“La semplicità, la povertà e l’amore di Dio e degli uomini sono per san Francesco d’Assisi dimora, involucro protettivo e salvifico, risultato di un percorso di vera fede volto a imitare Cristo in ogni suo aspetto, perfino nel dolore”: così gli organizzatori della mostra inTORNO a Francesco (Assisi, Sala ex Pinacoteca, dal 14 novembre 2021 al 6 gennaio 2022, a cura di Giulio Proietti Bocchini e Stefano Brufani) sintetizzano il significato dell’esposizione, prima tappa fuori dalla Toscana del progetto Uffizi diffusi. Una mostra con protagonista una delle più importanti opere del Duecento, la tavola con le Stimmate di san Francesco del Maestro della Croce 434 degli Uffizi (qui un approfondimento sull’iconografia).
San Francesco sperimentò il messaggio di Cristo fin dall’esperienza di San Damiano, quando, secondo le agiografie, il crocifisso gli ordinò di riparare la sua casa di Gesù che andava in rovina: un messaggio che si manifestò anche nel corpo con l’impressione dell’“ultimo sigillo”, ovvero le stimmate. La mostra si è sviluppata proprio attorno al tema dell’unione tra san Francesco e il Salvatore, con un percorso volto a indagare iconograficamente e stilisticamente l’evoluzione delle rappresentazioni figurative francescane attraverso una selezione di opere d’arte presenti sul territorio. È dunque possibile conoscere san Francesco attraverso le opere d’arte sul territorio? Di seguito un itinerario con la selezione proposta dai curatori Proietti Bocchini e Brufani, valido per scoprire Assisi, i suoi tesori artistici, oltre che la vita e le opere di san Francesco: la selezione infatti vuole essere anche uno “strumento di riflessione sui valori che Francesco con la sua vita ha trasmesso ai posteri”.
Il Crocifisso conservato presso la basilica di Santa Chiara è, secondo la leggenda, la croce che apostrofò san Francesco nella chiesa di San Damiano. L’esemplare ligneo presenta l’iconografia romanica del Christus triumphans, con l’Ascensione nella cimasa, i dolenti nei tabelloni laterali e busti di santi nel suppedaneo. Opera di un anonimo maestro della metà del XII secolo, la tavola celebra il trionfo di Cristo sulla morte, come mostrano gli occhi aperti e il viso indolente del Salvatore, unitamente alla decorazione della cimasa ove Egli è riprodotto mentre ascende al cielo verso la mano tesa del Padre pronto ad accoglierlo. Intorno, alcuni angeli impugnano una croce quasi scettro regale e stendardo di vittoria, mentre in basso campeggia la frase: IHS NAZARE REX IUDEORU (Gesù nazareno re dei Giudei).
La stupenda tavola del Museo del Tesoro della Basilica francescana è un capolavoro della pittura del Duecento, un’opera che ha una ricchezza di invenzioni e una qualità pittorica tanto elevate da avergli consentito in passato un’attribuzione a Giunta Pisano, assegnazione oggi esclusa in favore di un anonimo identificato convenzionalmente come il “Maestro del Tesoro di San Francesco”, probabilmente suo seguace. Caratterizzata da uno stile bizantineggiante, l’opera possiede dei tratti nuovi che mettono in luce il grande talento dell’artista, quali l’attenzione agli sfondi architettonici con quinte ispirate alla realtà dei luoghi assisiati, e la resa espressiva dei personaggi, compreso Francesco, raffigurato sottile ed emaciato, con addosso tutti i segni della povertà.
La tavola realizzata con tempera, oro e vetri colorati è considerata la più antica immagine di san Francesco custodita presso la Porziuncola. Al centro vi è il Santo vestito con il saio dell’umiltà, in piedi mentre regge con la mano destra il Crocifisso e con la sinistra il libro aperto; evidenti sono i segni del miracolo delle stimmate, compresa la ferita al costato che sanguinante emerge dalla veste strappata in un lato. Il dipinto, datato intorno al 1255, secondo la tradizione sarebbe stato ricavato dalla tavola di legno che Francesco usava come giaciglio e sopra il quale egli fu posto dopo la morte.
Dietro l’altare maggiore della basilica di Santa Chiara si trova quella che senza dubbio rappresenta l’opera più prestigiosa e antica della basilica: il Crocifisso del Maestro di Santa Chiara. Si tratta di una grande croce su modello del Christus patiens, commissionata prima del 1260 dalla badessa Benedetta, ritratta nel suppedaneo a sinistra. La testa reclinata e il corpo inarcato di Gesù mostrano tutto il peso della morte, teneramente contemplata dal poverello d’Assisi dipinto in ginocchio su una roccia, mentre stringe con ferma devozione uno dei piedi di Cristo.
Il dipinto, frammento della scena con San Francesco che riceve le stimmate, fa parte dei resti del ciclo pittorico dipinto lungo la navata della basilica inferiore di San Francesco, parzialmente distrutta pochi decenni dopo il suo compimento per l’apertura degli arconi di accesso alle cappelle. Si tratta della più antica decorazione della chiesa, eseguita intorno al 1260 dal cosiddetto Maestro di San Francesco e raffigurante da un lato storie della Vita di Cristo e dall’altro storie della Vita di San Francesco. Ciò che rimane della raffigurazione è il Cristo serafino senza ancora l’attributo della croce mentre vibra in cielo sopra la roccia costellata di piante ed elementi vegetali della Verna.
La basilica superiore di San Francesco conserva una straordinaria raccolta di vetrate medievali, la più completa in Italia nonostante gli estesi rifacimenti. Le più antiche sono quelle dell’abside, forse precedenti la consacrazione della basilica (1253) attribuite a maestranze tedesche, seguite dalle luci della quadrifora del transetto sinistro, forse opera di artisti francesi di cultura già gotica, e dai vetri della navata. La vetrata dalla quale proviene il dettaglio con le stimmate è quella con Storie della vita di san Francesco collocata nella prima finestra della parete destra della navata, attribuita al Maestro di San Francesco e realizzata con ogni probabilità dopo il 1263, dato il linguaggio figurativo dipendente dalla Legenda Maior di San Bonaventura da Bagnoregio.
L’affresco (1285-1288) si trova nel transetto destro della basilica inferiore di San Francesco ed è considerato uno dei più grandi capolavori di Cimabue. Al centro vi è la Vergine col Bambino in Maestà, circondata da angeli e affiancata da una delle più antiche rappresentazioni dal poverello d’Assisi, qui testimone e tramite per i fedeli della sacra rappresentazione. San Francesco è scalzo, indossa il saio e reca con sé un libro, simbolo della regola francescana. Ha un aspetto giovanile con folta barba e chierica; lo sguardo è fisso verso il fedele al quale mostra con evidenza i segni delle stimmate. Nella caratterizzazione del santo, così sobrio e remissivo, sta la grande novità introdotta da Cimabue che pone le basi per la rivoluzione figurativa dei maestri di fine secolo in netta rottura con lo stile bizantineggiante fino ad allora in voga.
San Francesco riceve le stimmate sulla Verna è la diciannovesima delle ventotto storie della vita di san Francesco dipinte lungo la navata della basilica superiore di San Francesco, attribuite a Giotto e ispirate alla Legenda Maior di San Bonaventura da Bagnoregio. Si tratta dell’ultima scena della vita terrena del santo, nella quale egli è dipinto come fosse un eroe antico, statuariamente immobile, in mezzo all’architettura della natura, in attesa di ricevere le sacre stimmate dal Cristo serafino. L’affresco presenta tutti gli elementi caratteristici della pittura del maestro quali l’utilizzo del chiaroscuro, della prospettiva e di una solida struttura compositiva. Il risultato è estremamente equilibrato e naturale con Francesco non più raffigurato come un asceta solitario, ma come uomo tra gli uomini.
Quello del pittore senese è un affresco appartenente al ciclo di storie sulla Passione di Cristo realizzate nel braccio sinistro del transetto della basilica inferiore di San Francesco tra il 1315 e il 1320. Attingendo dalla Legenda Maior di San Bonaventura da Bagnoregio, Pietro Lorenzetti raffigura Cristo serafino attaccato alla croce che imprime le stimmate nel corpo del poverello per mezzo di raffi uscenti dalle sue ferite. Francesco, inginocchiato sul promontorio roccioso della Verna si inarca all’indietro, quasi travolto dalla fortezza di quel prodigio. La scena è stata intenzionalmente collocata dall’artista subito dopo la sequenza di immagini cristologiche allo scopo di instaurare un parallelo tra la vita del Salvatore e quella del suo devotissimo seguace, che per primo riuscì a conformarsi totalmente in lui, ricevendo le stimmate e divenendo alter Christus.
Oggi conservato presso il Museo Diocesano e Cripta di San Rufino di Assisi, questo stendardo proviene dalla Confraternita di San Francesco o delle Stimmate e venne realizzato nel 1378 da un anonimo seguace di Pace di Bartolo, convenzionalmente chiamato Maestro di San Leonardo. Da un lato è raffigurato San Francesco in trono tra angeli musicanti, adorato da disciplinati con al centro un cadavere, mentre dall’altro si trova raffigurata in alto una Crocifissione e in basso una scena con stimmate di san Francesco, a sinistra, e san Leonardo, a destra.
Originariamente collocato nella cappella fatta erigere nei pressi della Porziuncola da Braccio Baglioni, signore di Perugia, il dossale in terracotta invetriata di Andrea della Robbia venne realizzato intorno al 1475. In seguito alla costruzione della basilica e alla conseguente demolizione della cappella Baglioni, l’opera venne posta sull’altare dedicato a San Giuseppe nel transetto sinistro (dopo il 1652) dove rimase fino al 1969 quando, in seguito al ritrovamento dei resti di fondazioni di fabbriche medievali sotto il presbiterio della basilica, fu costruita la cripta. La pala venne definitivamente trasferita nel Museo della Porziuncola nel 1999. L’opera è costituita da tre immagini principali inquadrate da un architrave sorretto da eleganti lesene. Nel riquadro al centro è raffigurata l’Incoronazione della Vergine, in quello a destra l’episodio di San Francesco che riceve le Stimmate alla Verna, mentre in quello di sinistra è san Girolamo penitente.
Nella parte inferiore è presente una predella, anch’essa tripartita, raffigurante l’Annunciazione, la Natività e l’Adorazione dei Magi.Dipinto su commissione dei Priori cittadini, l’affresco raffigurante le Stimmate di San Francesco venne realizzato da Eusebio da San Giorgio nel 1507 come ornamento del chiostro del santuario di San Damiano, insieme a un’altra sua pittura con l’Annunciazione. L’opera mostra le buone capacità dell’artista di assimilare lo stile dei maggiori maestri che fiorirono in Perugia, dal punto di vista sia del disegno che del colore.
Confluita nelle collezioni della Pinacoteca a seguito delle demaniazioni del 1860, l’olio su tela realizzato da Dono Doni rappresenta il miracolo delle stimmate e proviene dalla cappella del Palazzo Comunale. L’opera è connotata da un linguaggio in cui convivono elementi della cultura toscana e romana del primo Cinquecento, organizzati secondo uno schema arcaizzante e tradizionalista. È probabile che l’artista abbia volutamente adottato questo stile per porsi ai margini della problematica del proprio tempo, evitando ogni eccesso decorativo e profaneggiante, anticipando così la pittura della Controriforma.
Il dipinto è collocato all’interno della cappella delle Stimmate nella basilica di Santa Maria degli Angeli e fa parte di una serie di pitture realizzate da Giacomo Giorgetti assieme a Cesare Sermei negli anni Trenta del XVII secolo. All’interno di un sapiente gioco di prospettive e scorci è raffigurato san Francesco, sulla nuda roccia con le braccia aperte, mentre ricevere le sacre stimmate per intercessione di un serafino. In basso, nella penombra accanto a frate Leone si scorgono un libro e un teschio, mentre dall’altra parte un gruppo di uomini reagisce con sgomento all’evento. Nelle fisionomie dei personaggi, nei volumi dei panneggi e nell’enfasi compositiva si coglie un evidente influsso dei modelli lanfranchiani, unitamente a quelli di Antonio Circignani, detto il Pomarancio, la cui presenza ad Assisi fu ricca di conseguenze non solo per Cesare Sermei, ma anche per gli artisti più giovani quali lo stesso Giorgetti e Girolamo Martelli.
Sulla facciata della Porziuncola, l’antica cappella legata alla memoria di san Francesco d’Assisi, oggi racchiusa nella grande basilica di Santa Maria degli Angeli, si trova un affresco ottocentesco del pittore nazareno Friedrich Overbeck raffigurante l’istituzione del Perdono di Assisi. Il dipinto sostituisce un affresco di Girolamo Martelli sovrapposto a un precedente di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, citato da Vasari nelle sue Vite. L’artista, tramite il recupero di modelli rinascimentali umbri, ha riproposto la tradizionale iconografia del Perdono di Assisi con san Francesco in ginocchio rivolto verso la Vergine e Cristo, seduti sopra una nuvola e circondati da angeli.
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER