Anno 1524: uno dei più grandi artisti del tempo, Giulio Romano (Giulio Pippi de’ Iannuzzi; Roma, 1499 circa - Mantova, 1546) arriva a Mantova, chiamato dal marchese della città, Federico II Gonzaga. È l’inizio di un rapporto indissolubile, tanto che il grande artista romano, allievo di Raffaello, uno dei protagonisti del Cinquecento (indagato di recente con due importanti mostre tenutesi nel 2019, una a Palazzo Ducale e l’altra a Palazzo Te), trascorse nella città gonzaghesca il resto della sua carriera, e a Mantova scomparve nel 1546. Il suo nome è dunque profondamente legato a quello della città lombarda, e nominare l’arte di Mantova equivale quasi a nominare quella di Giulio Romano o viceversa. Vediamo dunque un percorso attraverso cinque luoghi della città e degli immediati dintorni, da visitare magari nel fine settimana, nei quali è possibile vedere le opere di Giulio Romano (per chi vuole approfondire suggeriamo anche il recente libro di Stefano L’Occaso dedicato proprio a Giulio Romano).
1. Palazzo Te
La grande residenza di Federico II Gonzaga ai margini del centro storico, inserita nel contesto di un parco che oggi è uno dei più frequentati dai mantovani, è il motivo per cui Giulio Romano fu chiamato a Mantova: l’artista non era infatti soltanto pittore, ma anche architetto, e si deve a lui la progettazione del sontuoso edificio. Ma non solo: Giulio Romano infatti si occupò anche di gran parte degli affreschi. La Camera dei Giganti è uno degli ambienti più noti della storia dell’arte: l’illusionismo delle pitture, che non conoscono soluzione di continuità (è un’unica, grande scena che occupa tutte le pareti e l’intero soffitto), muove a stupore chiunque percorra l’ambiente. E ancora: la Camera di Psiche è decorata con uno dei cicli di affreschi più importanti del Cinquecento, e non da meno sono gli altri locali dell’affascinante edificio, opere di Giulio e della sua bottega. Dalla Loggia delle Muse alla Sala dei Cavalli (l’unico ambiente del Palazzo a potersi fregiare del titolo di, appunto, “sala”), dalla Camera degli Imperatori a quella degli Stucchi per arrivare al luogo di ritiro del marchese, l’Appartamento Segreto: un viaggio unico nell’arte del Cinquecento in un edificio simbolo del XVI secolo.
Veduta di Palazzo Te |
Palazzo Te, la Camera dei Giganti |
2. La basilica di Sant’Andrea
Giulio Romano è presente anche nella chiesa più famosa della città, la basilica di Sant’Andrea, il capolavoro di Leon Battista Alberti. Si deve a Giulio Romano l’avvio della decorazione della cappella Boschetti (nota anche come “cappella di san Longino” dal nome del santo cui è dedicata), terminata, con tutta probabilità, nel 1536: l’artista vi eseguì di sua mano due pale, un’Adorazione dei pastori con i santi Giovanni Evangelista e Longino che oggi è al Louvre (nella cappella oggi è possibile vedere una sua copia), e una Crocifissione, rimasta invece in situ, dove il Cristo è attorniato di nubi dal sapore düreriano, e che precedono alcuni dei lavori che Giulio avrebbe eseguito a Palazzo Ducale.
3. Palazzo Ducale
Nel grande centro del potere del marchesato dei Gonzaga, Giulio Romano lavorò sia come architetto sia come pittore. In qualità di architetto si devono a lui la Corte Nuova (realizzata a partire dal 1536), la Galleria dei Mesi, immaginata come una sorta di grande antiquarium, anche se probabilmente in gran parte ricostruita (1538) e il cosiddetto Appartamento della Rustica (dal 1539), oltre alla risistemazione di alcuni importanti ambienti come la Camera dei Cavalli (1536), la Camera delle Teste (1536) e la meravigliosa Sala di Troia (1538). Per conoscere il Giulio Romano artista è impossibile perdersi proprio la Sala di Troia: si devono infatti a Giulio Romano le decorazioni di quella che è forse la più magnifica sala del nucleo cinquecentesco del Palazzo. Così come non ci si perderà la Caduta di Icaro nella Camera dei Cavalli, una delle invenzioni più potenti dell’arte giuliesca (conserviamo il disegno), tradotta in termini però meno felici in pittura da Anselmo Guazzi, l’autore dell’opera finita.
Palazzo Ducale, la Sala di Troia |
Palazzo Ducale, la Galleria dei Mesi |
4. Il Duomo
Nel 1545 Giulio Romano fu chiamato a ristrutturare il Duomo di Mantova dal cardinale Ercole Gonzaga, dopo che un incendio richiese importanti lavori di recupero. L’artista mantenne intatto l’esterno ma lavorò alacremente all’interno della principale chiesa cittadina: portò le navate da tre a cinque rifacendosi a un modello classico, quello della Basilica di Costantino, ovvero lo stesso in cui all’epoca si presentava la Basilica di San Pietro a Roma, che fornì l’ispirazione all’artista (non solo in termini artistici: probabilmente il committente, facendo ristrutturare l’edificio prendendo come riferimento la basilica papale, intendeva sottolineare le sue ambizioni). Ne sortì un edificio dall’arioso stile classico. Giulio Romano non fece però in tempo a vedere le pale d’altare, realizzate soltanto dopo la sua scomparsa, negli anni Cinquanta del Cinquecento: si devono soprattutto a pittori veronesi (come Paolo Farinati, Domenico Brusasorci, Paolo Caliari) ma anche a pittori della sua scuola come Fermo Ghisoni, Ippolito Costa e forse Giovanni Battista Bertani. Merita una menzione a parte l’opera di Fermo Ghisoni, la Vocazione dei santi Andrea e Pietro: oggi non abbiamo più l’originale e la conosciamo solo dalla copia ottocentesca di Felice Campi, ma sappiamo che il progetto iniziale, risalente al 1541, si deve a Giulio Romano, che poi affidò il cartone proprio a Fermo Ghisoni.
L’interno del Duomo di Mantova. Ph. Credit Luca Pietrobono |
5. Il Monastero di Polirone a San Benedetto Po
Tra i più importanti interventi compiuti da Giulio Romano nelle immediate vicinanze di Mantova, si annovera la ristrutturazione del complesso polironiano di San Benedetto Po, il grande monastero che nei primi decenni del Cinquecento si presentava ancora nelle sue forme tardogotiche (oggi intuibili in alcuni punti): nel 1540, l’abate Gregorio Cortese, fine umanista, chiamò Giulio Romano a compiere un’importante opera di risistemazione dell’intero monastero, che oggi vediamo nelle forme conferitegli dal grande artista e architetto, che comunque si pose il problema di dialogare con l’arte antica, assimilando e mediando il più possibile, ma non senza mancare di donare alla chiesa abbaziale la sua impronta classicista. Si devono al suo estro anche le decorazioni, affidate alle mani dei suoi collaboratori, e desunte dal suo tipico repertorio: gli ornamenti di forma geometrica (basate su quadrato ed esagono), per esempio, richiamano quelli della Camera dei Venti a Palazzo Te, mentre i cassettoni della splendida sagrestia richiamano da vicino quelli della loggia delle Muse a Palazzo Te. Per approfondire vedi anche l’articolo di Giuseppe Adani dedicato al monastero di Polirone.
L’interno della chiesa abbaziale del monastero di Polirone |
La sagrestia del monastero di Polirone |