Se dici “Anghiari”, immancabilmente pensi a due cose: la battaglia del 1440, e Leonardo da Vinci. E le due cose sono collegate, dal momento che il grande genio del Rinascimento avrebbe dovuto dipingere la battaglia di Anghiari sulla superficie di una delle pareti di quello che è oggi il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio: come è noto, per difficoltà tecniche (il colore cominciò a colare, forse per incompatibilità con l’intonaco come desumiamo da Paolo Giovio, e rovinò irrimediabilmente la pittura murale), Leonardo non riuscì a portare a termine il suo lavoro, lo abbandonò, e diversi anni dopo, quando Firenze trovò sotto i Medici la sua stabilità politica, le pareti furono affrescate da Giorgio Vasari con scene di vittoriose battaglie dei fiorentini. Oggi, il momento della battaglia di Anghiari dipinto da Leonardo è noto solo attraverso le copie, come la famosissima Tavola Doria.
Anche ad Anghiari i fiorentini vinsero: fu contro i milanesi, che in quegli anni stavano portando avanti un’aggressiva politica espansionistica che rischiava di danneggiare seriamente Firenze. Gli eserciti, entrati a contatto nei pressi del borgo, si scontrarono in una battaglia relativamente breve, vinta dai fiorentini, che furono in grado di riportare un successo decisivo per fermare le mire milanesi in Toscana e aree limitrofe.
Queste vicende (incluse quelle del murale di Leonardo) sono oggi ricordate nel Museo della Battaglia di Anghiari, ospitato nel Palazzo del Marzocco: raccoglie reperti, armi antiche, disegni, stampe, riproduzioni della perduta opera di Leonardo, e dallo scorso anno anche una significativa opera di Emilio Isgrò, Pacem in terris, realizzata per le celebrazioni del cinquecentenario leonardiano, un unicum nella produzione dell’artista, dal momento che qui Isgrò ha introdotto il motivo delle api, che hanno il compito di succhiare il polline dalle parole che l’artista nasconde con le sue tipiche cancellature.
Veduta di Anghiari |
Francesco Morandini detto il Poppi (?), Tavola Doria (1563?; olio su tavola, 86 x 115 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi) |
Il Museo della Battaglia di Anghiari |
Emilio Isgrò, Pacem in terris (2019; tecnica mista su tela, 140 x 200 cm) |
Una via di Anghiari |
Dirimpetto al Museo della Battaglia, sta l’altro museo del paese, il Museo di Palazzo Taglieschi, interamente votato all’arte: pochi lo sanno, ma qui si conserva un capolavoro del 1420 di Jacopo della Quercia, una raffinata Madonna col Bambino che figura tra le più interessanti sculture che si possono ammirare nella Valtiberina (senza nulla togliere alla coloratissima Natività di Andrea della Robbia, esposta poco distante). E poi, una ricca selezione del Seicento fiorentino, con molti dei suoi principali protagonisti: Jacopo Vignali, Matteo Rosselli, Giovanni Battista Ghidoni. C’è anche un po’ di Cinquecento, con Giovanni Antonio Sogliani, che ritroviamo con ben due tavole anche nella chiesa delle Grazie, che accoglie anche un paio d’opere del Puligo e una grande terracotta invetriata di Andrea della Robbia.
Si dice che gli anghiaresi abbiano un carattere forte: del resto, basta vedere com’è fatto il borgo per comprendere il perché, e anche per capire come mai fosse così strategico nel Rinascimento, quand’era, peraltro, terra di confine. Anghiari è arroccata su di una collina, vede tutto dall’alto, aggrappata com’è ai suoi possenti bastioni che ancor oggi in parte sopravvivono: anche alla distanza si riconoscono le sagome degli edifici che più caratterizzano il suo skyline, ovvero la svettante Torre del Campano, duecentesca ma ricostruita nel Cinquecento dopo che Vitellozzo Vitelli la distrusse nel 1502, l’imponente Rocca, che ha avuto la bizzarra sorte d’esser stata prima fortezza eretta per scopi difensivi, e poi monastero di monaci camaldolesi (tanto che è nota anche come “il Conventone”), e il campanile della chiesa di Sant’Agostino, la più grande del paese.
Eppure, non si direbbe che un borgo così austero a vederlo da lontano e nel paesaggio, serbi al suo interno anche un’anima gentile. Ci sono fiori dappertutto, giardinetti curati, accoglienti botteghe d’artigianato. E arte ovunque, naturalmente. Anche per strada: sostando in piazza del Popolo davanti al severo Palazzo Pretorio, con in facciata la tipica miriade di stemmi dei vicari del governo fiorentino che amministrarono il borgo, si noterà un affresco a decorare una nicchia: è una quattrocentesca Madonna col Bambino e Santi. All’interno, si trova invece, sempre affrescata, un’allegoria della giustizia del XV secolo, della quale non conosciamo l’autore, ma è probabile che sia opera di Antonio di Anghiari, noto soprattutto in quanto primo maestro di Piero della Francesca, nativo di queste zone (era di Sansepolcro). La chiesa di Sant’Agostino, di cui s’è detto sopra, potrebbe essere eletta a icastico simbolo del borgo intero e della sua capacità di sorprendere: la facciata, quattrocentesca, è spoglia, sobria, decorata solo con un tranquillo portale e con un piccolo oculo. Ma all’interno ecco aprirsi i fasti barocchi, con le decorazioni del XVIII secolo che cambiano completamente il volto dell’edificio e l’immagine che ce ne eravamo fatti all’esterno.
Il Museo di Palazzo Taglieschi |
Jacopo della Quercia, Madonna col Bambino (1420; scultura lignea policroma, 150 x 67 x 55 cm; Anghiari, Museo di Palazzo Taglieschi). Ph. Credit Francesco Bini |
Il Palazzo Pretorio |
Antonio di Anghiari (?), Allegoria della Giustizia (1460 circa; affresco; Anghiari, Palazzo Pretorio) |
La chiesa di Santo Stefano |
È da rimarcare il fatto che chi cerca la convivialità toscana non possa fare a meno di Anghiari: se esistesse una classifica che rapporta il numero degli abitanti d’una città alla quantità d’eventi che vi si tengono, allora Anghiari forse sarebbe tra i primi posti in regione. La tradizionale festa di San Martino, l’Anghiari Music Festival, il Palio che ogni anno si tiene il 29 giugno in commemorazione della vittoria nella battaglia (la prima edizione fu appena l’anno dopo, il 1441, e il palio durò fino al 1827: dopo quasi duecento anni di pausa, è ricominciato dal 2003), e la celeberrima “Tovaglia a quadri”, la particolarissima cena in piazza degli abitanti del paese, una sorta di simbolo del modo d’intendere la vita che hanno i toscani: alcuni tra i tanti modi che gli abitanti hanno per far festa.
Poi, finiti i bagordi, scendendo dal borgo non ci si potrà non fermare alla chiesa di Santo Stefano, antichissima: è una delle rare chiese del VII-VIII secolo che esistano ancora oggi in Toscana, un edificio dunque vecchio di mille e trecento anni, tanto che neppure sappiamo chi l’abbia fondata, forse i monaci di San Colombano all’epoca dei longobardi. Pare che di fronte ce ne fosse un’altra riservata al culto ariano, e la chiesa di Santo Stefano potrebbe esser stata lì costruita quasi a porre un fermo agli eretici. Già all’epoca, insomma, ad Anghiari si combattevano battaglie.
Articolo scritto dalla redazione di Finestre sull’Arte per la campagna “Toscana da scoprire” di UnicoopFirenze
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