Animali e luoghi fantastici nei musei d'Italia: Molise


Quinta tappa del viaggio nei musei d’Italia alla scoperta degli animali e dei luoghi fantastici: oggi è il turno del Molise. Un progetto di Finestre sull’Arte in collaborazione con il Ministero della Cultura.

Quinta tappa del viaggio alla ricerca di animali e luoghi fantastici tra i musei d’Italia: ci spostiamo in Molise per vedere cosa ha da offrire questa piccola regione incastonata tra l’Adriatico e gli Appennini. Ricordiamo che i musei e i luoghi della cultura sono luoghi sicuri da visitare, in compagnia della vostra famiglia e dei vostri bambini. Un progetto che Finestre sull’Arte realizza in collaborazione con il Ministero della Cultura. 

1. Pan nel Pan e Siringa di Luca Giordano al Castello Pandone

Questo dipinto di Luca Giordano (Napoli, 1634 - 1705) conservato al Museo Nazionale del Molise di Castello Pandone a Venafro (Isernia) racconta uno dei miti più noti dell’antichità, quello del dio Pan, il dio dei boschi e dei pascoli, protettore delle creature naturali, che si innamora della ninfa Siringa. Si tratta però di un amore non corrisposto: Pan, infatti, ha un aspetto ferino, dal momento che è per metà uomo e per metà capra. Spaventata dal suo aspetto, Siringa chiede aiuto alle Naiadi, le ninfe del mare, che per sottrarla alle attenzioni di Pan la trasformano in una pianta di canne palustri. Pan, non trovandola, per non pensare più al suo amore tagliò le canne che trovò lungo la sua strada e cominciò a soffiare nelle canne, producendo una soave armonia: il dio non sapeva che quelle note venivano prodotte proprio da Siringa. Nasceva così, secondo il mito, il flauto di Pan, noto anche come “siringa”. Nel dipinto di Luca Giordano vediamo le varie fasi del racconto condensate in un unico momento: la ninfa, in basso, che si trasforma nella pianta di canne palustri, e il dio che le taglia per ricavare il proprio strumento musicale.

Luca Giordano, Pan e Siringa (seconda metà del XVII secolo; olio su tela; Venafro, Museo Nazionale del Molise - Castello Pandone)
Luca Giordano, Pan e Siringa (seconda metà del XVII secolo; olio su tela; Venafro, Museo Nazionale del Molise - Castello Pandone)

2. Il drago nel San Giorgio di Pompeo Aquilano al Castello Pandone

Sempre il Museo Nazionale del Molise conserva un’incisione a bulino, opera di Pompeo Cesura noto anche come Pompeo Aquilano (L’Aquila, 1510 circa - Roma, 1571), artista abruzzese molto influenzato da Raffaello Sanzio, che raffigura l’episodio di san Giorgio che sconfigge il drago e libera la principessa. Il santo, come da tipica iconografia, si trova sul suo cavallo, che è ritto sulle zampe posteriori, mentre il drago si trova davanti a lui ed è ormai sopraffatto dalla sua lancia: sembra quasi un grosso coccodrillo. La principessa è sulla destra, e viene raffigurata con la schiena nuda, appoggiata alla roccia. I ritmi concitati, le pose contorte e sinuose, la composizione sulle linee diagonali sono tutti elementi tipici dell’arte manierista. L’opera fa parte di una raccolta di disegni, acquerelli e bozzetti di diversi artisti attivi tra il Cinquecento e il Settecento che fu acquistata dal Ministero nel 1990: il materiale, presente al Castello Pandone di Venafro dal 2015, viene esposto a rotazione nelle sale del Museo Nazionale del Molise.

Pompeo Aquilano, San Giorgio e il drago (metà del XVI secolo; incisione a bulino; Venafro, Museo Nazionale del Molise - Castello Pandone)
Pompeo Aquilano, San Giorgio e il drago (metà del XVI secolo; incisione a bulino; Venafro, Museo Nazionale del Molise - Castello Pandone)

3. Il satiro nell’oscillum con maschera di satiro del Museo Sannitico

Un oscillum era una piccola scultura di forma circolare, che solitamente raffigurava una testa, che in epoca romana veniva appesa con una corda o una catenella agli alberi come dono votivo a una divinità. Non è raro trovare oscilla con creature fantastiche o volti di satiri, come nel caso di questo conservato al Museo Sannitico di Campobasso. Purtroppo non si è conservato per intero: è rimasta soltanto la parte destra, ma sufficiente per osservare l’aspetto di questa creatura. I satiri erano creature che secondo il mito vivevano nei boschi, avevano il corpo di uomo e le zampe, la coda e talvolta (come in questo caso) anche le orecchie di capra, ed erano considerati personificazioni della forza generatrice della natura. Appendere un oscillum con un volto di satiro significava dunque cercare di propiziarsi una stagione favorevole.

Arte romana, Oscillum con testa di satiro (marmo, diametro 19 cm; Campobasso, Museo Sannitico)
Arte romana, Oscillum con testa di satiro (marmo, diametro 19 cm; Campobasso, Museo Sannitico)

4. Il grifone nella terracotta architettonica del Museo Sannitico

Larino, oggi borgo di circa seimila abitanti a una ventina di chilometri da Termoli, in epoca romana era una delle città più grandi e fiorenti di quest’area dell’Italia meridionale. Sono numerose le testimonianze della Larinum romana che si sono conservate, a partire dall’Anfiteatro: oltre ai monumenti ci sono però molti reperti provenienti dagli scavi archeologici, gran parte dei quali conservati al Museo Sannitico di Campobasso. Uno di questi è il frammento di terracotta architettonica proveniente dal foro di Larino, ovvero il luogo dove avevano sede le magistrature e le attività commerciali dell’antica città romana. Si tratta di una terracotta databile al II secolo dopo Cristo dove è raffigurato un grifone, creature mitologica simbolo dell’unione di terra e aria in quanto assommava le caratteristiche del leone e dell’aquila. Animale fantastico positivo, era simbolo di fierezza e potere. In tempi antichi poteva essere raffigurato in due modi: o come grifone uccello, vale a dire con testa e ali di aquila e corpo di leone, oppure come grifone leonino, con testa e corpo di leone e ali d’uccello. Il grifone del Museo Sannitico appartiene alla seconda fattispecie.

Arte romana, Grifone proveniente dal Foro di Larino (II secolo d.C.; terracotta; Campobasso, Museo Sannitico)
Arte romana, Grifone proveniente dal Foro di Larino (II secolo d.C.; terracotta; Campobasso, Museo Sannitico)

5. Il drago sul portale del Castello di Civitacampomarano

Il drago che campeggia sopra lo stemma sul portale del Castello di Civitacampomarano racconta una storia molto particolare, anche se non così inusuale ai suoi tempi. Nel 1442, il capitano di ventura Paolo di Sangro era alla guida dell’esercito del duca di Bari, Antonio Caldora, che sosteneva gli Angiò contro gli Aragonesi. La notte prima della battaglia di Sessano, che fu combattuta il 29 giugno 1442 e che vide opposta la “Compagnia Caldoresca”, ovvero l’esercito di Antonio Caldora, e l’esercito napoletano guidato da Alfonso V d’Aragona, Paolo di Sangro si accordò segretamente con gli Aragonesi, che gli promisero feudi e privilegi nel caso in cui fosse passato dalla loro parte. L’indomani, Paolo di Sangro fu visto combattere assieme agli Aragonesi, e il tradimento fu decisivo, perché l’esercito napoletano poté vincere la battaglia, prendendo lo stesso Caldora come prigioniero (anche se poi sarebbe stato liberato). Il drago ricorda quell’episodio: lo stemma a strisce oblique è quello di Paolo di Sangro, mentre il drago è un simbolo aragonese (san Giorgio era stato reso patrono dell’Aragona già nel XIV secolo), e il fatto che tra i suoi artigli stringa i gigli angioini capovolti intende simboleggiare il fatto che il territorio di Civitacampomarano era ormai soggetto alla corona aragonese.

Il drago sul portale del Castello di Civitacampomarano
Il drago sul portale del Castello di Civitacampomarano

6. La gorgone del cippo funerario del Museo Archeologico di Venafro

Un cippo funerario era, nell’antichità, una stele di forma quadrata che veniva eretta in presenza di un sepolcro: la parte sommitale spesso veniva decorata con una figura simbolica. In questo caso, la figura è una gorgone, un mostro anguicrinito (ovvero con i capelli a forma di serpente) il cui sguardo era in grado di pietrificare chiunque lo guardasse negli occhi. Secondo la mitologia, le gorgoni erano tre sorelle, Steno, Euriale e Medusa: quest’ultima, delle tre, era l’unica mortale, e infatti fu sconfitta e uccisa dall’eroe Perseo. Le gorgoni fanno anche parte della simbologia funebre fin dai tempi degli etruschi, poiché secondo la tradizione erano le guardiane della soglia che separava il mondo dei vivi dal mondo dei morti e dunque respingevano chiunque cercasse di attraversarla. La gorgone del Museo Archeologico di Venafro, di epoca romana, è stata rinvenuta in un sepolcreto poco fuori dalla città.

Il cippo funerario con la testa di Gorgone
Il cippo funerario con la testa di Gorgone

7. Il satiro nella Provocazione attribuita a Pietro Pietra

Attivo soprattutto come acquafortista, Pietro Pietra (Bologna, 1885 - 1956) era specializzato soprattutto in raffigurazioni di animali in uno stile che si richiamava all’estetica della pittura del secondo Cinquecento. Non fa eccezione questa allegoria della Provocazione, dove una giovane donna nuda, vista di schiena mentre torna da un bagno con tanto di telo sulla spalla, viene provocata da un satiro sdraiato che la osserva in modo inquietante: nella mitologia antica, infatti, i satiri erano considerati creature dal forte appetito sessuale e molto istintive. L’opera, conservata al Museo di Palazzo Pistilli a Campobasso, fu donata all’istituto nel 2014 dal collezionista campobassano Michele Praitano, che col suo atto ha deciso di lasciare all’istituto del capoluogo molisano una raccolta frutto di cinquant’anni di ricerche. Proprio il lascito di Praitano ha consentito la formazione del nucleo principale del museo, aperto il 16 maggio del 2014.

Pietro Pietra, Provocazione (carboncino e acquerello su carta; Campobasso, Museo di Palazzo Pistilli)
Pietro Pietra, Provocazione (carboncino e acquerello su carta; Campobasso, Museo di Palazzo Pistilli)

8. Pan nella pisside del Museo di Campobasso

Con il termine “pisside” si indicava nell’antichità un piccolo contenitore, dal corpo solitamente tondeggiante, che serviva per custodire oggetti di piccole dimensioni. Potevano essere realizzate in avorio, in osso o in terracotta. Questa del Museo Sannitico di Campobasso, che risale all’età ellenistica (è databile alla fine del IV secolo a.C.) ha la tipica forma a coppa che poggia su di un piede: di solito veniva utilizzata per contenere oggetti per la cosmesi. Non di rado le pissidi avevano un coperchio decorato: questo si presenta con una testa di Pan, il dio dei boschi, la cui iconografia di creatura dal corpo umano e dalle zampe di capra cominciò a diffondersi nell’Italia meridionale verso la fine del V secolo avanti Cristo.

Arte ellenistica, Pisside con Pan (fine del IV secolo a.C.; terracotta, 18 x 9 cm; Campobasso, Museo Sannitico)
Arte ellenistica, Pisside con Pan (fine del IV secolo a.C.; terracotta, 18 x 9 cm; Campobasso, Museo Sannitico)

9. Le sfingi negli affreschi di Donato da Copertino al Castello di Gambatesa

Gli affreschi che decorano il piano nobile del Castello di Gambatesa furono commissionati da Vincenzo Di Capua, duca di Termoli, a Donato da Copertino (notizie secolo XVI), che eseguì il lavoro, come recita un’iscrizione che troviamo proprio nella decorazione, nel mese di agosto del 1550. È uno dei cicli affrescati più interessanti dell’intero Molise: l’artista si formò in ambito romano (guardò in particolare a Daniele da Volterra, a Pellegrino Tibaldi e a Francesco Salviati) e portò questa cultura in ambito molisano. Nelle sale del palazzo, Donato da Copertino ha dato vita a episodi tratti dalla mitologia e dalla storia dell’antichità con figure imponenti e toni squillanti. Ci sono anche animali fantastici in questi affreschi: spicca la coppia di sfingi nella Sala dei Paesaggi. Sono raffigurate, come da tradizione, una di fronte all’altra, con la funzione di guardiane che veniva loro attribuita nell’antichità.

La Sala dei Paesaggi del Castello di Gambatesa
La Sala dei Paesaggi del Castello di Gambatesa

10. L’ippocampo dei mosaici di Larino

A Larino, nei pressi dell’anfiteatro, il maggior monumento che si è conservato della città romana (risale all’81 d.C., pertanto è contemporaneo del Colosseo), si trova oggi il Parco Archeologico Anfiteatro Romano - Villa Zappone, che consente di visitare anche i resti di alcuni edifici della Larino romano. Nei pressi dell’anfiteatro si trovavano le terme: quelle di Larino erano particolarmente lussuose, e avevano i pavimenti decorati con splendidi mosaici. In uno di questi si possono osservare alcuni ippocampi, animale fantastico con le zampe di cavallo e la coda di pesce. Nei complessi termali dell’antichità era abituale decorare i pavimenti con soggetti del mondo del mare, richiamo alle acque nelle quali gli abitanti della città si bagnavano.

L'ippocampo dei mosaici di Larino
L’ippocampo dei mosaici di Larino. Foto MeMo Cantieri Culturali

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