Animali e luoghi fantastici nei musei d'Italia: Umbria


Nona tappa del viaggio in Italia alla scoperta di animali e luoghi fantastici nei musei: ci rechiamo oggi in Umbria per vedere cosa si nasconde nei musei della regione.

Nona tappa del nostro viaggio alla scoperta degli animali e dei luoghi fantastici nei musei italiani: scopriamo oggi cosa si cela in Umbria. Il progetto è condotto da Finestre sull’Arte in collaborazione con il Ministero della Cultura per portare il pubblico a conoscere e frequentare i musei, luoghi sicuri e adatti a tutti, partendo da un punto di vista diverso dal solito. Buon viaggio!

1. Il diavolo nella Pala delle Monache di Santa Giuliana di Domenico Alfani

Il diavolo, raffigurato come un satiro dall’espressione inquietante e dai lunghi artigli, giace ormai inoffensivo e incatenato: è stato infatti sconfitto da santa Giuliana, la santa titolare della chiesa a cui questa pala di Domenico Alfani, oggi nella collezione della Galleria Nazionale dell’Umbria, era destinata quando fu dipinta, nel 1532. La tavola, che rappresenta la Madonna col Bambino assieme ai santi Giovanni Battista e Giuliana, con due angioletti in atto di adorazione, rimase nella chiesa di Santa Giuliana a Perugia fino al 1812, epoca delle soppressioni napoleoniche: quell’anno fu portata a Roma e poté rientrare in Umbira con la restaurazione, nel 1815. Fu definitivamente spostata nella galleria nel 1863. Narra la leggenda che Giuliana di Nicomedia, santa martire vissuta nella Turchia del III secolo dopo Cristo, fu promessa in sposa a un pagano chiamato Eulogio. Lei, salda nella sua fede cristiana, rifiutò di sposarlo, a meno che non si fosse convertito al cristianesimo. Il padre, anch’egli pagano, non volle assecondare le richieste della figlia e la fece imprigionare con l’intento di farla rinunciare alla sua fede. L’agiografia racconta che, mentre Giuliana era in prigione, il diavolo cercò di tentarla, e lei lo respinse picchiandolo con le sue catene: ecco spiegato il perché di questa raffigurazione. Nonostante la prigionia, Giuliana non rinnegò la sua fede e per questa ragione dovette subire il martirio, mediante decapitazione.

Domenico Alfani, Pala delle Monache di Santa Giuliana (1532; olio su tavola, 232,5 x 179 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria)
Domenico Alfani, Pala delle Monache di Santa Giuliana (1532; olio su tavola, 232,5 x 179 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)

2. Grifi e Leoni di Fontana Maggiore

Il grifone, è noto, è l’animale simbolo di Perugia: leggendaria creatura alata con il corpo di leone e la testa d’aquila, il grifone campeggia, bianco su campo rosso, nello stemma della città. E sono grifi in compagnia di leoni quelli che si vedono in questa scultura bronzea, realizzata nell’ultimo ventennio del Duecento, forse da uno scultore noto come “Rubeus”, cioè “Rosso” (anche se la critica è dibattuta sull’autore della scultura): il grifone, come detto, era il simbolo di Perugia, mentre il leone era il simbolo della parte guelfa (Perugia era città guelfa). Questo gruppo era probabilmente impiegato sulla sommità della Fontana Maggiore, che si trova proprio di fronte al Palazzo dei Priori che ospita la Galleria Nazionale dell’Umbria, dove l’opera è conservata (e dove, all’ingresso, troviamo proprio un grifo e un leone): forse era un automa ideato per dar vita a giochi d’acqua e zampilli, ma data l’altissima qualità del manufatto è anche possibile che venisse impiegato come decorazione di un pilo, un pennone di una bandiera. Ad ogni modo, Giorgio Vasari e altri testimoni vissuti tra Quattro e Cinquecento testimoniano che a quell’epoca il gruppo bronzeo aveva una funzione idraulica, ma non sappiamo se quella fosse la sua origine.

Rubeus, Grifi e leoni (1280-1299; bronzo; Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria)
Rubeus, Grifi e leoni (1280-1299; bronzo; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)

3. La sala degli dèi al Castello Bufalini

Il Castello Bufalini si trova a San Giustino (Perugia) e le sue attuali forme risalgono alla fine del Quattrocento, quando il nuovo proprietario, Niccolò di Manno Bufalini, venuto nel 1487 in possesso del terreno su cui sorgeva un antico fortilizio fatto distruggere poco prima dai fiorentini, si occupò della ricostruzione, e chiamò a eseguire l’opera l’architetto Mariano Savelli. La famiglia Bufalini ne detenne per secoli la proprietà, e i discendenti di Niccolò di Manno, col tempo, trasformarono il Castello in una sontuosa residenza affrescata. Si devono a Cristofano Gherardi detto il Doceno (Sansepolcro, 1508 - 1556) gli affreschi della Sala degli Dèi, con storie ispirate alle Metamorfosi di Ovidio che tanto ispirarono i pittori tra Quattro e Cinquecento: un modo per dar forma, sulle pareti della sala, a storie fantastiche che si svolgono nei riquadri sotto le lunette. Le creature fantastiche popolano tuttavia anche il soffitto: è infatti interamente decorato a grottesche, con animali di ogni genere, reali o di fantasia, che compongono una delle decorazioni più originali di tutta l’Umbria.

Sala degli dei di Castello Bufalini
Sala degli dei di Castello Bufalini

4. La sirena etrusca del Museo Nazionale Archeologico dell’Umbria

Nell’arte etrusca abbondano le sirene, ma chi pensa alle favolose creature metà donna e metà pesce sbaglierebbe: la sirena del Museo Nazionale Archeologico dell’Umbria è quella del mito greco, ovvero una creatura che ha corpo di uccello e volto di donna. La sirena che si è diffusa con più facilità nell’immaginario collettivo, la creatura con la coda di pesce appunto, si affermò soltanto a partire dall’VIII-IX secolo dopo Cristo, grazie soprattutto a un bestiario noto come Liber Monstrorum. La sirena del Museo Nazionale Archeologico è una piccola scultura in bronzo che decorava il coperchio di una situla, anch’essa in bronzo: per “situla” s’intende un particolare tipo di vaso, in uso presso diverse civiltà antiche, che serviva per contenere acqua o vino e si utilizzava soprattutto in ambito religioso, per scopi rituali. La sirena in questione è stata ritrovata in una necropoli situata vicino al monastero di Santa Caterina, lungo la strada del colle di monte Ripido, poco sopra Perugia.

Arte etrusca, Sirena (VII-VI secolo a.C.; bronzo; Perugia, Museo Nazionale Archeologico dell'Umbria)
Arte etrusca, Sirena (VII-VI secolo a.C.; bronzo; Perugia, Museo Nazionale Archeologico dell’Umbria)

5. Il Minotauro nel vaso con Teseo e il Minotauro del Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria

La leggenda narra che la regina di Creta, Pasifae, moglie del re Minosse, si innamorò follemente di un toro inviato da Poseidone a Minosse affinché venisse sacrificato in suo onore: era la vendetta del dio del mare verso il re, che riteneva l’animale troppo bello da sacrificare e decise dunque di tenerlo e di offrire al dio un’altra bestia. Così, Poseidone, per punire Minosse fece impazzire Pasifae d’amore per il toro, tanto che si unì all’animale e da questa bestiale unione nacque un mostro, il Minotauro, metà uomo e metà toro. Minosse fece imprigionare il pericoloso animale in un Labirinto progettato da Dedalo: la feroce creatura richiedeva però ogni anno un pasto di sette ragazze e sette ragazzi, tributo che Minosse esigeva da Atene. Un anno, tra i giovani in arrivo a Cnosso, la capitale del regno di Minosse, figurava anche Teseo, eroe che avrebbe poi ucciso il mostro: l’anfora attica a figure nere del Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria raffigura proprio il momento in cui Teseo, osservato dagli altri giovani che dovevano finire tra le fauci della belva, prende per il collo il minotauro e si appresta ad assestargli il colpo fatale. L’opera proviene da un insediamento, nella zona di Marsciano e più precisamente nella località di San Valentino, abitato sin dal terzo millennio avanti Cristo e dove si trovava in antico un abitato etrusco.

Arte attica, Anfora a collo distinto con uccisione del minotauro (550-540 a.C.; ceramica; Perugia, Museo Nazionale Archeologico dell'Umbria)
Arte attica, Anfora a collo distinto con uccisione del minotauro (550-540 a.C.; ceramica; Perugia, Museo Nazionale Archeologico dell’Umbria)

6. La gorgone sul bucchero del Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria

Questo oggetto è un kyathos, ovvero un antico vaso dotato di un grande manico ad anello, che serviva come attingitoio. Ed è, in particolare, un bucchero, ovvero una ceramica ottenuta attraverso un procedimento che la rendeva nera e lucente: i buccheri erano particolarmente diffusi in Etruria, soprattutto nell’area di Chiusi, da dove proviene questo kyathos con gorgone. O meglio: con il gorgoneion, ovvero la testa di Gorgone, che ha l’aspetto di un mostro dai capelli di serpente e dagli occhi enormi e spaventosi, dato che le gorgoni erano in grado di pietrificare con lo sguardo. Nel mondo antico, le gorgoni veniva riprodotta anche su oggetti di uso comune, come un kyathos appunto, in funzione apotropaica, ovvero per allontanare il male: il volto della medusa assumeva, in sostanza, un ruolo di difesa. Il gorgoneion in questione, spiega il museo, è una Gorgone/pothnia theron (“signora degli animali”): al valore apotropaico si aggiunge qui “il concetto di dominio sulla natura e il riferimento alla nascita, dal capo reciso, di Pegaso e del fratello, il gigante Crisaore (concepiti nell’unione con Poseidone), in questo caso sostituito da un secondo cavallo”.

Arte etrusca, Kyathos con gorgoneion (prima metà del VI secolo a.C.; ceramica; Perugia, Museo Nazionale Archeologico dell'Umbria)
Arte etrusca, Kyathos con gorgoneion (prima metà del VI secolo a.C.; ceramica; Perugia, Museo Nazionale Archeologico dell’Umbria)

7. Il bue alato del Museo Nazionale del Ducato di Spoleto

Non conosciamo l’autore di questo bue alato, scultura in marmo del XIII secolo che proviene dal Duomo di Spoleto (e in particolare dal contrafforte destro) ed è oggi conservato pressa il Museo Nazionale del Ducato di Spoleto, situato nei locali della Rocca Albornoziana che domina la città. Nelle chiese medievali era comune incontrare sculture raffiguranti i simboli dei quattro evangelisti, e il Duomo di Spoleto non fa eccezione: il bue alato è simbolo di san Luca. Il Vangelo di Luca si apre infatti con l’episodio dell’annuncio a Zaccaria, marito di santa Elisabetta e padre di Giovanni Battista, con l’angelo che giunge a recargli la notizia dell’imminente gravidanza della moglie. Zaccaria era il sacerdote del tempio di Gerusalemme, e il bue di san Luca richiama dunque i tori che venivano sacrificati sugli altari. Ma il bue era anche un animale dotato di grande pazienza, un sentimento spesso associato a san Luca, che è anche patrono degli artisti. E per creare opere d’arte, si sa, ci vuole molta pazienza.

Artista ignoto, Bue alato (XIII secolo; marmo; Spoleto, Museo Nazionale del Ducato di Spoleto)
Artista ignoto, Bue alato (XIII secolo; marmo; Spoleto, Museo Nazionale del Ducato di Spoleto)

8. Il drago dal frontone del tempio del Belvedere al Museo Archeologico di Orvieto

Questo drago colorato, oggi conservato al Museo Archeologico di Orvieto, è un frammento della decorazione dell’antico tempio etrusco di Orvieto, denominato “del Belvedere” per la sua collocazione, nel centro della città sulla rupe, vicino al Pozzo di San Patrizio e in posizione panoramica. Del tempio sono visibili in situ la scalinata e alcune porzioni delle fondamenta, e inoltre si riesce a distinguere bene la pianta. Tutto il resto è andato perduto, ma alcuni frammenti decorativi, come il drago, si sono salvati e sono conservati nei musei della zona. Il tempio fu scoperto nel 1828 ed era dedicato al dio Tinia, il Giove dei romani. Il drago in questione segue la tipica rappresentazione etrusca di questo animale fantastico: una specie di serpente dal corpo sinuoso, con un muso molto allungato, quasi come se avesse un becco.

Arte etrusca, Drago (Orvieto, Museo Archeologico Nazionale)
Arte etrusca, Drago (Orvieto, Museo Archeologico Nazionale)

9. Il diavolo nella Madonna del Soccorso di Tiberio d’Assisi

È proprio il caso di chiamarla... Madonna del Soccorso: la singolare tavola di Tiberio d’Assisi (Tiberio Ranieri di Diotallevi; Assisi, 1470 circa - 1524), uno dei principali protagonisti del Rinascimento umbro, raffigura una Madonna che sta per abbattersi con una clava sul demonio, rappresentato come un orrendo essere con il volto caprino, le ali di pipistrello, un serpente annodato in vita come fosse una cintura e le zampe equine, colto mentre sta cercando di rapire un bambino biondo, visibilmente spaventato. La Vergine arriva in soccorso, supplicata dalle preghiere della giovane madre a sinistra, pronta a scagliarsi col suo bastone contro il maligno. L’iconografia ha molti precedenti, specialmente nell’Italia centrale dove nel Medioevo abbondavano le storie della Madonna che intercedeva a liberare dal demonio bambini posseduti, ma è molto particolare il modo vernacolare e quasi grottesco con cui Tiberio d’Assisi la risolve. L’opera, dipinta attorno al 1510, fu fatta realizzare da una certa Griseida di ser Bastiano (è l’iscrizione che corre lungo il bordo inferiore a rivelarci il nome della committente), e per un certo periodo fu attribuita a Francesco Melanzio. L’opera è oggi conservata presso il Museo di San Francesco a Montefalco.

Tiberio d'Assisi, Madonna del Soccorso (1510 circa; Montefalco, Museo di San Francesco)
Tiberio d’Assisi, Madonna del Soccorso (1510 circa; Montefalco, Museo di San Francesco)

10. La Calamita Cosmica di Foligno

Uno dei luoghi più fantastici dell’Umbria è sicuramente la Calamita Cosmica di Foligno: si chiama così l’opera realizzata nel 1988 da Gino De Dominicis (Ancona, 1947 - Roma, 1998) e conservata nel Centro Italiano di Arte Contemporanea la cui sede si trova nella ex chiesa della Santissima Trinità. La Calamita Cosmica è un enorme scheletro umano (24 metri di lunghezza, 9 di larghezza e quasi 4 di altezza) che occupa l’antico edificio di culto per tutta la sua lunghezza: è sdraiato, e la sua particolarità sta nel fatto che al posto del naso ha una specie di lungo becco d’uccello. Nella mano destra regge una lunga asta dorata: la chiave di lettura è proprio l’asta dorata, che rappresenta il mezzo che mette in connessione lo scheletro con il cosmo (e da qui deriva dunque il nome con cui l’opera è nota). Opera unica nel suo genere, eseguita in vetroresina, ferro e polistirolo, realizzata dall’artista in segreto, non si sa bene per quali ragioni De Dominicis l’abbia realizzata, ma di sicuro contribuisce a rendere fantastico questo luogo!

Gino De Dominicis, Calamita cosmica (1988; vetroresina, ferro e polistirolo, 24 x 9 x 4 m; Foligno, ex chiesa della Santissima Trinità). Foto di Bernardino Sperandio - Ente del Turismo dell'Umbria
Gino De Dominicis, Calamita cosmica (1988; vetroresina, ferro e polistirolo, 24 x 9 x 4 m; Foligno, ex chiesa della Santissima Trinità). Foto di Bernardino Sperandio - Ente del Turismo dell’Umbria

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