Animali e luoghi fantastici nei musei d'Italia: Basilicata


Decima tappa del viaggio nei musei italiani alla scoperta di animali e luoghi fantastici: si parte per la Basilicata.

Giunge alla tappa numero dieci il nostro viaggio tra i musei italiani alla ricerca di animali e luoghi fantastici e la nuova destinazione è la Basilicata. Una regione che pullula di creature fantastiche: draghi, sfingi, chimere, arpie e tanti altri. Partiamo per questo viaggio alla scoperta degli animali fantastici sparsi nei musei lucani ricordando che i musei sono luoghi sicuri da visitare da soli, con la famiglia o con gli amici, sono luoghi adatti a tutte le età, e che il progetto che Finestre sull’Arte propone, in collaborazione con il Ministero della Cultura, vuole essere un modo per scoprire i luoghi della cultura da un punto di vista diverso.

1. Il cavallo alato del fregio del Museo Nazionale di Metaponto

L’animale che compare su questo rilievo in terracotta conservato al Museo Nazionale di Metaponto è un cavallo alato. Anzi: sono due, e stanno trainando una biga sulla quale trova posto un guerriero armato. Si tratta della raffigurazione della partenza di un eroe: secondo gli studiosi Dieter Mertens e Madeleine Mertens-Horn potrebbe trattarsi di un eroe omerico, forse Achille che sta partendo per la guerra di Troia. È una scena che anticamente decorava il santuario situato nella località di San Biagio alla Venella, nel territorio dell’antica Metaponto. In quest’area si trovava un oikos, un piccolo edificio sacro, databile alla fine del VII secolo a.C., che era decorato con un fregio fittile (ovvero in terracotta) continuo, probabilmente collocato sulle pareti del tempietto, oppure usato per rivestire le estremità dei puntoni del tetto. “Questa tipologia di decorazione sulle lastre fittili”, spiega lo studioso Savino Gallo, “inizialmente venne realizzata mediante l’uso di un timbro a rullo. Uno strumento prezioso attribuito ad un artista delle Cicladi, che lo portava con sé da un santuario all’altro”.

Ignoto artista delle Cicladi, Fregio con cavallo alato e partenza dell'eroe (tardo VII secolo a.C.; terracotta; Metaponto, Museo Nazionale)
Ignoto artista delle Cicladi, Fregio con cavallo alato e partenza dell’eroe (tardo VII secolo a.C.; terracotta; Metaponto, Museo Nazionale)

2. Scilla sul rilievo del mosaico del Parco Archeologico di Grumentum

Il mosaico dove compare questo mostro marino, riconosciuto come Scilla, proviene dalle Terme Maggiori di Grumentum: si trattava del principale impianto termale di questa importante città romana della Lucania situata nella Val d’Agri, e i cui resti si trovano oggi vicino all’odierna Grumento Nova. Le Terme Maggiori di Grumentum erano decorate con marmi e ricchi mosaici: quello con il mostro marino decorava il frigidarium, ovvero il luogo dove si facevano bagni freddi. Non era raro che i mosaici termali fossero raffigurati con scene a tema marino: in questo caso vediamo la ninfa Scilla che, secondo la mitologia greca, fu trasformata dalla maga Circe in mostro con il corpo di donna e dodici gambe (sei con teste di cani e sei con teste di serpenti). Circe voleva infatti punire Glauco, che si era innamorato della bellissima Scilla rifiutando lei: sentendosi respinta, si vendicò trasformando la giovane in un orribile mostro. La raffigurazione a tema marino nel frigidarium richiama chiaramente la funzione delle piscine termali.

Arte romana, Mosaico con Scilla (II secolo d.C.; mosaico; Grumento Nova, Parco Archeologico di Grumentum)
Arte romana, Scilla (II secolo d.C.; mosaico; Grumento Nova, Parco Archeologico di Grumentum)

3. Il grifone del Museo Archeologico Nazionale della Basilicata “Dinu Adamasteanu” di Potenza

“Intorno al 560-550 a.C., su un pianoro alle pendici settentrionali dell’altura di Torre di Satriano”, spiega l’archeologa Mara Romaniello, “viene eretta una fastosa residenza che si distingue per impianto monumentale e decorazioni esterne, ma anche per i manufatti di pregio rinvenuti al suo interno. Il passaggio alla sala cerimoniale avveniva attraverso un vestibolo ricolmo di ceramiche, vasellame bronzeo e armi, superando un vano chiuso da una porta in legno di abete”. È da qui che proviene questa splendida protome (un elemento decorativo costituito quasi sempre dalla sola testa) di un grifone alato, in bronzo fuso e databile al VI secolo a.C.: si tratta di un animale dal corpo di leone e la testa di aquila. Narra la leggenda che i grifoni abitavano la regione della Scizia (una vasta area che si estende dall’ovest dell’odierna Ucraina fino all’attuale Kazakistan) ed erano in perenne lotta con il leggendario popolo degli arimaspi (uomini con un solo occhio) per il possesso delle miniere d’oro. L’animale del Museo Nazionale della Basilicata si presenta con grandi occhi a forma di globo, un corno a cilindro con l’estremità superiore ingrossata. È colto mentre apre il becco, mostrando la lingua. Ha anche le orecchie, appuntite. Il grifone è un animale fantastico della mitologia orientale, raffigurato con il corpo di leone e la testa di aquila.

Arte lucana, Grifone (VI secolo a.C.; terracotta; Potenza, Museo Archeologico Nazionale della Basilicata Dinu Adamasteanu)
Arte lucana, Grifone (II secolo d.C.; mosaico; Potenza, Museo Archeologico Nazionale della Basilicata Dinu Adamasteanu)

4. La sfinge del Museo Archeologico Nazionale della Basilicata “Dinu Adamasteanu” di Potenza

La sfinge è uno degli animali più presenti nell’arte antica: secondo la mitologia greca, questo animale fantastico, dalla testa e il seno di donna, il corpo di cane, le ali d’aquila, le zampe di leone e la coda di serpente, era figlio di Echidna e Tifone e abitava su di una rupe in Beozia, lungo la strada che portava a Tebe. I viaggiatori che si avventuravano da quelle parti erano costrette a rispondere a un indovinello, e chi non riusciva a rispondere veniva divorato. L’unico a risolvere l’enigma fu l’eroe Edipo: la sfinge, sconfitta, decise di suicidarsi. Quella esposta al Museo Archeologico Nazionale della Basilicata di Potenza decorava il tetto del sopra menzionato palazzo di Torre di Satriano, uno dei luoghi simbolo della Lucania Antica, ed è databile al VI secolo a.C.: come si conviene per una sfinge che doveva decorare un palazzo sontuoso, è una scultura di grande qualità ed eleganza, che si presenta con un corpo allungato, una corona in capo, i capelli raccolti in tre trecce che cadono sulle spalle, e le ali spiegate come se l’animale fosse in procinto di spiccare il volo.

Arte lucana, Sfinge (VI secolo a.C.; terracotta; Potenza, Museo Archeologico Nazionale della Basilicata Dinu Adamasteanu)
Arte lucana, Sfinge (II secolo d.C.; mosaico; Potenza, Museo Archeologico Nazionale della Basilicata Dinu Adamasteanu)

5. La chimera del Museo Archeologico Nazionale del Melfese “Massimo Pallottino”

La chimera era un mostruoso animale della mitologia greca, romana ed etrusca che aveva il muso e il corpo di leone, una testa di capra e la coda a forma di serpente, ed era in grado di sputare fiamme. Anche lei, come la sfinge e come altri mostri (come l’Idra di Lerna e Cerbero) era figlia di Tifone ed Echidna. Terrorizzava gli abitanti della Licia e secondo il mito fu sconfitta dall’eroe Bellerofonte. Quella del Museo Archeologico Nazionale del Melfese, risalente al VI secolo a.C., decorava uno scudo trovato nella tomba B della necropoli di Chiuchiari, nei pressi di Melfi, individuata verso la metà degli anni Cinquanta nell’ambito di alcuni lavori di edilizia popolare ai margini del centro storico della città lucana. “Il corredo della tomba B, riferibile ad un individuo di sesso maschile”, spiega l’archeologa Erminia Lapadula, “è composto da vasellame in ceramica e metallico, da armi e strumenti. La presenza delle ruote in ferro di un carro suggerisce l’elevato status sociale del defunto all’interno del gruppo di appartenenza”. Alle armi di difesa appartiene anche l’emblema in bronzo raffigurante una chimera. “La lamina, lavorata a sbalzo”, sottolinea Lapadula, “è stata identificata come un episema, una decorazione applicata al centro dello scudo. Il recente intervento di restauro (2021) ha permesso di effettuare un’analisi approfondita e attenta del manufatto che apre a nuove ipotesi interpretative in corso di valutazione”.

Arte lucana, Episema con chimera (VI secolo a.C.; bronzo; Melfi, Museo Archeologico Nazionale del Melfese Massimo Pallottino)Arte lucana, Episema con chimera (VI secolo a.C.; bronzo; Melfi, Museo Archeologico Nazionale del Melfese Massimo Pallottino)

6. I mostri marini delle terme del Parco Archeologico di Venosa

Come detto sopra, i mosaici delle terme erano spesso decorati con animali fantastici che popolavano i mari secondo la mitologia greco-romana, e le terme di Venosa, la città natale del grande poeta Orazio, non fanno eccezione. Nel Parco Archeologico della città lucana si trovano i resti di un impianto termale del I-II secolo d.C., e il grande pavimento musivo che decora il frigidarium risale però a una ristrutturazione più tarda. “Il mosaico, che rappresenta uno degli elementi più iconici del sito”, spiega Rosanna Calabrese, “è caratterizzato da un’articolata bordura geometrica e da un pannello figurato a soggetto marino. Tra fitte onde sono rappresentati sia animali reali, come pesciolini, delfini, una biscia e una murena, che quattro mostri marini con ampie code a voluta e tricuspidate. Il riquadro centrale verso cui convergono tutti gli animali reali e fantastici, oggi perduto, raffigurava la dea del mare Teti, emergente dai flutti, con il timone, simbolo del potere marino, appoggiato sulla spalla destra”.

Arte romana, Mostri marini (II secolo d.C.; mosaico; Venosa, Parco Archeologico)
Arte romana, Mostri marini (II secolo d.C.; mosaico; Venosa, Parco Archeologico)

7. I draghi dell’hydria del Museo Archeologico Nazionale della Siritide di Policoro

Si identifica con il termine hydria un vaso che presso gli antichi greci serviva soprattutto per trasportare acqua. Al Museo Archeologico Nazionale della Siritide se ne conserva una a figure rosse che faceva parte del corredo funerario della Tomba del Pittore di Policoro (del V secolo a.C.), dove è raffigurato l’epilogo della Medea di Euripide, che era stata rappresentata per la prima volta ad Atene nel 431 a.C.: la donna è al centro, colta mentre fugge dopo aver ucciso i figli per vendicarsi del marito Giasone, reo di averla ripudiata per sposare Glauce, figlia di Creonte, re di Corinto. Medea, dopo aver procurato una morte atroce a Glauce e Creonte per mezzo dei suoi sortilegi, decide, sebbene lacerata dal dolore, di uccidere i figli avuti da Giasone per privarlo di una discendenza. Nell’hydria del Museo della Siritide, Medea è raffigurata sul carro magico, trainato da due draghi, che le è stato messo a disposizione dal dio del sole, Helios, suo nonno paterno. I due serpenti hanno il corpo coperto di scaglie, il dorso maculato, la cresta fiammeggiante e spingono il carro dando vita a sinuosi movimenti con i loro corpi. “Medea, facendo ricorso alle proprie arti magiche”, evidenzia lo studioso Savino Gallo, “effettua un’atroce vendetta colpendo Giasone nei suoi affetti, ma inaspettatamente si sottrae al giudizio grazie all’appoggio di Helios, e apparendo così come figura soprannaturale e tremenda, librandosi in volo grazie ai suoi spaventosi draghi”.

Arte greca, Medea sul carro (V secolo a.C.; ceramica a figure rosse; Policoro, Museo Archeologico Nazionale della Siritide)
Arte greca, Medea sul carro (V secolo a.C.; ceramica a figure rosse; Policoro, Museo Archeologico Nazionale della Siritide)

8. Eros e Scilla nel rython del Museo Archeologico Nazionale di Matera

Un rython era una sorta di calice, solitamente a forma di corno, che si utilizzava per bere oppure per versare bevande in occasioni di libagioni. Spesso potevano essere sagomati e molto elaborati, come nel caso di questo rython conservato al Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola” di Matera, parte del Museo Nazionale di Matera. Sul corpo del rython vediamo una figura alata seduta su di un capitello ionico, con la testa di profilo e il corpo girato di tre quarti verso sinistra (probabilmente Eros: lo vediamo peraltro reggere nella mano sinistra una collana con un pendente bianco, e indossare orecchini, un filo di perle, armille doppie agli avambracci e alla gamba sinistra), mentre alla base ecco comparire la mostruosa Scilla. “Questo particolare rython appartiene alla Collezione Rizzon, fra le collezioni archeologiche private più importanti per l’omogeneità degli oggetti e per il notevole valore intrinseco degli stessi”, spiega l’archeologa Adriana Sciacovelli. La collezione è entrata a far parte del patrimonio statale nel 1990, a seguito di una compravendita con la quale lo Stato si assicurò settantaquattro vasi italioti, sia apuli sia lucani, destinandoli al Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola”.

Arte apula, Rython dal Gruppo del Negro (330-320 a.C.; ceramica a figure rosse; Matera, Museo Nazionale di Matera, Museo Archeologico)
Arte apula, Rython dal Gruppo del Negro (330-320 a.C.; ceramica a figure rosse; Matera, Museo Nazionale di Matera, Museo Archeologico)

9. Il mostro marino del Perseo che libera Andromeda di Girolamo Cenatiempo al Museo Nazionale di Matera

La storia di Perseo e Andromeda è una delle più note della mitologia greca: Andromeda, figlia di Cefeo re di Etiopia e della regina Cassiopea, era stata legata a una rupe sul mare dal dio Poseidone, intenzionato a punire la madre Cassiopea per aver osato dire che la bellezza di Andromeda era superiore a quella di tutte le Nereidi, le ninfe del mare. Il dio del mare, adirato, decise di farla divorare da Cetus, un terribile mostro marino. A salvare la fanciulla intervenne però l’eroe Perseo, giunto a liberarla dal mostro in groppa al cavallo alato Pegaso. In questo elegante olio su vetro settecentesco del pittore partenopeo Girolamo Cenatiempo (documentato a Napoli dal 1705 al 1742), Andromeda è la grande protagonista, e col suo bellissimo corpo nudo occupa quasi tutta la composizione. Il mostro è sulla sinistra, rappresentato come un grande pesce dai denti aguzzi, verso il quale si sta dirigendo Perseo a cavallo di Pegaso per sconfiggerlo. “L’opera”, spiega la storica dell’arte Mariagrazia Di Pede, “fa parte di una serie di dieci piccoli dipinti ad olio su vetro che raccontano, con tono vagamente erotico, amori divini e umani e storie mitologiche”. E in questo caso Cenatiempo si lasciò ispirare dalle Metamorfosi di Ovidio: “scrosciarono le onde e apparve un mostro, che avanzando si ergeva sull’immensità del mare e col petto ne copriva un largo tratto. Ed ecco che come una nave, spinta dal sudore di giovani braccia, col rostro proteso solca rapida il mare, il mostro, fendendo i marosi con l’impeto del suo petto, ormai non distava dallo scoglio più dello spazio che un proiettile, scagliato dal vortice di una fionda, può percorrere nel cielo”.

Girolamo Cenatiempo, Perseo libera Andromeda (fine del primo decenniod el XVIII secolo; olio su vetro, 22,1 x 39,6 cm; Museo Nazionale di Matera, Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata in Palazzo Lanfranchi, Collezione Camillo d'Errico di Palazzo San Gervasio)
Girolamo Cenatiempo, Perseo libera Andromeda (fine del primo decenniod el XVIII secolo; olio su vetro, 22,1 x 39,6 cm; Matera, Museo Nazionale di Matera, Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata in Palazzo Lanfranchi, Collezione Camillo d’Errico di Palazzo San Gervasio)

10. Le arpie scacciate da Calai e Zete nel dipinto della bottega di Alessandro Fischetti al Museo Nazionale di Matera

Il mito racconta che Calai e Zete erano due fratelli gemelli alati, figli di Borea e Orizia, e si unirono a Giasone nella missione degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro nella Colchide. Quando gli Argonauti giunsero a Salmidesso, Giasone chiese al re della città, Fineo, il destino della spedizione. Fineo però disse a Giasone che avrebbe risposto solo se qualcuno lo avesse liberato dalle arpie, che da tempo lo tormentavano. Le arpie erano animali con il volto di donna e il corpo di uccello rapace, che perseguitavano Fineo impedendogli di mangiare. Proprio Calai e Zete combatterono con le arpie riuscendo infine ad avere la meglio e a cacciarle sulle isole Elote. Nella scena, dipinta dalla bottega di Alessandro Fischetti (Napoli, 1773 - 1802) e proveniente da Palazzo Malvezzi a Matera, vediamo i due gemelli alati impegnati in una furibonda lotta con gli animali mostruosi, mentre il re Fineo (con la corona), il capo della spedizione Giasone e l’eroe Peleo (un altro dei partecipanti alla spedizione) assistono con un certo sgomento. Da sotto la tavola (le arpie infatti impedivano a Fineo di mangiare) spunta un cane, che guarda il tutto con curiosità.

Alessandro Fischetti (bottega di), Calai e Zete scacciano le arpie (1796; olio su tela; Matera, Museo Nazionale di Matera, Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata in Palazzo Lanfranchi)
Alessandro Fischetti (bottega di), Calai e Zete scacciano le arpie (1796; olio su tela; Matera, Museo Nazionale di Matera, Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata in Palazzo Lanfranchi)

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