Ultima tappa del nostro viaggio alla scoperta di animali e creature fantastiche nei musei italiani. Con la ventesima tappa si arriva tra le montagne della Valle d’Aosta per vedere quali creature si celano da queste parti. Il progetto è condotto da Finestre sull’Arte in collaborazione con il Ministero della Cultura con l’obiettivo di offrire un punto di vista diverso sui nostri musei, luoghi sicuri e adatti a tutti. Buon viaggio e grazie per averci seguiti fino a qui!
Nella cappella del Castello Sarriod de la Tour, edificio medievale che si trova a Saint-Pierre, immerso tra i vigneti di fianco alla Dora Baltea, è possibile ammirare una sirena bicaudata (ovvero con la doppia coda) risalente alla metà del Duecento. Nelle chiese e nelle cappelle medievali, soprattutto nel nord Italia, non era raro trovare figure come questa: le sirene raffigurate in questo modo, con la metà superiore del corpo da donna e la metà da pesce, si diffusero dopo il IX secolo (secondo la mitologia greca, invece, le sirene erano metà donne e metà uccello), e tipicamente erano simbolo di lussuria, uno dei vizi capitali, anche se non conosciamo con sicurezza il loro significato allegorico.
Ben 171 mensole intagliate nel soffitto, risalenti al 1432 circa: sono quelle che compongono la singolare decorazione della Sala delle Teste del Castello Sarriod de la Tour. Questa decorazione fu commissionata dal proprietario del castello all’epoca, il nobile Giovanni Sarriod de la Tour, che evidentemente amava le raffigurazioni grottesche, perché accanto a una serie di ritratti (vi si trovano dame vestite secondo la moda del tempo, gentiluomini, cavalieri), in questa sala è possibile trovare anche personaggi in pose oscene ma anche animali e mostri di ogni tipo: ecco dunque un grifone, una sirena, un unicorno, il volto di un satiro, un personaggio con tre teste, diavoli di tutte le forme e creature fantastiche uscite dalla fantasia dell’anonimo intagliatore che realizzò quest’opera.
La collegiata dei Santi Pietro e Orso di Aosta, nota anche semplicemente come chiesa di Sant’Orso, è una delle più importanti chiese medievali della Val d’Aosta, e conserva due rilevanti cicli di affreschi: uno di epoca ottoniana, della metà dell’XI secolo, realizzati da artisti di formazione lombarda, e uno invece di fine Quattrocento, che decora la cappella di san Sebastiano, alla fine della navata destra. La lunetta dell’altare è decorata con un affresco raffigurante la Madonna col Bambino e i santi Michele e Antonio abate, da un artista di cui non conosciamo l’identità. San Michele, il comandante delle schiere angeliche, è ritratto come da tipica iconografia con la sua armatura e la spada, mentre tiene ai suoi piedi il diavolo, sconfitto. L’avversario di san Michele è raffigurato come un essere strano e buffo dal corpo peloso, con corna e zampe da uccello, seduto a terra e tenuto a bada dal santo con la sua spada.
Il castello di Fenis è sicuramente il più famoso tra i manieri che si trovano in tutta la Valle d’Aosta, una fama che deriva non soltanto dal suo aspetto molto riconoscibile (risale ai lavori del periodo compreso tra il 1320 e il 1420 circa), ma anche dalla presenza di interessanti affreschi, come quelli che furono commissionati dal nobile valdostano Bonifacio I di Challant, a cui si deve il completamento del castello. La scena forse più famosa degli affreschi è quella che si trova al centro del cortile del castello e che raffigura san Giorgio mentre salva la principessa dal drago. L’opera è stata realizzata attorno al 1415 ed è attribuita alla bottega di Giacomo Jacquerio, uno dei più importanti pittori piemontesi del tempo. Sull’affresco si trova anche il monogramma del committente, con le lettere BMS, ovvero “Bonifacium Marexallus Sabaudiae” (Bonifacio maresciallo di Savoia). L’affresco, in stile gotico internazionale, incarna perfettamente gli ideali cavallereschi diffusi tra il Piemonte e la Val d’Aosta al tempo: san Giorgio dunque non è soltanto un eroe cristiano, ma è un cavaliere senza macchia (qui raffigurato peraltro con l’abbigliamento del tempo, nonostante l’anacronismo: secondo l’agiografia, infatti, san Giorgio sarebbe vissuto nel III secolo) che con coraggio e ardimento affronta un nemico temibile salvando la vita alla principessa.
Nel villaggio di Marseiller, sopra un promontorio roccioso nei pressi dell’abitato, si trova una splendida cappella affrescata, fatta erigere nella prima metà del Quattrocento dal notaio Giovanni Saluard, castellano di Cly, e consacrata il 4 maggio del 1441. La cappella venne interamente affrescata da Giacomino d’Ivrea, chiamato dallo stesso Saluard: il ciclo, di facile lettura, presenta al fedele alcuni tempi tipici della religione cristiana, come l’Adorazione dei Magi, la Strage degli innocenti, la fuga in Egitto, il Giudizio universale. Tra gli affreschi si può vedere anche una scena con san Michele che pesa le anime: di fianco a quelle destinate all’inferno si vedono già un paio di diavoli, raffigurati come mostruosi esseri simili a rettili, che attendono le anime già incatenate.
L’Ercole con il leone di Giuda di Arturo Martini (Treviso, 1889 - Milano, 1947), risalente al 1936, è una delle opere-simbolo del Castello Gamba di Aosta. In quest’opera si scontrano due tradizioni: quella della mitologia greco-romana, da cui deriva la figura di Ercole, il semidio che s’imbarcò nell’impresa delle dodici fatiche, e quella ebraico-cristiana. Il leone di Giuda è infatti l’animale simbolo della tribù ebraica di Giuda, che allude alla forza e alla vittoria, oltre che alla tradizione secondo cui Giacobbe, padre di Giuda che diede iniziò all’omonima tribù, benedì il figlio chiamandolo “cucciolo di leone”. L’espressione “leone di Giuda”, nel cristianesimo, è passata anche a indicare Gesù, essendo egli discendente da Giuda. L’opera di Arturo Martini è una grande statua, alta circa 2,60 metri, che raffigura Ercole in piedi, poggiato su due zampe di leone, che rappresentano l’unico riferimento al leone di Giuda. In epoca ancora più recente, il leone di Giuda è diventato simbolo dell’Etiopia: i re del paese africano ritenevano infatti di discendere da re Salomone, a sua volta membro della tribù di Giuda. L’opera fonde dunque queste tradizioni per un fatto puramente politico: nel 1935, anno prima della realizzazione dell’opera, l’Italia fascista aveva vinto la guerra contro l’Etiopia e l’imperioso Ercole di Arturo Martini diventava dunque simbolo dell’Italia che soggiogava il leone etiope.
Negli anni Ottanta, Aligi Sassu, uno dei più importanti artisti italiani del secondo Novecento, realizzò diverse versioni dell’opera Pasifae e il Minotauro, ispirata al celebre mito greco della creatura metà uomo e metà toro. Si narra che il dio del mare, Poseidone, avesse inviato a Minosse, re di Creta, un toro affinché fosse sacrificato in suo onore. Minosse però ritenne che l’animale fosse troppo bello per essere sacrificato, e decise pertanto di utilizzarne un altro al posto di quello mandato dal dio. Poseidone, per punire Minosse, fece innamorare sua moglie Pasifae del toro: la donna si fece possedere dall’animale e dalla mostruosa unione nacque il minotauro, un essere violento e mosso dagli istinti più animaleschi, al punto da arrivare a scoprire la madre che giace nuda in una campagna, secondo un motivo tipico della pittura antica, quella dei satiri, altre creature dagli insaziabili appetiti sessuali, che venivano spesso raffigurati mentre scoprivano ninfe nude addormentate.
Lo stambecco, com’è noto, non è un animale fantastico, ma sicuramente le decorazioni del Castello di Sarre che hanno a che fare con gli stambecchi sono qualcosa di completamente insolito. Il Castello reale di Sarre ha origini medievali, ma fu spesso rimaneggiato nei secoli, e nel 1869 diventò proprietà dei Savoia: Vittorio Emanuele II in persona lo fece ampliare e decorare, e successivamente anche re Umberto I commissionò nuovi decori. Tra questi, figura la Galleria dei Trofei, un singolare ambiente le cui decorazioni sono state realizzate con centinaia di corna di stambecco che, unite alle pitture che riproducono piante e vegetali, vanno a creare motivi vegetali sulle pareti. La storia del castello è legata a quella delle riserve di caccia dei Savoia: in antico lo stambecco è stato a lungo cacciato, tanto che la specie ha addirittura rischiato l’estinzione. Oggi fortunatamente lo stambecco non corre più questo pericolo, tanto che in alcuni paesi la caccia a questo animale non è più proibita, al contrario dell’Italia dove è invece ancora vietato cacciare gli stambecchi.
La Cattedrale di Aosta presenta due splendidi mosaici medievali del XIII secolo: il mosaico superiore presenta, nel contesto di intrecci geometrici, un singolare insieme di figure antropomorfe e zoomorfe, che simboleggiano luoghi geografici e segni zodiacali ma che si riferiscono anche a episodi biblici. Si tratta, in sostanza, di un condensato di cosmografia cristiana, che prende le forme da quella pagana passando attraverso, ha scritto lo studioso Raul Dal Tio, “le illustrazioni scientifiche di argomento astronomico e astrologico per approdare ad un universo popolato di simboli biblici, cori angelici, animali e mostri tratti dai bestiari a rappresentare vizi, virtù e scenari dell’Apocalisse”. L’animale più interessante del mosaico è sicuramente la manticora, una creatura che si riteneva dotata di volto umano, corpo di leone e coda di scorpione: un animale simile dunque alla chimera, che vediamo rappresentata di fianco. La manticora è l’animale che compare al centro assieme a un altro animale fantastico, l’ippocampo, all’uccello e al pesce. Sulla fascia esterna, nei triangoli, vediamo invece un leone, un unicorno, un grifone e una iena, e infine nei quattro riquadri alle estremità ecco le personificazioni dei fiumi Tigri ed Eufrate, una chimera e un elefante. “I molteplici significati insiti in ogni singolo animale, frutto di una migrazione (e successiva assimilazione) dall’iconografia dell’antichità pagana a quella cristiana”, spiega ancora Dal Tio, “hanno condizionato una lettura frammentaria, comunque soltanto organizzata per temi: simboli cristologici (pesce, chimera, grifone, leone, ippocampo), antimondo (manticora, iena), virtù (unicorno, elefante)”.
Nei pressi di Aosta, nel quartiere di Saint-Martin-de-Corléans, si trova una delle aree megalitiche più interessanti d’Europa: fu scoperta nel 1969 e conserva diversi monumenti megalitici, ovvero grandi pietre che venivano innalzate dai popoli preistorici per scopi religiosi o rituali. I megaliti di Saint-Martin-de-Corléans appartengono ad almeno cinque fasi strutturali che vanno dal Neolitico recente (fine del V millennio a.C.) fino all’Età del Bronzo (II millennio a.C.) passando attraverso tutta l’Età del Rame (IV-III millennio a.C.). L’area di Saint-Martin-de-Corléans è stata identificata come un’area sacra destinata al culto e alla sepoltura, ruolo che ha assunto soprattutto a partire dagli ultimi secoli del III millennio a.C., diventando una delle più importanti necropoli della zona. L’area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans è stata poi musealizzata e, attraverso una passerella, è possibile percorrere l’area, in un itinerario scandito in sei sezioni che seguono la periodizzazione del sito archeologico.
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER