Nel 580 a.C., coloni provenienti da Gela e Rodi, fondarono Akragas, l’odierna Agrigento, su un altopiano non distante dal mare e che si prestava facilmente alla costruzione di una città. Al tempo del tiranno Terone, tra il 448 e il 473 a.C., la città assistette a una notevole espansione. Purtroppo, però, nel 406 a.C. lo splendore della città vide la sua fine a causa dell’assedio da parte dei cartaginesi, periodo dal quale inizia un’ inesorabile fase di decadenza, fino al dominio romano nel 263 a.C. che la renderà un importantissimo centro della Sicilia. Nei secoli successivi fu invasa e riedificata dagli Arabi, a partire da dove oggi si ammira il famoso centro storico con le sue piccole viuzze e cortili convergenti verso via Atenea. Tutto questo è Agrigento: una storia millenaria, una città stratificata, un paesaggio culturale unico in Italia, una ricchezza con pochi eguali nel mondo. Motivi che hanno concorso alla nomina di Capitale Italiana della Cultura del 2025. Agrigento è una città da scoprire in ogni traccia che il suo lungo passato le ha lasciato: ecco i dieci luoghi da non perdere durante la vostra visita alla città.
Seguendo le vicende storiche a cui è fittamente legata la città di Agrigento, non si potrà evitare di perdersi, con fanciullesco entusiasmo, nella Valle dei Templi, il parco archeologico più grande del mondo e sito UNESCO del 1997. Purtroppo, una buona parte dell’impianto urbano si trova ancora nascosto sotto gli uliveti e gli estesissimi campi che circondano la zona, ma attualmente l’area si estende per ben 1300 ettari e sono numerosissime le scoperte che si possono fare lungo il percorso. Partendo dalla Rupe di Atenea, per esempio, non solo si godrà di una vista sul sito archeologico dall’alto, ma si potrà apprezzare il tempio di Demetra inglobato nella chiesetta di San Biagio. Il tempio era rivolto verso il tramonto della luna piena e questa era una posizione estremamente anomala rispetto a quella utilizzata solitamente per gli altri templi greci, che venivano orientati verso est. Le pagine della mitologia suggeriscono come questo possa essere attribuito a un rito religioso, che mirava a celebrare il ricongiungimento di Persefone con la madre dopo i sei mesi passati in compagnia del suo rapitore Ade.
Lo storico greco Diodoro Siculo narrava di come, nel 480 a.C. il tiranno Terone, al fine di portare l’acqua nella città di Akragas, fece progettare una fitta rete di gallerie che confluiva in una grande vasca detta Kolymbetra “del perimetro di sette stadui”. Essa venne adattata ben presto a vivaio di pesci e trasformò l’inospitale e arida terra siciliana in un rigogliosissimo giardino di piante tipiche mediterranee, fondendo armoniosamente natura e storia. Nei secoli successivi la vasca venne interrata e passò alla Chiesa che introdusse gli agrumi, ma il periodo di massimo splendore fu tra il XIX e XX secolo, quando divenne una delle tappe più agognate e importanti del Grand Tour. La Kolymbethra, dopo essere stata abbandonata dagli anni Ottanta, oggi è tornata ad essere un esempio di salvaguardia del paesaggio siciliano, nel quale frutti e fiori si succedono ininterrottamente allo scandirsi delle stagioni.
Intitolato alla memoria di Pietro Griffo, archeologo e Soprintendente ad Agrigento dal 1941 al 1968, il Museo Archeologico Regionale è uno dei più importanti e visitati in Sicilia. Sorge, in parte, all’interno dell’abbazia cistercense di San Nicola che possiede un significato estremamente simbolico in quanto, in età classica, era il centro dell’arte pubblica della città di Agrigento. L’esposizione permanente è articolata in 18 sale e la collezione più sontuosa è quella data dai reperti rinvenuti dalla Soprintendenza proprio ad Agrigento intorno agli anni Quaranta. Il museo è organizzato e suddiviso in due distinti percorsi di visita e, mentre seguendo il primo si possono scoprire reperti provenienti da Akrágas ad Agrigentum, nel secondo si trovano i reperti provenienti dai territori di Agrigento, Enna e Caltanissetta.
Dopo aver girovagato alla scoperta del Museo Archeologico, non potrà mancare una piccola tappa alla Chiesa di San Nicola costruita nel XIII secolo in stile normanno gotico. Lo storico Rocco Pirri ritrovò un documento in merito alla costruzione della chiesa che illustra come nel 1181 esistesse la contrada intitolata a San Nicola, mentre un secondo atto ne riporta la donazione nel gennaio 1219 da Ursone, vescovo della comunità cistercense di santa Maria in Andrano che, accanto, vi fece edificare un cenobio. La chiesa, a navata unica, è sormontata da una volta a ogiva e il tutto risulta estremamente rustico e semplice proprio in rispetto di quel forte desiderio di maggiore austerità tipico dell’ordine cisterciense. Oltrepassando la magniloquente porta di legno realizzata nel 1531, si scopre una spazio interno che sul lato destro custodisce quattro piccole cappelle, affrescate dal pittore Innocenzo Mascarella nel 1575, che garantivano ai monaci dei pacifici momenti di preghiera in solitudine.
Nel 1867 la famiglia di Luigi Pirandello, premio Nobel per la letteratura del 1934, decise di rifugiarsi in una costruzione rurale di fine Settecento che sorgeva su un altopiano a strapiombo sul mare per cercare, in tutti i modi possibili, di sfuggire alla devastante epidemia di colera che imperversava in Sicilia. La casa natale del famoso scrittore venne poi danneggiata nel 1944 a causa dello scoppio di un deposito di munizioni lì vicino, ma nel 1952 venne acquistata dalla Regione Sicilia e restaurata. Le stanze oggi ospitano una collezione vastissima di fotografie, recensioni, onorificenze, prime edizioni di libri e tele dedicate allo scrittore e drammaturgo siciliano e dal 1987 tra le sue mura è custodita anche la Biblioteca Luigi Pirandello. Inoltre, in un vialetto vicino casa è ospitata l’urna creata tramite un cippo di pietra dallo scultore Marino Mazzacurati seguendo, quasi alla lettera le ultime volontà di Pirandello che scrisse: “sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti dove nacqui”.
Vagando quasi senza meta nel centro storico di Agrigento si possono incontrare numerosi luoghi in cui vale la pena immergersi, tra cui il monastero “Beata Maria Virginis et Sancti Spiritus” che venne fondato nel 1299 dalla marchesa Rosalia Prefoglio e donato alle monache benedettine dell’ordine cistercense sul finire della sua vita. Il monastero venne costruito con materiali locali come la pietra calcarea in arenaria e malta bastarda ottenuta con calce e cemento. Il portale gotico con rosone nasconde una chiesa a navata unica con soffitto a cassettoni e, dietro l’altare maggiore, sono custoditi il coro e la cappella di Giovanni Chiaramonte che presentano opere della scuola di Antonello Gagini, un famoso scultore ticinese che operò soprattutto in Sicilia.
La passeggiata potrebbe poi proseguire alla scoperta della chiesa di Santa Maria dei Greci e del Palazzo Vescovile. La prima, detta dei Greci perché durante la dominazione bizantina fu cattedrale greco-ortodossa, si presenta come una complessa struttura architettonica poiché è frutto di ben nove secoli di costruzione e rifacimenti. Secondo gli studiosi, inoltre, l’edificio sorgerebbe sull’area del tempio di Giove Atabirio o Polieo che, insieme a quello di Hatena inglobato dalla chiesa, dominava l’antica polis. Accanto alla Cattedrale sorge il settecentesco Palazzo Vescovile che si annovera tra le architetture civili meglio conservate della città. Il palazzo originario era stato costruito nell’ XI secolo, ma venne fortemente danneggiato nel 1693 e, di conseguenza, ricostruito su disegno dell’architetto Domenico Dolcemascolo di Sciacca con un particolare portale d’ingresso delimitato da due colonne utilizzate come piedistallo per il balcone al piano superiore a sua volta arricchito da un timpano triangolare aperto al centro e contenente lo stemma del 76° vescovo di Agrigento Andrea Lucchesi.
Sempre nel centro storico di Agrigento, salendo da piazza del Purgatorio con l’omonima chiesa dedicata alle anime penitenti, ci si può felicemente imbattere in un museo a cielo aperto con murales e disegni coloratissimi sulle saracinesche, sulle scale e sui muri della via. La Via dell’Arte esiste grazie soprattutto all’associazione onlus Culturart, che ha permesso agli artisti di esprimere la propria visione dell’arte e del mondo, ma soprattutto di riqualificare strade e spazi abbandonati. E passeggiando tra i fantasiosi ed estremamente espressivi dipinti che sembrano catturare tutta l’energia tipica della città, si giunge alla famosa scalinata degli artisti, in fondo a via Atenea. Proprio qui, ogni estate, si radunano artisti emergenti e vengono organizzate moltissime iniziative per renderla ogni anno più originale e colorata.
La Scala dei Turchi deve il suo nome ai pirati Saraceni che venivano impropriamente chiamati “Turchi” dalle popolazioni locali e che erano soliti saccheggiare i villaggi della costa agevolati proprio dalla particolare parete a gradoni poco controllata, che rendeva l’accesso ai villaggi estremamente comodo. La spettacolare Scala è costituita da una roccia sedimentaria di natura argillosa e calcarea e dal panoramico promontorio si scorge la “Rocca della Gucciarda” conosciuta anche come “u zitu e a zita” (ovvero “il fidanzato e la fidanzata”) in onore di una sfortunatissima coppia che, in vita, non riuscì a convolare a nozze. La Scala dei Turchi ha però ispirato anche tantissimi scrittori come Andrea Camilleri che la descrive in modo struggente nel libro “la prima indagine di Montalbano”, in cui il commissario rimane “strurduto” dinanzi a tale bellezza.
La costruzione dell’antica città di Eraclea Minoa, nei pressi di Agrigento, affonda le sue origini nel mito della spedizione di Minosse, alla ricerca di Dedalo, in Sicilia. Lo storico siceliota Diodoro raccontò la tragica fine del re cretese per mano del signore dei Sicani, Kokalos, dal quale si rifugiò Dedalo e da qui nacque la città di Minoa, che venne fondata proprio dai compagni di Minosse in fuga. Secondo il racconto di Erodoto, invece, il nome di “Eraclea” venne imposto in onore dell’unico superstite della spedizione alla fine del VI secolo a.C, lo spartano Eracle da Eurileonte. La città passò ben presto sotto il controllo di Akragas e successivamente fu contesa per lungo tempo tra greci e cartaginesi fino a quando, nel III secolo a.C., non divenne colonia romana poi abbandonata due secoli più tardi. Oggi è ancora possibile passeggiare tre le sue fondamenta e scoprire, per esempio, il teatro del IV secolo a.C rivolto verso il mare oppure ancora, i resti di un santuario dedicato a una divinità femminile sul terrazzo sommitale.
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