Alle sette in punto della sera arriviamo nel nostro hotel a Stezzano, dopo aver girato a vuoto per almeno tre quarti d’ora nella periferia di Bergamo. Il navigatore si è scaricato sul più bello, e le amministrazioni comunali dei paesi limitrofi hanno ben pensato di non mostrare indicazioni per Stezzano, ma di inserire sulla statale degli utilissimi cartelli che indicano la via per "Berghem" in dialetto. Ovviamente sotto al cartello in italiano. Dopo aver inveito a più riprese contro chi ha avuto la bella idea di mettere cartelli in dialetto invece di cartelli per Stezzano, arriviamo a Dalmine e optiamo per il metodo più sicuro e più antico: chiedere indicazioni agli autoctoni. Dopo averne fermati un paio, in due minuti di orologio siamo a Stezzano. In hotel ricarichiamo il navigatore, e ci accorgiamo che con la nostra auto abbiamo descritto, da Zanica a Dalmine passando per Orio al Serio, un fantastico semicerchio nella piana bergamasca, evitando accuratamente di toccare la nostra meta... quando si dice l’intuito e la fortuna.
Alla reception dell’hotel, ovviamente omettendo il fatto che siamo riusciti a perderci in un’area di neanche cinque chilometri quadrati, chiediamo indicazioni per un ristorante qualunque, a patto che abbia due caratteristiche: che sia facilmente raggiungibile e che offra una buona cucina. “Superate il cavalcavia che vedete qua dietro, e andate sempre dritti per circa un chilometro: sulla sinistra trovate il santuario di Stezzano, a destra un parcheggio. Il ristorante è subito dopo”. Decidiamo di seguire le indicazioni del ragazzo dell’hotel e ci ritroviamo in un locale abbastanza alla buona, ma molto accogliente, con coppie che discutono tra loro a bassa voce, allegri contadini che si ristorano dopo una giornata di lavoro, e tavolate di amici che parlano in bergamasco stretto davanti a piatti di pesce. Scopriamo infatti che la trattoria è specializzata in pesce, soprattutto quando la cameriera ci propone il piatto del giorno: ravioli alla ligure. Dal momento che i ravioli alla ligure, vivendo noi al confine con la Liguria, sono tipici del nostro habitat e fanno dunque parte del nostro pressoché quotidiano regime alimentare, optiamo per un fumante piatto di casoncelli, che reputiamo più adatti per due persone desiderose di scoprire le prelibatezze della cucina locale. Finiti i casoncelli, dato fondo alla brocca di vino rosso, e terminate anche le due crostate alle noci ordinate per addolcire il palato, usciamo e ci soffermiamo qualche attimo di fronte al santuario della Madonna dei Campi: è una costruzione che, se inserita in un contesto urbano, probabilmente non salterebbe neanche all’occhio, ma così, in mezzo ai campi e immersa nel verde, ci sembra forse più imperiosa e più solenne di quanto non lo sia realmente. Ci ripromettiamo quindi di visitarla con la luce del sole. Anche perché di notte non è possibile.
Due giorni dopo torniamo al santuario di buon mattino, ovvero alle dieci passate (del resto è l’ultimo giorno del nostro viaggio di piacere). Attraversiamo il cancello che introduce al parco, percorriamo il vialetto cosparso di cartelli che invitano a mantenere ogni tipo di silenzio e ci ritroviamo di fronte alla facciata progettata dall’architetto Enrico Galbiati sul finire dell’Ottocento. La facciata è classicheggiante, tripartita, con la parte centrale leggermente aggettante, perché sporge di poco in fuori. Le parti sono suddivise da paraste ioniche, e il portale principale è sormontato da un timpano spezzato. Sulla cornice sovrastante, alcuni rilievi e, ancora più su, un’ampia finestra con balaustra sormontata da un grazioso campanile coronato con una cupoletta. A decorare il tutto, statue di santi e anche due telamoni che reggono l’arco sopra la finestra: elementi classici ed elementi cristiani si fondono con eccezionale armonia. Proviamo ad entrare, ma quello che pensiamo sia il portale principale in realtà nasconde un’edicoletta con una statua della Madonna. Sì, perché ci rendiamo conto che quella che dà sulla strada non è la facciata principale: si tratta di un escamotage per coprire l’abside della chiesa, perché l’entrata è dalla parte opposta, ovvero dalla parte che guarda verso i campi. La statua della Madonna ha comunque una certa importanza. Anzi, per i fedeli è fondamentale, perché il santuario è stato costruito proprio su un luogo in cui sarebbe apparsa la Madonna.
Santuario della Madonna dei Campi di Stezzano: la facciata che dà sulla strada. Foto di Luigi Chiesa (licenza Creative Commons) |
Fin da tempi antichi, Stezzano è sempre stata un paesino di contadini. E un bel giorno del tredicesimo secolo, pare che la Madonna fosse apparsa a una contadina del paese: fu dopo questo evento che venne innalzata la prima piccola chiesa dedicata alla Madonna dei Campi. Per diversi secoli non ci furono più apparizioni, e il fatto che il santuario fosse fuori dall’abitato (come lo è ancora oggi) contribuì, nel Cinquecento inoltrato, a farlo andare incontro ad alcuni decenni di incuria. Ma nel 1586, oltre a verificarsi una nuova apparizione, dal luogo in cui si vide la Madonna sarebbe scaturita dell’acqua a cui gli abitanti di Stezzano attribuirono proprietà miracolose. Si decise dunque di risollevare l’antica chiesetta dal degrado e, anzi, di rinnovarla radicalmente, anche per accogliere in modo migliore la tavoletta trecentesca che era lì conservata e che diventò oggetto di sentito e appassionato culto. I lavori di rinnovamento del santuario terminarono verso la metà del Seicento, e ripresero poi nell’Ottocento: a questi ultimi dobbiamo l’aspetto attuale del santuario.
La facciata principale del Santuario della Madonna dei Campi di Stezzano... coperta dagli alberi |
Ci spostiamo quindi sul lato opposto del santuario ed entriamo: l’interno è ricco di stucchi colorati, decorazioni fastose, e ovviamente di opere d’arte di eccezionale pregio. La principale è sicuramente l’Adorazione dei Magi di Andrea Previtali, affresco trasportato su tela risalente al 1518: è firmato e datato (ANDREAS PRIVITALVS PINXIT / MD XVIII) e, malgrado l’impostazione spaziale sia ancora quattrocentesca, con le figure disposte a semicerchio in un’architettura a punto di fuga centrale scalata in prospettiva, i personaggi mostrano una vitalità che sembra derivare dall’esempio di Lorenzo Lotto, pittore fondamentale per tutti gli artisti di area bergamasca dell’epoca. Ci sono poi opere più tarde: affreschi di Gian Paolo Cavagna, tra cui spicca una bella Assunzione della Vergine, alcuni angeli di Carlo Ceresa, opere di Antonio Cifrondi, Marco Olmo, Giuseppe Roncelli e molti altri artisti di scuola locale, tali da rendere unico il santuario della Madonna dei Campi per chi vuole conoscere gli sviluppi della pittura bergamasca dal Cinquecento in poi.
Dopo aver compiuto questo viaggio nell’arte e nella spiritualità locale, usciamo dalla chiesa e passeggiamo sotto al portico antistante. Un portico semplice, tinto di bianco, a cui sono appesi dei quadretti che raffigurano le stazioni della via crucis. Davanti, il prato è colmo di margherite, e gli alberi celano parzialmente la vista della facciata principale: squadrata, con un grande arco d’accesso con una balconata, sormontato da una trabeazione continua che regge tre guglie. Riflettiamo sul fatto che la facciata più bella, in realtà, è la non-facciata, quella che dà sulla strada principale, e di come sia uno dei rari casi in cui ci si trova davanti a una chiesa con due facciate. Guardiamo infine oltre il cancello del portico: nei campi si sente solo il rumore dei trattori.
Andrea Previtali, Adorazione dei Magi (1518; Stezzano, Santuario della Madonna dei Campi) - dettaglio |
Per chi volesse avere maggiori informazioni sul santuario della Madonna dei Campi di Stezzano, consigliamo il suo sito web che peraltro è ricco di informazioni sulla storia e sull’arte della chiesa: www.madonnadeicampi.org
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo