui Francesco fece piantare una croce, in un luogo immerso nel silenzio e in un paesaggio mozzafiato.
Altro edificio di grande suggestione è l’Eremo di Cerbaiolo, non lontano da Pieve Santo Stefano e, secondo un detto popolare, “chi ha visto la Verna e non il Cerbaiolo ha visto la mamma e non il figliolo”. In realtà questo luogo sacro è ben più antico del Santuario della Verna, poiché costruito nel VIII secolo, e si attesta come uno dei più antichi monasteri benedettini in Toscana. Si trova sopra una rupe di rocce calcaree e qui venne condotto Francesco nel 1216, durante il suo terzo passaggio per Pieve Santo Stefano, quando gli venne donato. In questo luogo si ritrovò a sostare anche sant’Antonio da Padova, che vi terminò la composizione dei Sermoni, e per tale ragione questa tappa è inserita anche nel cammino a lui dedicato. Nel convento fu ospite inoltre Giosuè Carducci che lo ricorda in un componimento scritto nel 1867: “E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi / Discendendo dai balzi d’Appennin, / Come gigante che svegliato tardi / S’affretta in caccia e interroga il mattin”. L’eremo, gravemente danneggiato nella seconda guerra mondiale fu poi ricostruito: il complesso, appartenuto ai francescani, si compone di un grazioso chiostro di origine seicentesca, una chiesa a pianta poligonale con alcuni elementi rinascimentali e di un convento.
Poco distante, immersa nella boscaglia e costruita su un pendio, si trova la settecentesca Cappella di Sant’Antonio, dove il pavimento è costruito sulla nuda roccia, e qui si vuole si conservi il giaciglio del Santo. E più in là ancora, un suggestivo Cristo scolpito nella pietra della montagna, lascito di qualche pellegrino anonimo.
Di un altro eremo francescano si può fregiare la Valtiberina ed è quello di Montecasale, nel territorio di Sansepolcro, città che vide anche sui gradini dell’antico Duomo la predica di Francesco. L’eremo, sperso nella selvaggia e incorrotta natura, è un santuario sorto nel 1200 su un preesistente eremo camaldolese con funzione di ospedale, a sua volta eretto sopra fortificazioni altomedievali. Fu donato dal vescovo di Città di Castello a San Francesco, e qui egli operò la “Conversione dei Ladroni”, narrata nel XXVI capitolo dei Fioretti. Questo episodio dell’agiografia del Santo racconta di come egli riuscisse a convertire dei briganti, che da tempo davano pensiero ai religiosi del luogo, nascondendosi nella macchia per tirar imboscate e procurarsi cibo. Francesco, nonostante i pareri contrari volle sfamarli e poi chiedere loro perché continuassero a fare una vita di stenti che corrompeva il loro operato: “Meglio è servire il Signore, e Lui in questa vita vi provvederà del necessario e alla fine salverà le vostre anime”, ottenendo la loro conversione e facendoli abbracciare le regole del suo ordine; di due di loro si conserva il teschio nell’eremo.
Il complesso che abbraccia l’umiltà del Serafico d’Assisi si presenta di pietra e legno, e mantiene l’impianto dei più antichi conventi francescani, connotati da un chiostro centrale scandito da pilastri e architravi, attorno al quale si sviluppano modesti edifici con finalità monastiche. All’interno della chiesa si trova un’interessante scultura di una Madonna lignea di cui si conserva la policromia, incastonata in un altare con volute scolpito nel legno. Successivamente è stato costruito un oratorio al posto della cella dove dimorava San Francesco, con tre reliquiari e la roccia che fu il letto del Poverello d’Assisi, oltre che un crocefisso di origine quattrocentesca. Inoltre, vi si conservano le celle dove soggiornarono Sant’Antonio e San Bonaventura.
Infine, nei pressi di Anghiari, dove già si trova la Chiesa della Croce, che secondo tradizione fu costruita laddove Francesco aveva piantato una croce, si trova il Castello di Montauto. Esso sorge sulla sommità del Monte Acuto, e le sue origini vengono fatte risalire a prima dell’anno Mille, benché poi sia stato rimaneggiato più volte. La sua iconica torre cilindrica, attribuita a Francesco di Giorgio Martini, si innesta sul palazzo detto degli Armigeri.
L’intera struttura subì profondi danni durante l’ultimo conflitto mondiale, per poi essere ripristinata. In questo luogo San Francesco fu più volte ospite del devoto amico Conte Alberto de’ Barbolani, che felice si prestava a provvedere alla sua ospitalità, ogniqualvolta il Serafico fosse di passaggio da o per la Verna. Nel 1224, Francesco presagendo la sua vicina morte, annunciò all’amico che quello sarebbe stata l’ultima visita al castello, e acconsentì a lasciargli in dono il logoro saio rammendato con steli di ginestra, ricevendone in cambio uno nuovo. La famiglia mantenne la reliquia per secoli, custodita in un cappella, fino a quando nel 1503 fu sottratta dai fiorentini vittoriosi su Arezzo, che la custodivano nella Chiesa di Ognissanti fino a non molti anni fa, quando ha trovato definitiva collocazione nei primi anni duemila nel Santuario della Verna.
Non lontano, si trova anche il convento francescano noto come Cenacolo di Montauto, di forme cinquecentesche, che fu fondato da Federico Barbolani, a riprova della devozione della famiglia al Santo d’Assisi. Il refettorio del convento è decorato da un ciclo di affreschi con storie della vita di San Francesco, e all’interno della chiesa si conserva un piccolo lembo del celebre saio.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.