La caccia alle streghe ha segnato un periodo oscuro in Europa tra il XVI e il XVII secolo, durante il quale migliaia di persone, principalmente donne, furono perseguitate e giustiziate per presunti legami con la stregoneria e il demonio. Questo clima di terrore e superstizione era alimentato dalla credenza diffusa che le streghe possedessero poteri maligni e praticassero arti oscure attraverso patti con il diavolo. L’interesse per la magia e la ricerca di mezzi per perseguirla crebbero rapidamente dal XIII secolo, ma fu verso la fine del Quattrocento che la caccia alle streghe si diffuse in Europa, con caratteristiche diverse a seconda dei paesi. In Italia, ad esempio, il recupero della cultura classica portò alla rievocazione di creature femminili come le lamiae e le striges, credute capaci di succhiare il sangue e assumere sembianze di uccelli. Gli elementi recuperati includevano metamorfosi tramite unguenti magici, volo notturno e omicidi connessi al vampirismo. Le accuse contro le streghe includevano anche la capacità di causare malattie, carestie, calamità naturali e altri mali, oltre alla pratica di incantesimi e malefici contro le persone e il bestiame. Le persecuzioni si basavano spesso su testimonianze infondate, confessioni estorte sotto tortura e credenze popolari radicate nell’ignoranza e nella paura collettiva. In Italia, così come in altri paesi europei, la caccia alle streghe si verificò in diverse regioni, con processi e condanne che si svolsero in contesti storici e sociali vari. Ecco cinque dei luoghi più significativi dove si è consumata la caccia alle streghe.
Nella provincia di Imperia, Liguria, a breve distanza da Arma di Taggia, sorge il suggestivo borgo di Triora, incastonato nella Valle Argentina. Rinomato per la sua bellezza e la storia intensa, Triora offre paesaggi affascinanti e variegati. Nel XVI secolo, Triora fu teatro del più grande processo di stregoneria alla fine del Cinquecento, tanto brutale da guadagnarsi il soprannome di Salem d’Italia. Nel 1585, durante la dominazione della repubblica di Genova, Triora affrontò una grave carestia, la popolazione stremata iniziò a sospettare che alcune donne del quartiere più povero, Cabotina, fossero legate al demonio e colpevoli di crimini orribili, attribuendo loro la responsabilità della crisi economica. Trentacinque donne furono accusate di stregoneria; diciannove, insieme a un uomo, furono imprigionate a Genova. I documenti dei processi e gli interrogatori sono oggi conservati nell’Archivio di Stato di Genova. Il fascino di questa storia, tra realtà e fantasia, persiste tra gli stretti vicoli del Borgo e presso il Museo Etnografico e della Stregoneria di Triora. In memoria di questi eventi, ogni anno, la prima domenica dopo Ferragosto, Triora celebra la festa di Strigora, dedicata alla stregoneria, rievocando un capitolo oscuro ma affascinante della sua storia.
Nel cuore della Campania, a Benevento, la persecuzione delle streghe ha radici profonde. L’Inquisizione, guidata dalla pubblicazione nel 1486 del Malleus Maleficarum, organizzò una caccia alle streghe, conosciute localmente come janare, probabilmente per il loro legame al culto di Diana o a divinità sannitiche e greche come Cibele. La fama delle streghe di Benevento, enfatizzata dal libro De nuce maga beneventana di Pietro Piperno del 1647, potrebbe derivare dai riti pagani dei longobardi lungo il fiume Sabato: donne danzavano attorno a un noce con serpenti, mentre guerrieri a cavallo svolgevano rituali su una pelle di caprone. Nonostante la conversione al Cristianesimo, i longobardi mantennero riti legati a Iside, considerando gli alberi e i corsi d’acqua sacri. Lungo il fiume Sabato inoltre, le donne raccoglievano erbe medicamentose e piante allucinogene. Questi riti, visti come demoniaci dai beneventani cattolici, furono interpretati come sabba stregoneschi. La prima testimonianza completa delle Streghe di Benevento risale al processo di Matteuccia di Francesco da Todi nel 1428, condannata come “donna di pessima condizione, vita e fama, pubblica incantatrice, fattucchiera, maliarda e strega”.
Il massiccio dello Sciliar è avvolto da miti e leggende antiche. Nel Medioevo, veniva considerato un luogo d’incontro per streghe e demoni. Nel primo decennio del XVI secolo, Castel Presule, allora sede del tribunale di Fié, fu teatro di una caccia alle streghe, durante la quale dieci donne furono accusate di praticare la magia e la stregoneria e arse sul rogo. Il processo del 1506 si svolse a Castel Presule, con nove donne condannate per stregoneria. Un secondo processo seguì nel 1510. Gli atti processuali, oggi conservati al Museo Nazionale di Innsbruck, riportano testimonianze surreali di donne che volavano sullo Sciliar di notte su una scopa. Uno studio ha poi suggerito che gli alimenti dell’epoca, specialmente il pane, contenessero semi allucinogeni, ma ciò non spiega interamente l’ostilità verso le persone emarginate, giustiziate su prove discutibili e superstizioni. Per commemorare quelle morti per mano dell’Inquisizione, il Comune di Fiè allo Sciliar ha eretto una stele commemorativa all’ingresso del Castello, affinché le generazioni future imparino dalla tragedia dell’ignoranza e della superstizione, e si oppongano a ogni forma di intolleranza ed emarginazione.
Nella località di Rifreddo, in provincia di Cuneo, si tramandano leggende popolari su donne dai poteri sovrannaturali e che in passato hanno spaventato la comunità locale, chiamate masche. I processi alle streghe nella località di Riffredo iniziano il 4 ottobre 1495, quando il magister Vito dei Beggiami, frate dell’ordine dei Frati Predicatori di Savigliano e teologo, avvia azioni legali contro la “setta delle masche” di Rifreddo e Gambasca. Quell’anno, Rifreddo fu teatro di violente persecuzioni contro le presunte streghe, con processi a tre donne locali accusate di eresia e stregoneria: Caterina Bonivarda, Caterina Borrella e Giovanna Motossa. I documenti storici dei processi alle streghe, trovati negli archivi comunali, sono stati recentemente studiati dai Professori Comba, Grado Merlo e Nicolini, che hanno pubblicato il volume Lucea talvolta la luna. I processi alle masche di Rifreddo e Gambasca del 1495, con il sostegno del Comune di Rifreddo e della Provincia di Cuneo. Annualmente, a fine ottobre, il paese celebra Le notti delle streghe, un evento che valorizza il patrimonio culturale locale, con partenze dall’antico Monastero di Santa Maria della Stella e escursioni fino al suggestivo massiccio del Mombracco, che in autunno mostra tutto il suo fascino.
In passato la Valcamonica, situata tra le province di Bergamo e Brescia, si affermò come la dimora perfetta per le streghe per una serie di motivazioni: l’isolamento dei villaggi tra le fitte foreste, la persistenza di antichi culti, per l’ignoranza che alimentava credenze nell’occulto, e per il passo del Tonale che durante i temporali, divenne il luogo ideale per il sabba, dove streghe e stregoni, forse influenzati da piante allucinogene locali, si riunivano intorno al fuoco. Cinquecento anni fa, tra il 1518 e il 1521, la Valcamonica, fu teatro di una delle più grandi persecuzioni dell’età moderna contro donne accusate di stregoneria. In pochi anni, tra 62 e 80 streghe furono condannate al rogo con accuse che spaziavano dall’invocare la siccità all’indurre malattie a uomini e bestiame attraverso sortilegi. La diffusione dei processi alle streghe in Valcamonica è probabilmente legata alle radici delle credenze pagane, in particolare romane, che avevano presa sulla valle. Diversi processi furono condotti in Valcamonica, la cui prima esecuzione di streghe registrata risale al 1455, seguita da altri nel 1510-12, 1516-17 e 1518-21. L’eccesso di processi portò il papa Leone X, il 15 febbraio 1521, a chiedere l’intervento dei vescovi del Veneto. Tre figure di spicco, tra cui Agnese “capitana delle fattucchiere” e messer Pasino “cancelliere del Tonale”, furono condannate a morte insieme a un anonimo corriere. Nel 1521, la Repubblica Veneta, il 31 luglio, impose il blocco dell’inquisizione nella valle. Oggi, una targa sulla Torre Federici a Sonico, Brescia, commemora quegli eventi violenti, simbolo di un passato oscuro che invita alla riflessione sulla tolleranza e contro l’ingiustizia.
L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia
Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.