Il viaggio alla scoperta degli animali, delle creature e dei luoghi fantastici nella penisola italiana prosegue con la Toscana, giungendo dunque alla sua sesta tappa. Il progetto di Finestre sull’Arte è in collaborazione con il Ministero della Cultura e intende portare i visitatori nei musei e nei luoghi della cultura per imparare e allo stesso tempo divertirsi in compagnia della vostra famiglia e dei vostri bambini, perché sono luoghi sicuri. Scopriamo quindi insieme quali animali e luoghi fantastici offre la Toscana.
La Chimera di Arezzo è diventata simbolo del Museo Archeologico Nazionale di Firenze: è infatti una delle opere più importanti del museo, assolutamente da non perdere. Si tratta di un eccezionale bronzo etrusco con sembianze di chimera, ovvero un leone in posa aggressiva con la bocca aperta, la schiena inarcata da cui nasce una testa di capra e al posto della coda un serpente che morde un corno della capra. Mostro della mitologia greca, la chimera riunisce nel suo corpo tre animali diversi, ed è spesso considerata incarnazione di forze distruttrici. Secondo il mito, la chimera abitava in Licia, dove distruggeva tutto sputando fiamme dalle sue tre bocche; riuscì però a sconfiggerla l’eroe Bellerofonte con l’aiuto del cavallo alato Pegaso. Risalente tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C., la scultura bronzea venne scoperta il 15 novembre 1553 durante i lavori per la realizzazione di un nuovo bastione nelle mura di Arezzo e venne subito riconosciuta come un capolavoro dell’arte etrusca, tanto che il granduca Cosimo I de’ Medici la volle portare immediatamente a Firenze. Venne collocata prima a Palazzo Vecchio fino al 1718, poi venne trasferita agli Uffizi per ordine di Cosimo III e infine nel 1870 giunse al Museo Archeologico, dove tuttora affascina i visitatori.
Un grande mostro marino con zanne e coda ritorta su se stessa è raffigurato al centro della scena, mentre sta per scagliarsi contro la figlia del re di Etiopia, Andromeda, la quale era stata offerta in sacrificio per placare la fame del mostro. Sulla schiena della mostruosa creatura è il giovane Perseo che lo ucciderà coraggiosamente. Il famoso dipinto realizzato dall’estro eccentrico di Piero di Cosimo tra il 1510 e il 1515 ha infatti per soggetto la liberazione di Andromeda da parte di Perseo, storia tratta dalle Metamorfosi di Ovidio. L’opera era stata ideata come elemento di arredo della camera nuziale di Filippo Strozzi il giovane e di Clarice de’ Medici all’interno di Palazzo Strozzi. La fantasia dell’artista introduce nell’opera strani strumenti musicali suonati da alcuni astanti, costumi orientaleggianti e la triplice raffigurazione di Perseo, il quale si libra anche nel cielo con calzari alati e festeggia l’impresa riuscita. Da Palazzo Strozzi il dipinto passò nella raccolta di Sforza Almeni, cameriere segreto del granduca Cosimo I de’ Medici, e successivamente nelle raccolte medicee. Già nel 1598 si trovava nella Tribuna degli Uffizi.
Uno dei capolavori più famosi del simbolista Max Klinger, custodito nella Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze: ritrae due giovani avvinghiati tra le onde del mare in un appassionato bacio. La giovane fanciulla dalla pelle chiarissima e dai capelli lunghi e rossi stringe il suo braccio attorno al collo del ragazzo, mentre le gambe del giovane sono intrecciate alla coda da sirena di lei. Sono due creature fantastiche quelle raffigurate nel dipinto, perché si tratta di un tritone e di una nereide. Nella mitologia greca, i tritoni discendevano dal figlio del dio del mare Poseidone e della nereide Anfitrite, mentre le nereidi erano ninfe marine figlie di Nereo e della Oceanina Doride. Due creature marine quindi di natura benevola che si lasciano trasportare dalla passione amorosa tra le acque verdi-azzurre. Max Klinger realizzò il quadro nel 1895 ed è tuttora considerato uno dei capolavori del Simbolismo europeo.
Tre diavoli si stanno accanendo brutalmente contro sant’Antonio abate che giace già a terra, il quale non riesce a difendersi dalle percosse che gli vengono inferte dalle creature demoniache che presentano sembianze metà umane e metà di uccelli rapaci. Lo colpiscono con bastoni e addirittura con serpenti che il diavolo al centro utilizza come fruste; il diavolo a destra lo sta trascinando persino per il vestito. Il pestaggio da parte dei diavoli fa parte di quelle dure prove che Antonio abate dovette affrontare nel deserto durante il periodo della sua meditazione, quando secondo la tradizione cristiana fu costretto a superare le tentazioni diaboliche. Il dipinto è opera del pittore senese Stefano di Giovanni meglio conosciuto come il Sassetta. L’artista ha ambientato la scena in un paesaggio montuoso, intervallato da ciuffi d’erba e da qualche albero. Originariamente l’opera, eseguita nel 1423, era parte della predella della pala dell’Arte della Lana, utilizzata dalla corporazione per l’annuale festa del Corpus Domini. Dalla metà dell’Ottocento appartiene alla collezione della Pinacoteca Nazionale di Siena.
Nel Museo Nazionale Etrusco di Chiusi è custodita la sfinge alata funeraria con volto femminile risalente alla metà del VI secolo a.C. La scultura presenta il corpo di un felino da cui nasce una grande ala che si ritorce su se stesso all’estremità e la testa di donna con grandi occhi dalla forma allungata e capelli a caschetto che le arrivano sulle spalle, a mo’ di Cleopatra. La figura è seduta sulle zampe posteriori che è abituale per una sfinge nell’immaginario collettivo. La scultura è stata costruita con pietra fetida, un particolare tipo di pietra calcarea che caratterizza la zona di Chiusi e che è chiamata così perché al suo interno sono presenti particelle di zolfo. Questo tipo di pietra era utilizzata moltissimo dagli Etruschi dell’antica Chiusi, soprattutto per la realizzazione di epigrafi, decorazioni architettoniche e cippi.
Tra i capolavori di Michelangelo Merisi, meglio conosciuto come Caravaggio, figura certamente la Testa di Medusa conservata alle Gallerie degli Uffizi. Si tratta di uno scudo da parata cinquecentesco su cui il celebre artista dipinse la testa di Medusa separata dal corpo, già tagliata per mano di Perseo. La testa appare molto realistica: il sangue schizza dal collo, la bocca della creatura mitologica è spalancata ancora fissa in un grido di dolore, gli occhi aperti in un’espressione di terrore e i capelli di serpenti ancora attorcigliati e in movimento. Caravaggio ha raffigurato Medusa nell’attimo immediatamente successivo al taglio della testa da parte dell’eroe greco. Secondo una versione del mito, Perseo sferrò il colpo guardando Medusa riflessa in uno scudo che gli era stato donato dalla dea Atena. La creatura mitologica era una delle tre Gorgoni, la più famosa, che aveva il potere di impietrire con lo sguardo chiunque la guardasse. L’opera venne donata nel 1608 dal Cardinal Del Monte al granduca Cosimo II in occasione delle nozze di quest’ultimo con Maria Maddalena d’Austria.
Esseri angelicati e demoni dividono in due parti nette il grande dipinto del Giudizio Universale realizzato tra il 1425 e il 1428 da Beato Angelico e oggi conservato al Museo Nazionale di San Marco a Firenze. Dalla particolare forma trilobata, l’opera è dominata in alto al centro dal Cristo giudice circondato dagli angeli. Sotto, le tombe scoperchiate dei defunti indicano che è giunto il momento del Giudizio finale: a sinistra quelli che saranno beati e che si avviano verso i cancelli della Gerusalemme celeste, con una elegante danza di angeli e beati in un prato da vero locus amoenus; a destra i dannati, i quali picchiati con bastoni e buttati a terra da diavoli neri fanno ingresso nell’Inferno. Nell’estremità destra dell’opera è rappresentata infatti la struttura dell’Inferno, con alla base un diavolo che stringe tra gli arti e mangia voracemente i dannati e in ciascuno scomparto degli inferi è mostrata all’osservatore una diversa punizione eterna che i peccatori dovranno subire, con esseri diabolici sempre presenti. Fu probabilmente Ambrogio Traversari, frate e studioso, a ispirare il programma iconografico dell’opera e fu lui ad affidare al pennello di Beato Angelico la visione apocalittica. L’opera venne originariamente compiuta per la cappella maggiore della chiesa di Santa Maria degli Angeli.
Al Museo Nazionale del Bargello è conservato il modello in bronzo e in marmo del Perseo di Benvenuto Cellini, una delle statue più famose della Loggia dei Lanzi in Piazza della Signoria a Firenze. Il Perseo trionfante indossa un tessuto che segue l’andamento del corpo; è in piedi all’interno di una nicchia e sotto di lui appare una sorta di mostro che riporta un’iscrizione. Il basamento marmoreo è riccamente decorato con rilievi a ghirlande, maschere, teste caprine, un mostro dalla bocca spalancata e ai lati due busti di figure femminili.
Nel Museo Nazionale del Bargello sono conservate varie lucerne in bronzo di manifattura padovana risalenti al Cinquecento. Ne è un esempio quella databile al primo quarto del sedicesimo secolo che raffigura una bizzarra creatura dalla testa di satiro, raffigurata con la bocca spalancata, con il corpo composto da una zampa di rapace. Il gusto per queste creature stravaganti e grottesche (nella produzione padovana del tempo abbondano teste che poggiano su zampe di caproni o rapaci) è tipico della cultura cinquecentesca. Proprio le zampe, peraltro, sono indicative dell’area di produzione, dal momento che erano un elemento caratteristico della cultura veneta e, più nello specifico, padovana. Si tratta di un bronzetto probabilmente riferibile alla bottega di Andrea Briosco, derivata da un esemplare dello stesso artista.
Nel dipinto a soggetto mitologico che Sandro Botticelli realizzò tra il 1480 e il 1485 è raffigurata una giovane donna, abbigliata e acconciata nello stile tipico del pittore, che tiene con la mano sinistro un’ascia da battaglia, mentre con la destra tiene per i capelli un centauro, creatura tratta dalla mitologia che ha sembianze umane dalla testa fino alla vita e sembianze di cavallo dalla vita in giù. Secondo fonti letterarie di poco successive all’esecuzione del dipinto, la figura femminile avvolta da tralci vegetali (forse ulivo o mirto) è stata associata a Minerva, dea della sapienza, o a Camilla, guerriera vergine morta in battaglia per difendere la patria ed esempio di castità. La veste della fanciulla è inoltre ornata con il motivo dell’anello di diamante legato alla famiglia Medici. L’opera apparteneva infatti a Lorenzo di Pierfrancesco, cugino di Lorenzo il Magnifico, e potrebbe essere stato commissionato per le nozze con Semiramide Appiani. Il soggetto del dipinto può essere inteso come la virtù che frena il temperamento passionale e sanguigno.
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