Artista tra i principali del Rinascimento italiano, Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 1506) fu a lungo attivo nell’Italia del nord ed è noto per aver diffuso una cultura antiquaria basata sull’osservazione e sulla rievocazione dell’antichità classica. Da questo suo interesse derivarono il suo caratteristico segno aspro e la monumentalità quasi statuaria delle sue figure, e inoltre la frequentazione, in gioventù, del fecondo ambiente umanistico di Padova lo portò ben presto a contatto con le novità del primo Rinascimento: osservando le opere di Donatello poté imparare a padroneggiare la costruzione prospettica che divenne un’altra cifra stilistica della sua arte, al punto da permettergli di realizzare un capolavoro come la Camera degli Sposi, il più importante e impegnativo capolavoro d’illusionismo prospettico del Quattrocento in Italia.
Non sono molte le opere di Andrea Mantegna (a questo link puoi approfondire l’artista) che ci sono rimaste: alcune di esse si trovano ancora nei luoghi per i quali furono concepite, mentre altre sono conservate in musei di tutto il mondo. Sono diverse le città italiane dove si possono ammirare capolavori di Mantegna. In questo articolo proponiamo un tour attraverso undici città italiane, da nord a sud, dove sono conservate opere del grande artista veneto. Una sorta di Grand Tour mantegnesco per conoscere tutto ciò che di Mantegna si conserva in Italia. Da Padova a Napoli, da Mantova a Firenze, ecco le città dove vedere le opere di Andrea Mantegna!
Il viaggio comincia da Padova, per almeno due buoni motivi: primo, perché è la città dove Mantegna si formò (nella bottega di Francesco Squarcione), e secondo perché qui si trova la sua prima opera importante, la decorazione ad affresco della Cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani di Padova. Si pensi che all’epoca in cui gli fu affidato l’incarico, nel 1448, Mantegna era ancora minorenne, e fu il fratello maggiore Tommaso, in qualità di suo tutore, a firmare il contratto di allogagione degli affreschi: l’artista affrescò in due fasi le Storie di san Giacomo (impresa alla quale avrebbe poi partecipato anche Nicolò Pizzolo) e le Storie di san Cristoforo (queste ultime iniziate da Bono da Ferrara e Ansuino da Ferrara): spetta a Mantegna la realizzazione dell’intera parete nord (quella con le Storie di san Giacomo) mentre sulla parete sud sono suoi il Martirio di san Cristoforo e il Trasporto del corpo decapitato di san Cristoforo. Gli affreschi di Mantegna purtroppo sono stati gravemente devastati durante la seconda guerra mondiale, oggi si vedono i loro frammenti ma conosciamo molto bene come fossero prima della distruzione perché conserviamo ottime fotografie. Sempre a Padova, il Museo Antoniano conserva un Trigramma di Cristo tra due santi proveniente dalla lunetta del portale centrale della basilica del Santo a Padova, altra opera giovanile, risalente al 1452.
Poco dopo aver terminato il lavoro a Padova, Mantegna fu chiamato dall’abate di San Zeno a Verona, Gregorio Correr, che gli affidò la realizzazione di quella che sarebbe poi diventata una delle opere più importanti del Rinascimento, la Pala di San Zeno (leggi qui un approfondimento su questo capolavoro). Con la sua nuova concezione dello spazio e con la sua monumentalità che derivava dallo studio dell’arte antica, la pala di San Zeno, eseguita tra il 1457 e il 1459, dava di fatto il via al Rinascimento a Verona. L’opera si può ammirare ancora oggi nella basilica di San Zeno. Sempre nella città veneta, il Museo di Castelvecchio ospita un’opera matura, una Sacra famiglia databile al 1495-1505. L’opera fa parte dei dipinti che furono rubati il 20 novembre 2015 a Castelvecchio durante uno dei furti d’arte più clamorosi degli ultimi vent’anni, e fu ritrovata, assieme a tutti gli altri, l’anno seguente.
Mantova è forse la città mantegnesca per antonomasia poiché qui si trova la più celebre opera di Andrea Mantegna, la decorazione della Camera degli Sposi, che si trova all’interno del Castello di San Giorgio, oggi parte del percorso di visita di Palazzo Ducale (leggi qui un dettagliato approfondimento sulla Camera degli Sposi). Si tratta di un ciclo di affreschi eseguito tra il 1465 e il 1474 per quella che, a dispetto del nome, era in realtà una camera riservata alle udienze. Tutta la decorazione della stanza ridefinisce lo spazio architettonico reale estendendolo e facendo piombare il visitatore in un luogo che sembra essere molto più ampio rispetto a quello effettivo: illusionismo prospettico (basti vedere lo straordinario oculo), finti bassorilievi, stucchi ci trasportano in un luogo dove realtà e finzione hanno confini molto sottili. Sulla parete nord vediamo la raffigurazione della corte di Ludovico Gonzaga, che aveva cercato di chiamare Mantegna a Mantova fin dal 1456, riuscendoci poi negli anni Sessanta. Sulla parete ovest ecco invece l’incontro tra Ludovico e Francesco Gonzaga, mentre le altre due pareti sono ornate con ghirlande, stemmi e imprese dei Gonzaga. Il tour mantovano non finisce con Palazzo Ducale: nella basilica di Sant’Andrea si trova infatti la cappella del Mantegna, luogo della sua sepoltura: qui è possibile ammirare la Sacra famiglia e la famiglia del Battista e il Battesimo di Cristo, due tempere che ornano l’ambiente.
Benché Mantegna non abbia mai lavorato a Milano, in città si conservano molti suoi capolavori. Alla Pinacoteca di Brera è possibile ammirare il Polittico di San Luca, capolavoro giovanile (1453-1454) dipinto per l’abbazia di Santa Giustina a Padova, oltre che quello che è probabilmente l’opera mobile più nota di Mantegna, il Cristo morto (qui un approfondimento sull’opera). Sempre a Brera si trova la Madonna col Bambino e un coro di cherubini, del 1485 circa. Al Castello Sforzesco si trova un capolavoro della maturità, la Pala Trivulzio originariamente eseguita per la chiesa di Santa Maria in Organo a Verona, e infine il Museo Poldi Pezzoli conserva una Madonna col Bambino nota come la Madonna Poldi Pezzoli, recentemente restaurata (leggi qui un approfondimento, e un discusso Ritratto d’uomo d’incerta attribuzione.
Mantegna soggiornò almeno un paio di volte a Ferrara, dove lavorò per Leonello d’Este e per Borso d’Este. Della sua attività ferrarese non è rimasto alcunché in città (il poco che è sopravvissuto ha preso altre destinazioni), ma alla Pinacoteca Nazionale è possibile ammirare un Cristo con l’animula della Madonna, che appartiene alla pala della Morte della Vergine, oggi al Prado, e in origine dipinta per la cappella privata di Ludovico III Gonzaga nel Castello di San Giorgio a Mantova.
Firenze è un’altra delle città visitate da Mantegna, che vi si recò in soggiorno tra il 1466 e il 1467 (l’artista intratteneva rapporti con Lorenzo il Magnifico). Forse qui l’artista dipinse due dei suoi capolavori che oggi sono conservati agli Uffizi, ovvero il Trittico degli Uffizi, opera degli anni Sessanta che però non figura nei documenti fino al 1587, anno in cui è menzionata, smembrata, in una località presso Pistoia, nelle collezioni di don Antonio de’ Medici (non sappiamo dunque quando fu realizzata l’opera: forse, fu dipinta per i Medici stessi), e il Ritratto di Carlo de’ Medici, figlio naturale di Cosimo il Vecchio (anche per quest’opera non conosciamo le circostanze della realizzazione). Infine, gli Uffizi conservano una terza opera, la Madonna delle Cave, che già all’epoca di Vasari era nelle collezioni medicee.
L’artista veneto non fu mai a Napoli ma le vicende del collezionismo hanno portato al Museo Nazionale di Capodimonte due sue importanti opere: una tela giovanile, la Santa Eufemia, della quale però non si hanno notizie fino all’Ottocento (l’impostazione simile a quella degli affreschi della Cappella Ovetari la fa però ritenere opera del periodo), e il famoso Ritratto di Francesco Gonzaga, databile ai primi anni Sessanta, giunta in Campania con le collezioni dei Farnese, che ne detenevano la proprietà già nel Seicento.
Sono due anche le opere mantegnesche conservate a Venezia: la più antica è un San Giorgio, databile al 1460 circa, che si conserva alle Gallerie dell’Accademia, opera ancora di influsso squarcionesco, e quindi giovanile. L’altra, ben più famosa, è il San Sebastiano della Galleria Franchetti alla Ca d’Oro, dipinto attestato alla metà del Cinquecento nella casa di Pietro Bembo a Padova (il letterato Marcantonio Michiel riportò di averla vista lì). Nel 1810 gli eredi di Bembo la vendettero al chirurgo Antonio Scarpa, e gli eredi di quest’ultimo a loro volta nel 1893 la vendettero al barone Giorgio Franchetti: da allora il dipinto non si è più mosso dalla Ca d’Oro, donata al Comune di Venezia nel 1916 con tutta la sua raccolta (Giorgio Franchetti peraltro considerava il San Sebastiano come l’opera più preziosa della sua collezione, al punto da commissionare la costruzione di un’apposita cappella per ospitarla).
Due opere di Andrea Mantegna anche a Bergamo, entrambe conservate all’Accademia Carrara: la prima è una Madonna col Bambino degli anni Novanta del Quattrocento, mentre la seconda è la più recente acquisizione del catalogo di Mantegna. Si tratta della Resurrezione che è stata “scoperta” nel 2018: si pensava infatti che l’opera fosse della bottega o di un artista della cerchia, ma recenti studi hanno identificato un dettaglio del dipinto che lo pone come indiscutibile autografo, e in particolare come la parte alta della Discesa al limbo eseguita dall’artista nel 1492 e oggi conservata in collezione privata.
Anche Torino ha un’opera di Mantegna, una Madonna col Bambino e santi, del 1500, che si trova alla Galleria Sabauda, oggi parte dei Musei Reali. Il dipinto è gravemente danneggiato nella parte in alto a sinistra. Non sappiamo bene come questo dipinto sia arrivato in Piemonte, ma probabilmente si trova in zona dal Cinquecento, dal momento che all’epoca risale un dipinto che copia questa composizione.
Il viaggio si conclude alla Museo “Il Correggio” di Correggio, dove si trova un Cristo Redentore dipinto a olio su tela di lino (è il dipinto numero 1 dell’inventario del museo emiliano). L’opera viene pubblicata a fine Ottocento da Gustavo Frizzoni e si trova a Correggio dal 1917 (era proprietà della Congregazione della Carità, che poi la cedette al Comune di Correggio). La Congregazione la ricevette in eredità da una nobile locale, Caterina Contarelli: non si sa però come il Cristo sia giunto nella sua collezione, anche se si suppone che si doveva trovare nelle collezioni di famiglia fin dal Seicento, all’epoca in cui Giulio e Francesco Contarelli amministravano le finanze del piccolo principato di Correggio (non ci sono tuttavia prove al riguardo). A seguito di un dibattito critico, l’opera, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, è entrata stabilmente a far parte del catalogo delle opere autografe di Mantegna.