Un borgo di mille abitanti adagiato tra i monti dell’Appennino molisano, una chiesa medievale finita di costruire agli inizi del Duecento, uno strano graffito che non ha altri eguali in Italia. È un labirinto del tutto particolare quello che si trova inciso sulla prima colonna a sinistra nell’antica chiesa di San Giorgio a Petrella Tifernina, in provincia di Campobasso. Un graffito che è passato inosservato per molto tempo, ovvero fino a quando, nel 2015, il giovane archeologo Mario Ziccardi non si è reso conto che quei segni consumati dal tempo nascondevano una struttura ben definita. Un labirinto, dunque: una delle tante particolarità che si possono trovare in una delle chiese più singolari della regione (inusuale a partire dalle sue forme, con la pianta a parallelogramma, scelta probabilmente in quanto la chiesa fu costruita vicino a edifici preesistenti, col presbiterio rialzato, le arcate delle navate laterali sfalsate, le tante bizzarre figure che ornano i suoi capitelli e che sono tratte sia dal repertorio cristiano che da quello pagano).
La chiesa di San Giorgio è il principale edificio di culto del borgo, è dedicata al suo santo patrono e la sua costruzione cominciò nel XII secolo, ma al suo interno sono presenti elementi di epoche precedenti, ragion per cui è ipotizzabile che molti elementi che facevano parte della chiesa bizantina sopra alla quale sorse l’attuale chiesa romanica siano stati reimpiegati nella nuova costruzione. Non abbiamo invece idea di quando sia stato tracciato il graffito con il labirinto: non è detto che non si tratti di un motivo eseguito molto dopo la fine della costruzione dell’edificio, così come non si può essere certi che l’esecuzione del labirinto sia stata contestuale al termine dei lavori. Impossibile datarlo con certezza, secondo Ziccardi.
Si trova a una quota di circa un metro e mezzo da terra, misura circa 44 centimetri in larghezza e 35 in altezza, ed è un labirinto del tipo “caerdroia”: s’intende con questo termine un labirinto tipico del Galles, dove ne sono stati trovati diversi esemplari. La parola si compone dei termini gallesi “caer”, ovvero “muro” oppure “fortezza”, e “Droia”, la traduzione in gallese della città di Troia: probabilmente si riteneva che le mura dell’antica città fossero così intricate da ricordare un labirinto (anche in altre lingue esistono espressioni simili per indicare labirinti, specialmente fatti di erba: in inglese Troy Town o Walls of Troy, in svedese Trojaborg). È un labirinto unicursale, ovvero è costituito da un unico percorso lineare che conduce al centro del dedalo, senza vicoli ciechi e senza possibilità di perdersi: la strada da seguire è una sola. Lo schema segue quello del labirinto classico, fatta eccezione per la base che invece di essere curva come nei labirinti classici è dritta, con la conseguenza che i meandri, nella parte inferiore dello schema, creano angoli retti invece che curve. Le origini di questo labirinto, che veniva tracciato sui prati del Galles dai pastori della zona, probabilmente come terreno di danze rituali, si perdono nella notte dei tempi.
“Se prendiamo per sicura la realizzazione dopo l’edificazione della chiesa”, spiega Ziccardi, “molto probabilmente il graffito fu realizzato se non con l’accordo almeno con una certa accondiscendenza da parte dell’autorità ecclesiastica coeva, l’impianto è coerente con il blocco litico su cui è stata realizzata ponendo in essere un progetto studiato e voluto: non è, in sintesi, un disegno incerto e frettoloso”. E poiché non è stato realizzato in una zona nascosta della chiesa, secondo Ziccardi nessuno sarebbe stato turbato dalla vista di questo simbolo.
Già, ma cosa ci fa un caerdroia in una chiesa di un borgo del Molise? Anche perché andrà ricordato che si tratta dell’unico esemplare noto di caerdroia non solo in Italia, ma in tutta l’area del Mediterraneo. Quella di San Giorgio, va detto, non è l’unica chiesa dove è possibile trovare un labirinto tracciato sopra una parete: uno dei dedali più famosi d’Italia è il labirinto sulla facciata del Duomo di Lucca, ma se ne possono trovare tantissimi altri nelle chiese romaniche e gotiche d’Italia. Il labirinto aveva una funzione allegorica: rappresentava il cammino del cristiano verso la conoscenza di Dio. Un cammino lungo, lento, tortuoso, irto di ostacoli, ma che non ammetteva errori e si concludeva proprio con l’arrivo alla divinità. Inoltre, spesso il labirinto diventava allegoria del pellegrinaggio, tanto che è frequente trovare rappresentazioni di labirinti nelle chiese e dei santuari situati lungo le antiche vie di pellegrinaggio. Ma perché, a Petrella Tifernina, il labirinto assume proprio l’aspetto di un caerdroia, caso unico alle nostre latitudini? Non possiamo saperlo: l’ipotesi più plausibile è che la persona che lo ha inciso sulla colonna della chiesa di San Giorgio (forse un operaio che faceva parte delle maestranze che costruirono l’edificio?) provenisse dal Galles e conoscesse molto bene le forme dei labirinti della sua terra. Di più, purtroppo, non è dato sapere.
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