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Redazione
, scritto il 20/11/2020
Categorie: Viaggi
Il borgo di Coreglia Antelminelli, nella Media Valle del Serchio, è famoso per due cose: le statuine di gesso e l'emigrazione. E sono strettamente legate. Un viaggio nel borgo che ha portato nel mondo le “figurine” create dai suoi abitanti.
Uno studioso lucchese, Guglielmo Lera, profondo conoscitore della storia della sua terra, in un suo articolo notava, con certa dose d’ironia, che a Coreglia Antelminelli, borgo d’origini medievali posto su di un colle al centro della Media Valle del Serchio, abbiano inventato due cose: le figurine di gesso e l’emigrazione. E le figure e l’emigrazione sono strettamente correlate, perché gli abitanti di questo borgo e dei villaggi attorno da secoli vendono statuine di gesso, facendole arrivare in tutti gli angoli del mondo: una tradizione che va avanti almeno dal Seicento, quando a Roma una certa Prudenza Zanotti riceveva alcune stampe per figurine da tale Giovanni Simone Fontana, un giovane che veniva da Tereglio, oggi frazione di Coreglia. Lo si apprende da un documento del 24 febbraio del 1676: già all’epoca, dunque, gli artigiani delle figurine si spostavano per portare in giro per il mondo le loro statuine. E addirittura, in un’istanza rivolta dal Consiglio degli Uomini di Coreglia agli Eccellentissimi della Repubblica di Lucca, il 12 aprile 1774, si legge che “negli anni addietro per la migrazione soffertasi di molti comunitativi a causa della manifattura di gessi, ristrinto assai era il numero dei soggetti abili al governo”. E quindi i coreglini chiedevano alla Repubblica di rendere validi i loro provvedimenti anche con un consesso numericamente inferiore rispetto a quello previsto dagli statuti: un documento che dà l’idea di quanto fosse importante, già allora, il fenomeno dell’emigrazione da questa vallata.
Gli artigiani, del resto, dovevano esportare le loro creazioni per sopravvivere. In antico erano gli “stucchinari”, oppure i “figuristi”, mentre dal XIX secolo si diffuse, prima in campo giornalistico e letterario e poi anche al di fuori di questi ambiti, il termine “figurinai”. E c’è ragione di credere che, in antico, praticamente tutti gli abitanti di Coreglia fossero figurinai: si racconta che un tempo Coreglia fosse piena di figurine. Si potevano vedere ovunque, per il paese: davanti alle case, sulle terrazze, agli angoli delle strade, negli orti. I figurinai le lasciavano all’aperto per farle asciugare. E ancora oggi, specialmente sui davanzali delle finestre, se ne vede ancora qualcuna. Ma sono presenze sporadiche, che accolgono il viaggiatore tra i ripidi vicoli acciottolati che s’arrampicano su fino alla piazza del Comune, nel punto più alto del borgo, per poi aprirsi a sorpresa, dalla piazza, in un paio di stradine più ampie e ariose, su cui s’affacciano i palazzotti più eleganti del paese.
Non sappiamo né quando né perché a Coreglia sia nata questa tradizione. Forse perché, in fondo, procurarsi il materiale per creare le figurine di gesso non era poi così complicato, e perché la lavorazione era facile. Non sono sopravvissute figurine che precedono il Settecento, anche se dai documenti sappiamo che già nel secolo prima si producevano figurine. Oggi, le più antiche che ci sono rimaste sono due gatti settecenteschi, anneriti col fumo di candela, conservati al Museo della Figurina di Gesso e dell’Emigrazione, aperto nel 1975 nelle sale di Palazzo Vanni e intitolato proprio a quel Guglielmo Lera che tanto s’era adoperato per aprirlo, riunendo la storia dei figurinai in un istituto a loro dedicato. I gatti sono le figure più antiche perché il gatto è il soggetto più facile da affrontare col gesso (e perché a Coreglia c’è pieno di gatti: d’inverno, per le vie del borgo, s’incontrano più gatti che persone), ma da secoli la produzione affianca ai felini tanti altri motivi ben più vendibili. Le statuine del presepe, ad esempio: sono di gran lunga le più richieste. C’è poi la statuaria di gesso da edifici di culto, che pare vada ancora molto forte in Sudamerica. Ci sono anche le riproduzioni delle opere famose: nel museo di Coreglia s’incontrano il Laooconte, il San Giovannino di Desiderio da Settignano, il Mosè di Michelangelo, l’Amore e Psiche di Canova, la Ebe di Thorvaldsen. Una bizzarra storia della scultura, dalle origini a oggi, fatta con miniature di gesso.
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Per le vie di Coreglia Antelminelli. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Per le vie di Coreglia Antelminelli. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Palazzo Vanni, sede del Museo della Figurina di Gesso e dell’Emigrazione. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Una sala del Museo della Figurina di Gesso e dell’Emigrazione. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Una sala del Museo della Figurina di Gesso e dell’Emigrazione. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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La Ebe di Thorvaldsen in gesso. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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I due gatti in gesso anneriti col fumo di candela (1760). Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Ritratti del XIX secolo eseguiti con la tecnica della stampa persa. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Statuine da presepe in gesso al Museo della Figurina di Gesso e dell’Emigrazione. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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E poi ci sono tanti ritratti, altro soggetto che fece la fortuna dei figurinai, specialmente nell’Ottocento. Gli artigiani di Coreglia e dintorni partivano da queste montagne, raggiungevano a piedi la costa, e s’imbarcavano sui bastimenti che li avrebbero portati ovunque, soprattutto in America. Pochi bagagli, tanto coraggio e un gran carico di speranza. Si formavano piccole compagnie, ci si divideva le aree di mercato, si partiva con la cassetta, il materiale da esposizione, e si vendevano le statuine di gesso per le strade del Nuovo Mondo. I poveri figurinai che percorrevano a pieni le grandi città degli Stati Uniti colpirono anche l’immaginario di Giovanni Pascoli, che abitò da queste parti quando il fenomeno migratorio era all’apice, e che parla di loro nel suo poemetto Italy. “Buy images... per Troy, Memphis, Atlanta / con una voce che te stesso accora: / cheap! Nella notte, solo, in mezzo a tanta / gente: cheap, cheap! Tra un urlerìo che opprime; / cheap! Finalmente un altro odi, che canta... ”.
Oggi a Coreglia c’è una statua che omaggia i figurinai. Si trova nello slargo che si apre a fianco dell’austera chiesa di San Michele, dedicata al patrono del paese, un grande edificio in pietra dell’undicesimo secolo, rinnovato all’interno tra Settecento e Novecento. All’interno, una grande statua di san Michele in marmo, cinquecentesca, un crocifisso ligneo del Quattrocento e due splendide sculture gotiche, anch’esse in marmo, che raffigurano l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata, datate dal 1351 dallo studioso Marco Paoli. La chiesa sta su una delle due piazze del paese: l’altra è la piazza del comune, su cui sorge l’elegante facciata cinquecentesca del Palazzo Comunale. Non è raro trovare, in questo borgo di montagna, alcuni palazzotti di buon gusto: è vero che i figurinai partivano poveri, ma qualcuno riusciva a far fortuna sull’altra sponda dell’oceano o al di là dalle Alpi. Nel museo del paese sono raccolti diversi articoli che raccontano queste storie, e una di queste è quella dello stesso Carlo Vanni, il proprietario del palazzo che accoglie l’istituto. Anche lui era un povero figurinaio di umili origini, partito per l’Impero austro-ungarico: le sue statuine ebbero successo, eseguì alcuni lavori per la famiglia imperiale, e ricevette anche il titolo di barone. E quando tornò a Coreglia, da uomo di buon cuore quale era, non tenne il suo successo per sé, ma lo volle condividere: con i suoi guadagni acquistò il palazzo, lo fece ristrutturare, e al piano nobile allestì la sua residenza, ma al pianterreno aprì un asilo e una scuola di disegno, rimasta attiva fino agli anni Cinquanta. I giovani del paese venivano qui per imparare l’arte del creare statuine. E generazioni di figurinai si son formate grazie alla generosità del “barone Vanni”.
È una delle tante storie che si celano dietro le statuine di questo borgo di pietra e di gesso, l’antico feudo degli Antelminelli che prosperò grazie ai suoi figurinai, capaci d’affrontare viaggi che potevano durare anche tre anni: mesi e mesi lontani da casa per riempire il mondo con le statuine della valle del Serchio. Oggi c’è rimasta soltanto una ditta che ancora fabbrica le statuine: i nuovi materiali come la plastica e la produzione industriale hanno cancellato quasi del tutto la produzione. Ma la Etruria Statue, da più di vent’anni, continua con passione a portare avanti la storica eredità di Coreglia, esportando statuine di gesso in venti paesi. E all’estero il nome di Coreglia è forse più conosciuto che in Italia. Ogni estate, arrivano qui schiere di turisti da ogni dove: tanti sono alla ricerca delle loro origini, perché capitava spesso che i figurinai non tornassero e si stabilissero in America, in Belgio, in Austria, in Giappone, ovunque. Arrivano a schiere, e girano per le vie del borgo, scrutano le statuine del Museo della Figurina, s’intrattengono con gli abitanti di Coreglia sperando di trovare il nome di quel nonno italiano che, con la cassetta di statuine al collo, urlava “cheap!” per le strade di Memphis e di Atlanta.
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Il monumento al figurinaio. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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La chiesa di San Michele. Ph. Credit BeWeB
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Il campanile di San Michele. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Interno della chiesa. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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La statua in marmo di san Michele del XVI secolo. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Il crocifisso ligneo del XV secolo. Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Angelo annunciante (1351). Ph. Credit Finestre sull’Arte
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Il Palazzo Comunale. Ph. Credit Comune di Coreglia Antelminelli
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Articolo scritto dalla redazione di Finestre sull’Arte per la campagna “Toscana da scoprire” di UnicoopFirenze
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