La sedicesima tappa del viaggio alla scoperta degli animali e dei luoghi fantastici nei musei italiani giunge in Puglia. Centauri, mostri marini, gorgoni, satiri, grifoni e fauni popolano infatti i musei dello Stivale d’Italia, e con questo progetto Finestre sull’Arte in collaborazione con il Ministero della Cultura vi porta a scovarli e a scoprirli in un modo inedito e divertente, ricordando che i musei sono luoghi sicuri e adatti a tutte le età. Si parte dunque per la Puglia: vediamo insieme quali animali e creature fantastiche abbiamo trovato!
Tratti dalla mitologia greca, i centauri erano creature fantastiche caratterizzate dalla loro doppia natura di uomini dal bacino in su e di cavalli dalla vita in giù: avevano infatti quattro zampe e la groppa come il cavallo, mentre volto, torso e braccia da umano. Sembra popolassero le regioni più montuose e ricche di vegetazione della Grecia, come la Tessaglia e l’Arcadia, e venivano associati agli istinti animaleschi di cui l’uomo non riesce mai a liberarsi totalmente. Capostipite è considerato Centauro, figlio del mortale Issione che aveva tentato di accoppiarsi con violenza a Era, ma in realtà non era altro che una nuvola a cui Zeus, marito di Era, aveva dato le sembianze della dea. Diventato adulto, Centauro si accoppiò con giumente, dando origine alla stirpe dei centauri, di cui il più famoso è Chirone. Questa kylix, coppa da vino in ceramica con manici laterali, il cui uso è attestato nell’antica Grecia già dal VI secolo a.C., raffigura proprio un centauro; a figure rosse e datata alla seconda metà del V secolo a.C., è conservata nel Museo Archeologico Nazionale “Jatta” di Ruvo di Puglia, che ha sede nell’ottocentesco Palazzo Jatta e che costituisce uno dei rarissimi esempi di collezione privata ottocentesca rimasta inalterata nella sua concezione museografica originaria.
Quest’anfora molto elaborata conservata nel Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia è una panatenaica apula a figure rosse. Le anfore panatenaiche costituivano il premio ufficiale delle Grandi Panatenee di Atene (competizioni sportive che si svolgevano ogni quattro anni dedicate alla dea Atena) e servivano per contenere l’olio ricavato da ulivi sacri. Attribuita a un ceramografo attivo tra il 335 e il 345 a.C. nel Gruppo di Ruvo 423, l’anfora è stata rinvenuta in frammenti ed è stata restaurata e dipinta su tutta la superficie. Sui due lati sono raffigurate due cerimonie funebri, mentre lungo il registro inferiore corre una decorazione continua con il corteo marino di Nereidi recanti armi. Le Nereidi erano, nella mitologia greca, ninfe marine figlie di Nereo e della Oceanina Doride e accompagnano qui i defunti verso il soggiorno immortale nell’Isola dei Beati: va quindi ad esse attribuito il significato beneagurante di sopravvivenza alla morte fisica. La raffigurazione rimanda all’episodio in cui sul campo di battaglia di Troia, Ettore ha ucciso Patroclo, caro amico di Achille; alle urla dell’eroe accorre la madre Teti accompagnata dalle Nereidi, le quali, in un corteo marino, partono per portare ad Achille le armi fabbricate dal dio Efesto con cui affrontare Ettore e vendicare la morte del compagno. Sedute su un ketos o aggrappate a un delfino, le Nereidi sono rappresentate infatti mentre trasportano spade infoderate, elmo, scudo e lancia. L’episodio diventa un paradigma mitico del tema della consegna delle armi a un guerriero che parte per la battaglia.
Questa fiasca a rilievo argentata conservata al Museo Archeologico Nazionale di Altamura risale al IV secolo a.C. e fa parte del corredo funerario proveniente dalla tomba monumentale rinvenuta durante uno scavo in via Bari nel 1974; scavo che ha rivelato circa centocinquanta oggetti di ricchezza e qualità della ceramografia apula. La fiasca era utilizzata per il trasporto di piccole quantità di bevande; ha un corpo a cilindro schiacciato con i dischi lievemente gonfi e delimitati da un’applicazione plastica a raggiera sporgente. Al centro, circondato da una corona ad ovoli, c’è un medaglione con immagine a rilievo che raffigura due creature tratte dalla mitologia: una chimera con testa e corpo di leone, una seconda testa di capra sulla schiena e coda di serpente, e un tritone o ippocampo, animale marino metà cavallo e metà pesce.
Questo cratere a figure nere conservato al Museo Archeologico Nazionale di Gioia del Colle è stato rinvenuto nel 2002 in una tomba all’interno di un edificio sacro sul Monte Sannace. Risalente alla prima metà del VI secolo a.C., è opera di un artista appartenente alla fase media della produzione vascolare corinzia conosciuto come Pittore di Memnon, nome che deriva da uno degli altri tre crateri noti del ceramografo, quello di Berlino, sul quale sono raffigurati Achille e Memnon in lotta. Sul lato principale del cratere di Gioia del Colle è rappresentato il finale della contesa tra questi ultimi: l’episodio tratto dalla guerra di Troia si conclude con il guerriero di origine etiope a terra, colpito a morte nel duello con Achille, il quale lo fronteggia e lo trafigge coprendosi in parte con lo scudo. Sono presenti anche le rispettive madri divine, Eos e Teti, scese ognuna dal proprio carro. Sull’altro lato del vaso è una danza corale in onore del vincitore, mentre sul fianco è raffigurato un animale mostruoso con testa di donna dalla lunga chioma e corpo di uccello, interpretata talvolta come sfinge o come sirena o arpia.
Anche questa antefissa con testa di Gorgone è stata ritrovata durante uno scavo sul Monte Sannace, compiuto però nel 2013. Si trovava all’interno di un edificio arcaico, in un ambiente interpretato come megaron, ovvero l’ambiente più interno e sontuoso dei palazzi micenei. L’antefissa in terracotta, di produzione tarantina, risale all’ultimo trentennio del VI secolo a.C. e doveva originariamente appartenere alla decorazione della parte spiovente del tetto, probabilmente a due falde. Anticamente dipinta in bruno e in rosso, è di forma semiellittica e raffigura una testa di Gorgone con grandi occhi a mandorla sporgenti, denti aguzzi come zanne, capelli acconciati “a lumachelle” e trecce perlinate, barba a ciocche aguzze. Le Gorgoni sono creature mostruose della mitologia greca: figlie di Forco e Ceto, erano tre sorelle, di cui la più celebre è Medusa, che avevano la capacità di impietrire con lo sguardo chiunque le guardasse. La funzione di questi oggetti era in origine quella di dissuadere qualcuno dall’entrare in un luogo tramite l’uso della paura: in questo senso la gorgone era considerata protettrice di luoghi e segreti.
Al MARTA - Museo Archeologico Nazionale di Taranto è conservato un balsamario, ovvero un contenitore che gli antichi utilizzavano per unguenti ed essenze profumate, con le sembianze di Acheloo. Quest’ultimo appartiene alla mitologia greca ed è la divinità fluviale figlio di Oceano e di Teti, in particolare è la personificazione dell’odierno Aspropotamo, uno dei fiumi più lunghi della Grecia.
Secondo il mito, Acheloo era in lotta con Eracle perché voleva in sposa Deianira, la figlia del re degli Etoli, che invece era promessa a quest’ultimo. Durante il combattimento, Acheloo si trasformò prima in serpente poi in toro, in drago e infine in un uomo dalla testa taurina; Eracle riuscì a strappargli un corno (quella che sarebbe diventata la cosiddetta cornucopia, piena di frutta e fiori e consacrata dalle Naiadi). Si dice inoltre che dalle gocce di sangue provenienti dalla ferita sarebbero state generate le sirene.
Il balsamario risale al 580 - 570 a.C. e fu rinvenuto a Taranto, nei pressi dell’Arsenale Militare, nel 1914.
Il Castello Svevo di Bari ha inaugurato e riaperto al pubblico nel 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la Gipsoteca, che riunisce in due sale al piano terra vari calchi tratti dai più celebri monumenti pugliesi. L’Amministrazione provinciale di Bari incaricò nel 1911 gli scultori Pasquale Duretti e Mario Sabatelli di riprodurre i dettagli scultorei e i motivi ornamentali dei più significativi monumenti religiosi e civili della Puglia per l’Esposizione Etnografica Regionale che si sarebbe tenuta nella Piazza d’Armi di Roma; tra questi, quelli della Cattedrale di San Sabino e della Basilica di San Nicola di Bari. Conclusa l’esposizione romana, i calchi tornarono a Bari e nel 1949 vennero collocati nel Castello Svevo, dove nel 1957 venne aperta al pubblico la Gipsoteca. Oltre ai soggetti religiosi, si contano anche soggetti tratti dalla mitologia classica e numerose raffigurazioni di animali e creature fantastiche, come grifoni e sfingi. I primi tratti dal finestrone absidale della Cattedrale combattono contro un drago e un serpente e vengono rappresentati potenti e vincenti; la sfinge del protiro del portale della Basilica si mostra fiera, con volto umano, corpo di leone e ali di uccello, simbolo di forza e di saggezza.
A Palazzo Sinesi, sede del Museo Archeologico Nazionale di Canosa di Puglia, è possibile ammirare i corredi delle tombe arcaiche e dei ricchi ipogei ellenistici nella loro interezza e varietà, tra cui quelli dell’ipogeo Varrese, una delle più importanti tombe a camera di Canosa. Appartengono a quest’ultimo, vasi policromi e plastici detti canosini decorati con immagini dipinte a tempera, principalmente in rosa. Particolarmente significativi sono due askoi, contenitori utilizzati nell’antica Grecia per versare piccole quantità di liquidi oleosi: uno ha il manico a corpo di serpente di un essere ibrido con busto maschile e due teste di cigno ed è decorato nella parte anteriore da una Gorgone e sui lati da due cavalli alati; l’altro ha il manico a corpo pisciforme di un essere ibrido con busto femminile alato e nella parte anteriore è raffigurata una Gorgone, mentre sui lati si notano ippocampi con ali a volute e pinne bifide. I due askoi a decorazione policroma sono databili alla fine del IV secolo a.C.
Castel del Monte presenta un apparato decorativo scultoreo che comprende chiavi di volta e mensole figurate che rimandano a volti di creature fantastiche: teste barbute con una folta capigliatura e con due orecchie caprine identificabili come fauni o satiri. La decorazione scultorea è parte integrante dell’architettura ed è debitrice di forme antiche unite a forme gotiche, in linea con il cosiddetto Medioevo fantastico definito da Raffaele Licinio. Sia le chiavi di volta che le mensole figurate appartengono al repertorio figurativo cistercense, che si ispirava alla natura, come si nota nell’uva e nei pampini del fauno e che accomuna tutto l’apparato ornamentale plastico di Castel del Monte. Le mensole figurate si trovano sulla sommità delle torri di accesso al primo piano e fungono a sostegno dell’elemento architettonico superiore. La mensola figurata che sostiene la volta della cosiddetta Torre del Falconiere fa parte invece di un trio che comprende un uomo dalle orecchie d’asino o capra, una donna sorridente col capo circondato da una corona di foglie, e una terza andata perduta.
Questo busto di satiro in bronzo dell’artista molfettese Filippo Cifariello (Molfetta, 1864 - Napoli, 1936) conservato nella Galleria Nazionale della Puglia di Bitonto, nota anche come Galleria “Girolamo e Rosaria Devanna” dalla donazione dei due fratelli collezionisti, è di incerta datazione ma potrebbe riferirsi all’ultimo lustro dell’Ottocento, periodo in cui l’artista fu molto attivo, in particolare al 1895, anno in cui realizzò oltre settecento modelli per la fabbrica di porcellane di Passavia, in Baviera. Il satiro è la mitologica personificazione della fertilità e della forza vitale della natura, legata al culto dionisiaco. Volutamente sbozzata e non levigata, la superficie della scultura rafforza la resa della creatura mitologica, evidenziando il volto corrugato, l’astuto ghigno e lo sguardo vispo. È un manufatto di singolare vitalità, caratterizzato da una tecnica rapida e nervosa, da un’energia vitale che scaturisce dalle pieghe, dalle increspature e da occhi attivi e partecipi.
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